giovedì 29 settembre 2011

Sbarazziamoci!


Post veloce perchè la giornata è stata dura e le ore al pc troppe...
La serata è già quasi finita per me, più che un pò di streaming non posso reggere e il soppalco è un sogno ormai vicino!
Questa sera torno un pò a casa, nella mia piccola-grande comunità, dove tutto è possibile e dove qualche vecchio vestito è un pretesto per sorridere: lunedì scorso, a Vesima, abbiamo dato vita allo Sbarazzo!
Che cos'è? In verità è tutto e niente, a seconda di dove si legge o di chi lo organizza le regole del gioco cambiano, e credo che in fondo il bello sia proprio questo: adattare un'iniziativa tutto sommato divertente alle proprie esigenze. Le nostre necessità erano quelle di sbarazzarci (appunto!) di vecchi vestiti troppo piccoli, o troppo strani, o troppo brutti, che restavano a impolverarsi e occupare posto prezioso negli armadi. Quale modo migliore se non mangiare sotto l'albero e scambiarci maglie, pantaloni, borse, addirittura scarpe?
C'erano i sandali del matrimonio messi una sola volta e poi abbandonati, c'era l'accappatoio viola con le ruches, la gonna trapuntata arancione, gli scialli con i fiori, le canotte a righe, i vestiti a pois, le sciarpine, le gonne lunghe e quelle corte, i jeans, i cappelli, le giacche e i cappotti. Colori, stoffe, sfumature, filati, tutti diversi e tutti personali, ognuno un pezzo del proprietario, ogni cosa simbolo di insospettabili vite precedenti, antiche magrezze, giornate di shopping compulsivo, regali inappropriati. La serata prevedeva il baratto di abiti dello stesso valore (ogni capo era contrassegnato da un cartellino col prezzo, da 1 a 15 euro), oppure l'acquisto. I maschi, banditi categoricamente dall'evento, hanno aiutato stendendo fili come appendiabiti e portando il vino, le femmine si sono divertite a scattare foto improbabili (tipo a me, vestita con la mia "nuova" tuta nera tutta attaccata in stile Eva Kant), a provare abiti, commentare modelli e immaginare accostamenti.
Cercando su internet scopro che lo sbarazzo è in voga ovunque ormai, specialmente negli Stati Uniti, personalmente lo trovo una buona soluzione per eliminare le cose inutili e rinnovare il proprio guardaroba spendendo poco o addirittura nulla! Inutile dire che questa serata è stata un buon pretesto per riflettere sulle cose di cui mi sbarazzerei volentieri, in senso moooolto più lato...

martedì 20 settembre 2011

andare, vedere, dare.


Una serie di tasselli che vanno al loro posto. Automaticamente.
Basta un consiglio, una considerazione, una parola buttata lì per caso e quello che pensavo fosse ormai lontano, almeno nella mia mente, torna, prepotente torna a rosicchiare.
La questione delle somatizzazioni, che nei miei sei lunghi anni di analisi veniva fuori un giorno sì e l'altro anche, oggi si ripropone davanti a me chiara più che mai. Sono stati sufficienti 15 minuti di colloquio con una persona che mi conosce pochissimo e alla quale ero andata a chiedere tutt'altro per fermare il mio cervello sulla domanda: e se davvero fossero tutti segnali?
Mi è stato chiesto: dov'è che non vuoi andare? Bella domanda, dov'è che non voglio andare?
Non lo so, non so nemmeno dove voglio andare, figuriamoci se so dove non voglio. Però, se proprio regalo un pò di tempo alla pulce che mi salta nell'orecchio, allora mi accorgo che in primavera sono state le gambe il problema: dov'è che non vuoi andare? Poi, all'inizio dell'estate, all'ospedale mi ci ha mandato un pezzo di plastica piantato in un occhio: cos'è che non vuoi vedere? Ora è la volta del calcolo che non riuscivo a mollare: cos'è che non so dare?
Probabilmente sono solo una cazzo di sfigata che ne ha sempre una, semplicemente una persona cagionevole di salute, ce ne sono no? Ci sono sempre state. Non credo e quindi non posso rivolgermi a un dio, nè per incazzarmi, nè per chiedere la grazia. Posso convicermi che sia il destino, che quel giorno dovevo cadere arrampicando proprio la sera in cui non avevo molta voglia di andare, che il pezzo di plastica o vetro o quello che era mi sia entrato nell'occhio proprio nel periodo in cui microscopio e pc erano i miei compagni di giochi quotidiani, che il calcolo mi si sia bloccato nell'uretere il primo giorno di ferie perchè era così che doveva andare. Potrei ripetermi il mantra di Giovanni Lindo che sempre va bene: "...così vanno le cose, così devono andare...". Oppure potrei pensare che la metamedicina non sia poi così stupida, che forse il mio corpo stia parlando al posto della mia mente che sono tanto abituata ad ignorare, che magari sia il caso di sedermi e tra una pillola e una puntura chiedermi davvero: Elena, ma dov'è che non vuoi andare?

domenica 18 settembre 2011

Ogni cosa è illuminata


Buffo, titolo e foto non corrispondono. L'immagine è buia, lo so, ma è autunno oggi e non ho voglia di accendere la luce. Dopotutto, ogni cosa è illuminata

"...La vita di Brod fu una lenta assimilazione del fatto che il mondo non era per lei; che, quale ne fosse la ragione, non sarebbe mai stata nel contempo felice e sincera. Aveva la sensazione di tracimare, di produrre e accumulare sempre più amore dentro di sé. Ma senza mai scioglimento. Tavolo, incanto dell'elefante di avorio, arcobaleno, cipolla, acconciatura, mollusco, Settimo Giorno, violenza, pellicina, melodramma, fossato, miele, sottocoppa...niente di tutto questo valeva a smuoverla. Si rivolgeva al suo mondo con onestà, alla ricerca di qualcosa che meritasse la quantità di amore che sapeva di avere dentro, ma a ogni cosa diceva: Non ti amo. Poesia troppo lunga: Non ti amo. Cena nella scodella: Non ti amo. La fisica, l'idea di te, le tue leggi: Non ti amo . Nulla sembrava qualcosa in più di quello che era davvero. Tutto era semplicemente una cosa, impastoiata, da cima a fondo, nella propria cosalità.
Se avessimo aperto una pagina a caso del suo diario - che deve aver serbato e serbato in ogni momento, con la paura che venisse perduto o scoperto o letto, ma di imbattersi un giorno nella cosa che finalmente valesse la pena di scrivere e di ricordare e scoprire che non aveva qualcosa su cui scrivere - avremmo trovato una qualche enunciazione del seguente sentimento: non sono innamorata.
E dunque si doveva accontentare dell'idea dell'amore - di amare il fatto di amare cose della cui esistenza non le importava affatto. L'amore in sé divenne l'oggetto del suo amore. Lei amava se stessa innamorata, amava amare l'amore come l'amore ama amare: ed era in grado, quindi, di riconciliarsi con un mondo tanto diverso da quello che aveva auspicato. Non era il mondo la grande menzogna salutare: lo era la sua volontà di renderlo bello e giusto, di vivere una vita già-avulsa in un mondo già-avulso da quello dove tutti gli altri sembravano esistere..."
(Ogni cosa è illuminata, Jonathan Safran Foer)

Ecco il libro che sto leggendo, buffo come Molto forte, incredibilmente vicino, emozionante, dispersivo, a tratti noioso e insostituibile.
Buona lettura.

sabato 17 settembre 2011

Lapillo is in the air!


Due giorni fa sono stata operata e ora Lapillo is in the air, anzi nella scatolina.
Come al solito il titolo non è casuale, come al solito l'ispirazione è una canzone che andava qualche anno fa (tanti!) e come al solito la spiegazione è semplice: al posto di Lapillo (nome deciso dal vicino-vicino in veste di "zio") avrei dovuto usare la parola Love, perchè in fondo questa è una storia d'amore.
I protagonisti siamo io e tutte le persone che, in questo momento di difficoltà, hanno voluto e saputo starmi vicino. Come si discuteva ieri, infatti, è proprio vero che gli amici si vedono nel momento del bisogno: oltre alla mia famiglia e a mia mamma, che, instancabile come sempre, non mi ha lasciata un attimo, tante facce sorridenti e piene di affetto mi hanno aiutata ogni giorno. A iniziare dai vicini-famiglia, che, appena hanno visto il fiocco azzurro appeso al cancello, hanno cominciato il pellegrinaggio fatto di regali per la "neo-mamma", coccole e inviti a cena, passando per i medici simpatici, professionali e dolcissimi, fino agli affetti di una vita sempre pronti ad aiutare. Non ho avuto grandi sorprese, nè grandi delusioni, sapevo chi avrebbe voluto di essermi amico e chi invece avrebbe preferito continuare la sua strada, senza fermarsi. E va bene così.
L'operazione in sè è andata bene, era semplice, ma pur sempre un intervento e io ci sono arrivata provata da un mese di coliche e di difficoltà. La ripresa però è buona e sembra anche piuttosto veloce, a parte i postumi dell'aperitivo di festeggio organizzato dai vicini, un chiaro tentativo di uccidermi! Se non ci sono intoppi domani conto di tornare a casa, in Campopisano, non vedo l'ora di passare un pò di tempo con gli amici del centro, che non hanno mai smesso di farsi vedere e sentire e che mi hanno fatto ridere anche poche ore dopo l'intervento con messaggi e battute.
Da lunedì si rientra al lavoro e le mie energie saranno concentrate sulle commesse arretrate e sugli esami del dottorato. Dovrò ricordarmi però di ritagliare sempre dei piccoli momenti per me, che mi aiutino ad affrontare le settimane di impegni con più leggerezza. Ho cominciato a caricarmi di positività già stamattina, facendo un salto veloce al matrimonio di Sonia (bella come una dea!) e continuerò stasera dedicandomi agli affetti più grandi e domani trascorrendo tutta la giornata con mamma prima al MET (la nuova manifattura etica di cui spero di scrivere presto anche qui) e poi in Campopisano, con una mega valigia da disfare e un terrazzo abbandonato da soccorrere. Anche questa è passata, in un annus horribilis fatto di caviglie slogate, occhi accecati, morti, perdite, inteventi e difficoltà di ogni tipo, anche questo momento avrà il suo significato.
Per adesso, love is in the air!

sabato 10 settembre 2011

Lib(e)ro, ovvero "L'uomo che scambiò sua moglie per un cappello"


Avete mai letto questo libro? Io sì.
In questa estate strana, ho alternato i consueti gialli scandinavi così da spiaggia e ombrellone a qualcosa di più "serio" come L'uomo che scambiò sua moglie per un cappello di Oliver Sacks.
Credo che si possa definire un saggio, sicuramente è un libro saggio. L'autore, medico che mi risulta essere ancora attivo seppur anziano, racconta storie di problemi neurologici, non con un taglio alla Doctor House, bensì con uno stile misto tra la glaciale cartella clinica e il personale affetto profondo.
C'è un sentimento dentro, che si mescola alla grande competenza professionale e che è indispensabile per comprendere le vite di persone che, per esempio, hanno percezioni sensoriali così distorte da scambiare la testa della propria moglie per un cappello o non riuscire più a riconoscere il loro stesso corpo.
Quando mi sono slogata la caviglia qualche mese fa ho sentito parlare per la prima volta di propriocettività (e ne ho anche scritto qui, se non ricordo male). In questo libro molti racconti ritornano sul concetto di percezione di noi stessi, che ci muoviamo in maniera automatica senza bisogno di "sentire" il nostro corpo: se prendiamo un bicchiere lo afferriamo e basta, ma ci sono persone, rare per fortuna, che non sono in grado di farlo spontaneamente. Una delle storie che mi ha colpita di più, è proprio quella di una ragazza della mia età che improvvisamente non si è più "sentita", ha smesso di "percepirsi". Il titolo del racconto è "La disincarnata" e, a parte la terribile angoscia che si prova leggendo cose simili, il primo beneficio (se così si può chiamare) che ho tratto dalla lettura di queste pagine è la consapevolezza di me. Ho sempre lavorato molto sul mio corpo e sulla mia mente (sei anni di pilates e sei di analisi direi che sono un buon inizio!), leggere le parole di questo medico, ma soprattutto di questa donna che non si trova più mi ha aiutata a capire l'importanza del collegamento. Si dice "siamo quello che mangiamo", "siamo quello che facciamo"...ma non si pensa a come facciamo a mangiare o a compiere semplici gesti come allacciarci le scarpe o legarci i capelli. Non si tratta di invalidità, disabilità, è una cosa diversa, certamente invalidante ma diversa. Dover guardare la propria mano per muoverla, perchè senza vederla non ci si rende conto di averla, ecco cos'è la propriocettività. Una parola che fino a pochi mesi fa non conoscevo e che invece mi permette di essere Elena ogni giorno.
Quindi, con questa umile e assolutamente personale recensione, vi invito a leggere il libretto azzurro polvere che vedete nella foto, ne vale la pena, capirete molto più di voi e degli altri.

P.S. Quando, verso la fine, arriverete alla sezione dedicata alle forme di autismo capirete il perchè nel titolo c'è quella e tra parentesi, quanta libertà nelle espressioni artistiche di ragazzi da tutti definiti sbagliati e incapaci, prigionieri di un male insuperabile, quanta libertà!

giovedì 8 settembre 2011

LimoniAmo?


Oggi ricetta.
Crostata al limone, ma non una crostata qualunque di limoni qualunque, bensì una crostata con crema di ricotta e marmellata di limoni. La marmellata del vicino di sotto e i limoni dell'uomo dai mille spaghetti (vedi ultimo post).
La ricetta è rintracciabile anche sul web, la mia necessità era quella di rendere più delicata questa marmellata molto amara e aspra, insomma buona ma forte. Perciò, addizionando la ricotta che è praticamente insapore si ottiene una crema morbida e molto gustosa, effetto cheesecake.
Come di consueto, prima gli ingredienti e poi il procedimento.

Ingredienti:
- Pasta frolla (io la prendo surgelata, sono ancora poco cuoca)
- 3 cucchiai di marmellata (in questo caso di limoni, ma penso possa andare bene anche di arance e agrumi vari)
- 250 gr di ricotta
- 1 uovo

Procedimento:
Stirare la frolla per renderla sottile (aiutatevi con un pò di farina). Amalgamare in una terrina la ricotta e la marmellata, insieme al tuorlo dell'uovo. Stendere la frolla sulla teglia e distribuire un velo di marmellata sul fondo della pasta. Aggiungere alla crema l'albume dell'uovo montato a neve. Mescolare bene e versare il composto nella teglia. Decorare a piacere la superficie, io di solito faccio la classica griglia da crostata ma credo vadano bene stelle, cuori e altre amenità di pasta frolla.
Infornare a 180° fino a che la frolla non risulta dorata.
Una volta cotta è buona calda e anche fredda, io l'ho mangiata a colazione con un bicchiere di latte e con il caffè, e mi è piaciuta! (Buone recensioni anche da parte di zii e parentame vario).

Difficoltà: facilissima (contando che la frolla è già pronta e la marmellata è in
regalo!)
Cottura: almeno 20 minuti
Costo degli ingredienti: medio (si paga la frolla già pronta, non si può avere
tutto!)