giovedì 4 aprile 2019

Un'unica, lunga, ciglia sottile


Inizio a scrivere queste righe seduta su una seggiola giallo limoncello accanto al letto dell'ospedale dove dorme avvolta dalle lenzuola e dalla morfina. Continuo a scriverle accoccolata sulla poltrona blu vicino a lei, in hospice, mentre la solita flebo fa il suo lavoro e le altre stanze-giardino si vuotano e riempiono di fiori nuovi.

Credo che in questi sette mesi sia stata arrabbiata, sicuramente triste, consapevole e con ragione da vendere quando i suoi occhi (solo quelli) mi chiedevano "perché".
Io il perché non lo so, forse non mi aspetto nemmeno che ci sia. Mio padre prima, mia madre poi, nessuno dei due ha raggiunto i settant'anni, nonostante a lei mancasse pochissimo per arrivarci e avesse deciso, con la sua solita ironia, che sui manifesti ci sarebbe stata la cifra tonda. Non ce l'abbiamo fatta, cara Maria, e uno dei momenti più dolci, che resterà per sempre con me, è stato l'attimo in cui l'infermiere-attore, come lo chiamavamo noi, mi ha detto addolorato: "Ho paura che al 29 non ci arriveremo".

Sono giorni strani, questi in cui scrivo, sono preziosi e insostenibili, sono colmi di amore e di paura, sono un privilegio riservato a pochi che non ho nessuna intenzione di ridurre semplicemente a tragedia. Mi trovo nel posto migliore per lasciar andare una madre ancora giovane, piena di energie, cose da dire e cose da fare.
Siamo dove voleva lei, non c'è altro da aggiungere.

Come sempre, quando non so più che fare, lascio spazio agli elenchi, (pure sei mesi fa, all'inizio di questo casino, avevo fatto esattamente così):

- Una ciglia lunga e sottile, l'unica rimasta attaccata alla sua palpebra sinistra quasi fino alla fine
- Le piccole lettere ricamate con il filo rosso sulla cuffia della suora
- Il pacchetto regalo abbandonato sul muretto
- Il Cargo Market che senza di lei fa un male cane
- Il mazzo di broccolate fiorite sul tavolo della cucina
- Le mie morning walk, sempre più difficili, sempre più liberate
- Le ore di ceramica per salvare il cuore
- La sua sagoma magra, seduta controluce, che guarda fuori dalla finestra del Monoblocco
- Le battute, fino all'ultimo
- La borsa dell'acqua calda
- Gli auricolari fuxia del dottore migliore del mondo
- La vocina stridula della signora con l'ossigeno
- La fame di Aldina
- Il pianto di Agata
- Il necrologio scritto insieme, nella luce della domenica
- Il locale Mario
- Il sabato mattina a prendere i vestiti
- La bambina travestita da ape davanti al Pronto Soccorso
- I fiori del pesco che sbocciano nonostante tutto
- Il vino con l'acqua della signora di 104 anni
- Il cedro gigante che veglia sopra ogni cosa
- I gatti diffidenti che mangiano solo la sera
- Le chiacchiere sul terrazzino, tra obiettivi da spostare e occhi lucidi
- La luce calda che filtra dalle tende gialle
- La Dottoressa, che torna ad accompagnarci di nuovo
- L'acqua di rose di Santa Maria Novella
- La collana con la stella di Moustier
- La pasta con le lenticchie più buona del mondo
- Le lucine intermittenti del sistema antincendio
- Il sapone al gelsomino
- La cavalla Isernia, la gatta Melody e tutte le altre creature che ci hanno tenuto compagnia
- La camminata verso casa, a piedi, per l'ultima doccia
- Le foto di Agata che gioca da guardare insieme
- Cacao Meravigliao
- L'odore della loro crema
- La camicina a fiori gialli
- Il gelatone
- Il pulsante rosso
- Il quadro del Day Hospital con gli aironi (lo stesso che vedete quassù in foto)
Chi mi conosce bene sa che ogni airone incontrato negli ultimi quindici anni ha rappresentato per me una sorta di segno legato a mio padre. Ora non posso fare a meno di leggere, in questo dipinto, il volo di mamma, bianca e finalmente libera, con le ali spiegate verso un'isola verde, lontana dagli aironi scuri del passato.

Sono trascorse due settimane.
Mia madre è morta il 23 marzo alle 14.40, con la sua mano nella mia.
Il sabato seguente, più o meno alla stessa ora, un airone enorme volava sulla mia testa, mentre pranzavo seduta al sole tra un laboratorio e l'altro.
Avrei voluto gridare, fotografarlo, mostrarlo a tutti, ma mi sono limitata a guardarlo passare lento e a seguire il suo atterraggio sicuro, nel fiume.

Già non posso immaginare la vita senza di lei, tanto meno questo blog, che è nato quasi dieci anni fa ed è cresciuto, post dopo post, passando sempre dalle sue puntuali correzioni. Del resto, da una prof, non potevo aspettarmi diversamente!
Ilmareingiardino, dunque, si ferma qui, fino a che avrò di nuovo bisogno di lui. Continuerò ad aggiornare la pagina Facebook con articoli, notizie e pezzi di bellezza che mi sembrerà interessante condividere, caricherò foto di gite, alberi e meraviglia sul profilo Instagram, ma metterò in pausa il blog.
Non so quanto ci vorrà per ripartire, non so nemmeno se accadrà, ma visto che di addii ne ho abbastanza, facciamo sia un arrivederci.