lunedì 4 maggio 2020

Indulgenza plenaria


Un post scritto piano piano, che riassume tutti questi giorni, con i pensieri in cui mi sono immersa, i miei soliti elenchi, la luce che dura fino a tardi, la pizza impastata nella cucina arancione, la gatta che piange di notte. Iniziamo.

Più di un mese di quarantena e ovunque si legge qualcosa in proposito. Pure qui.
Le mie giornate, come quelle di tutti, trascorrono l'una simile all'altra, ma il tempo scorre velocissimo, almeno per me.
Mi annoio? Nemmeno un po'.
Sono arrabbiata? No, non per la mia condizione. Certo mi preoccupa la situazione in cui ci troviamo e ci troveremo, soprattutto dal punto di vista economico. Mi spaventano le conseguenze che l'isolamento avrà sui più piccoli, perché quelle che già sta avendo sui più grandi non mi stupiscono affatto, purtroppo. I social sono ormai un calderone di polemica continua: c'è chi insulta il vicino che esce troppo, chi si lamenta di non poter passeggiare, chi auspica che la didattica a distanza sia finalmente sdoganata, chi la trova inefficace, chi addirittura dannosa. Tutti i politici sono colpevoli, ma anche i cinesi non scherzano. I medici sono eroi, ma ieri erano scansafatiche (e domani?). Le mascherine gratis in cassetta non le voglio, ma in farmacia costano troppo. I corrieri sono costretti a lavorare in condizioni pericolose, è una vergogna, ma la spesa me la faccio portare a casa tutto l'anno, figuriamoci ora.

Io sono equilibrata? Proprio no, sono solo più passiva del solito. Qualcuno direbbe resiliente, qualcun altro adattabile. Io, invece, dico passiva. Perché è così che mi sento quando una cosa grossa si abbatte sul mio quotidiano, senza darmi alcuna possibilità di scelta, tranne quella di stringere i denti, adeguarmi e non guardare nè davanti, nè dietro di me.
Il famoso qui e ora, che sono totalmente incapace di vedere in tempi "normali", diventa improvvisamente l'unico posto in cui riesco a stare nell'emergenza.
Un giorno dopo l'altro.

C'è da dire che per me è semplice, non ho genitori di cui preoccuparmi o che ora stanno lontani più del solito, non ho figli reclusi, non vivo più solo di partita IVA (ma sono in cassa integrazione, per fortuna), sono abituata agli stop forzati. Pare brutto, pare esagerato, ma l'anno scorso ho trascorso sette mesi come adesso. Uscivo solo per lavorare, nessun week end fuori, nessuna gita, nessun cinema. Ho incontrato medici che avrei ucciso a mani nude e medici (infermieri, oss, volontari...) a cui ho scritto appena iniziata l'emergenza virus per far loro sentire la mia riconoscenza anche in questa occasione. Ho avuto paura perché conoscevo già come sarebbe andata a finire e, nonostante questo, non ho smesso di mettere in fila un giorno dopo l'altro, a denti stretti. Mi ha aiutato la terapia, questo è sicuro, credo però che mi abbia dato una grossa mano anche l'indulgenza. Verso gli altri, si intende, perché verso me stessa non ne ho mai avuta.
Fino ad oggi.

Ed è qui che si spiega il titolo di questo post: la quarantena 2020 (meglio specificare) mi sta regalando l'indulgenza plenaria. Come il papa.
Sono trascorsi più di due mesi in cui mi sono permessa lentezza e sole in faccia, anche se attraverso una finestra chiusa.
Ho girato decine di video davanti a telecamere, webcam, telefoni cellulari che per una con una vecchissima diagnosi di fobia sociale, sembra impossibile. Ho provato nuove ricette, mi sono iscritta a un corso di acquerello botanico, ho letto tantissimo. Ho fatto yoga o pilates tutti i giorni, ho ascoltato la musica che mi piace, ho visto un sacco di serie tv, alcune belle davvero. Credo di aver messo il reggiseno tre volte, giusto per andare in ufficio le poche mattine che ce n'è stato bisogno. Ho scritto, anche se non qui, mi sono regalata un ciondolo con tre parole importanti, le più importanti di tutte. Ho rivisto gli amici lontani su Zoom e pure quelli vicini. Ho pianto per la Maria, per la sua casa dove non posso andare, per i fiori al cimitero che non posso cambiare e la festa in suo onore che non sono riuscita a organizzare. Mi sono comprata poche cose, ma quelle che ho preso mi hanno fatto stare bene, ho reinventato ancora una volta il mio modo di lavorare e mi sono divertita a farlo. Non ho alimentato nessuna polemica in cui sono incappata, ho messo la mascherina quando mi sembrava giusto, ho goduto di tramonti spettacolari, ho sistemato dieci anni di documenti conservati a caso, ho dormito, male, ma ho dormito.

Avrei potuto fare molto di più, ma anche no.

Avrei potuto studiare più cose, leggere più libri, allenarmi più a lungo, vestirmi bene anche per stare in casa, truccarmi comunque ogni giorno, mangiare meglio, bere meno. Avrei potuto anche non sentirmi mai in colpa, ma poteva andare molto peggio, potevo sentirmi in colpa sempre. Credo di essere stata indulgente e di aver ascoltato i miei bisogni, ogni giorno diversi. Non mi sono sembrati scemi quelli che non si sono allenati, che si sono lamentati, che sono usciti lo stesso, che si sono barricati in casa, che hanno cambiato il loro modo di mangiare o che si sono scannati sui social. Li ho ignorati, ho provato a fare il meglio che potevo e mi è sembrato abbastanza. 
Tutto qui.