sabato 19 marzo 2016

Sassi


Sì, oggi è la festa del papà.
Sì, il mio è morto.
No, non scriverò nulla in proposito.

Ho fatto una gita. Primo evidente segno la camminata: sono rigida. Polpacci, ginocchia, caviglie poco collaborative questa sera.
Secondo segno più evidente del primo: il colorito non più cadaverico, anzi, inaspettatamente salutare. Siamo a Marzo inoltrato, domani inizia la Primavera, e ci si abbronza.
Terzo segno evidente solo a me che lo vivo in prima persona (e a voi che leggete qui): cena inventata, consumata tra cucina-letto-divano, con tonno, legumi, cioccolata, pane e vino rosso. Sono stanca, fingo (nemmeno troppo) di lavorare e penso. Penso che se non ci fosse stato un contrattempo non saremmo tornati in treno (mollando il motorino in stazione). Penso che se mi fossi fermata di più nel panificio, o dal verduraio, o che ne so, sarei rimasta sotto una marea di sassi.

Ho scelto di tornare a camminare, almeno per un giorno, dove l'ho sempre fatto.
Forse non avrei dovuto.
Ho cercato senza trovarlo il pezzo di Sliding Doors, il film, quello in cui per una metro persa (o presa) cambiano un sacco di cose.
Stamattina non si è trattato, per fortuna, del tempo di una metro, ma un'oretta scarsa ha cambiato molte cose lo stesso.
La gita è stata bella, senza vista, con un sacco di nebbia, con mia mamma che chiamava, a sua volta in gita fuori regione, per sapere se ero io una delle due persone rimaste sotto la frana.
I miei posti non mi hanno accolta: solo nebbia, tanta, un po' di vento, ma insufficiente per allontanare il mal tempo, un percorso che le caviglie non sanno fare più. Troppe pietre, troppi dislivelli, poche super salite, poche super discese. Ora mi trascino, forse ho pure un po' di febbre.
Non è certo una spugna gettata questa, ci tornerò e andrò a trovare mio padre come avrei voluto fare oggi, prima che chiudessero l'unica possibilità che avevo di raggiungere il cimitero.

Un paesaggio brullo, con tanti sassi, con i pini storti, i cespugli violentati dal vento, i sentieri erosi e spesso mangiati dall'acqua. Qualche riparo, l'abbaiare di un capriolo, una fila di processionarie, un uccellino morto con le formiche nelle orbite vuote. I ginepri con le bacche, le euforbie stentate, due pallini rossi, un orizzonte che non c'è.
Ma, nonostante tutto, io sono a casa qui, dove ogni angolo mi somiglia, nella sua scontrosità apparente, nel modo schivo di presentarsi, nella calma di un prato silenzioso, perché non c'è nulla da dire.
Sono del Ponente e non posso farci niente.
La rima, lo giuro, non era voluta.

P.S. Nella foto una viola, simbolo universale di resilienza, visto il suo crescere imperterrita in mezzo ai sassi.

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