venerdì 14 novembre 2014

Vorrei darti tutto ciò che non hai mai avuto

Ieri sono andata a vedere la mostra di Frida Kahlo, qui a Genova.
L'ultima volta che ho visitato un'esposizione delle sue opere ero ragazzina, con mamma, e non mi ricordo dove fossimo. Di quel giorno mi sono rimasti una cartolina di La niña Virginia, il dipinto con Frida bambina seduta, in abito verde, su sfondo viola e un amore incondizionato per questa donna.
Di ieri sera mi sono rimasti un pacchetto di semi da piantare (i fiori di Frida, dice la bustina, chissà cosa ne uscirà, se ne uscirà qualcosa) e, di nuovo, un amore incondizionato per questa donna.
Troppo facile dire "Perché Frida sono io", poiché in realtà Frida siamo tutti. Tutti noi quando lottiamo e non ci arrendiamo, tutti noi quando ci aggrappiamo al sole che splende pur di non vedere il dolore, tutti noi quando indossiamo una maschera per continuare a vivere in mezzo alla gente, tutti noi quando ci abbandoniamo alla passione, perché è l'unica cosa che conta davvero. Una testimonianza della nipote, ascoltata ieri sera nell'audioguida in una sala silenziosa e quasi vuota, parla di Frida come di una donna coraggiosa, come di un esempio. Beh, impossibile dire il contrario.
La deformità, la malattia, la paura, il dolore fisico, la solitudine, combattute con la bellezza, l'intelligenza, l'ironia, la continua e incessante ricerca di sé. I dipinti allo specchio, in questo periodo in cui al giovedì parlo praticamente solo di riflessi e corrispondenze, sono per me il simbolo della struttura di se stessi, dell'analisi del proprio cuore, delle proprie difficoltà, dei propri limiti, delle proprie cadute, ma (accidenti!) anche della propria forza, della propria luce, delle proprie possibilità, delle proprie conquiste.
Sui pannelli, bellissimi, della mostra, si intervallano citazioni di Frida e di Diego, lei dice: "Cosa farei io senza l'assurdo?" e lo dico anche io. Cosa farei? Cosa faremmo tutti? Senza quelle situazioni inspiegabili, senza quei momenti che non si possono capire, che accadono così, e si ingarbugliano, si confondono e ci rendono la vita un casino?
La mostra di Frida per me si vede con la pancia, non con gli occhi (anche se, a dirla tutta, le opere su metallo proprio ciao, sono una meraviglia indescrivibile), si vede con quel pezzo di sé che è entrato sperando di trovare risposte, trovandole eccome.
Si riesce a vivere, malissimo e benissimo allo stesso tempo. Si può essere bellissimi nascosti sotto a gonne enormi che proteggono le nostre deformità, si può amare in maniera profondissima anche di fronte a distanze interminabili, fisiche e mentali.
La mostra di Frida è la mostra del "si può fare tutto", ne sono un esempio i cadaveri squisiti, quei disegni iniziati da Diego e terminati da Frida (o viceversa) senza poter sbirciare la prima parte. Si può amare l'altro, la vita e se stessi anche se di motivi non ne troviamo, anche se di cose belle per cui lottare non sembrano essercene.
La mostra di Frida è la mostra dei superlativi, perché io non amo granché usarli ma in questo post mi sono appena resa conto che ne ho messi tantissimi (eccone un altro!).
La mostra di Frida è, in realtà, di Diego e Frida, ma a me non riesce proprio di dividerla a metà (anzi, a dirla tutta, forse di Diego c'è pure più materiale in esposizione). Non mi va di dividerla a metà perché, ad ogni modo la si guardi, nelle opere di Frida c'è Diego, più di quanto ci sia nelle opere di Diego stesso.
Perché lei lo amava così:
"Vorrei darti tutto ciò che non hai mai avuto
e neppure così sapresti
quanto è meraviglioso poterti amare"


Che altro?

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