venerdì 24 luglio 2015

Thismustbetheblog #3 e #4: due piccioni con una fava!

Ho scelto questa foto perché oggi vi racconto un doppio incontro che si è svolto quasi interamente in acqua, o meglio, sull'acqua.
L'immagine è uno scatto di questa mattina presto, mentre correvo intorno al paesello e incontravo cormorani, insetti, fiori aperti e dai profumi dolciastri, frutti di fichi d'india marci e gente in piedi su una tavola da surf che remava verso il nulla. Mi dicono si chiami SUP e io me ne sto, quasi come se avessi visto un germano reale.
Quindi nelle prossime righe ci saranno mare, tanto mare e amicizia, tanta amicizia: un'amicizia particolare. Anzi due.
Un'amicizia che, per carattere, non definirei amicizia, perché non ci si vede spesso, non ci si sente spesso, si conosce poco l'una dell'altra, ma si condivide molto, moltissimo, nel senso più moderno del termine condividere.

Un bel po' di tempo fa a Genova c'è stato un Instawalk. Cosa è? E' un pomeriggio organizzato dal gruppo locale di Instagram, dedicato ad un tema preciso su cui si sta svolgendo un concorso. Il tema era il porto della mia città, gli scatti erano (sono) liberi ed è ancora possibile partecipare. Qui trovate un articolo di giornale che ne parla, ma in rete ci sono tante informazioni in più.
Io ho deciso di partecipare a questa cosa, nonostante il mio proverbiale mal di mare, per un sacco di motivi: uno su tutti gli organizzatori. Luca e Andrea, insieme a Stefano, che è il fondatore della sezione genovese di Instagram, sono i gestori dell'account e l'idea di questo contest è stata loro, in collaborazione con @assagenti_genova. Luca e Andrea, però, sono rispettivamente anche il vicino matematico (marito della vicina matematica pasticcera) e il vicino-vicino, per chi mi segue quaggiù.

Quindi il primo motivo della mia partecipazione all'Instawalk sono loro, Luca e Andrea.

Il secondo motivo, però, è lei. Cindy. Cinzia. Che quando ha scoperto che sarei andata sul battello ha deciso di unirsi all'allegra comitiva. Gioia, immensa gioia, di conoscerla, dopo mesi (più di un anno, vero?) in cui ci scrivevamo, seguivamo, mandavamo link, messaggi e pensieri musicali. Da gennaio ho iniziato a collaborare con lei lasciando mini recensioni strampalate sul suo blog (le trovate nella rubrica Leggermente) e ormai mi sembra di conoscerla da tantissimo tempo. Perciò la sua visita non poteva che entrare immediatamente di diritto nel #Thismustbetheblogproject...dopotutto se la Montagna non viene a Maometto, Maometto va alla Montagna, no?

Quindi il secondo motivo della mia partecipazione all'Instawalk è lei, Cinzia.

Una mattina, chiacchierando con il vicino-vicino che conosce perfettamente tutti i miei legami più o meno assurdi con le compagne di blog, mi dice che ha informato la sua collega Paola della presenza mia e di Cinzia al giro in battello. Ecco, Paola non è solo la collega Paola, ma è anche Paola di Comeicavoliamerenda e, udite udite, è venuta pure lei! Con Polpetta ovviamente.
Finalmente avrei conosciuto anche una blogger genovese, che per assurdo lavora nel posto in cui pure io lavoro in un certo periodo dell'anno e che, sempre per assurdo, mi conosce (e io la conosco) grazie alle cose che scriviamo sui nostri rispettivi blog.

Quindi il terzo motivo della mia partecipazione all'Instawalk è lei, Paola.

Il quarto motivo non potevo saperlo finché non mi sono trovata sulla banchina del porto, in attesa del battello. Il quarto motivo ha tanti nomi e sono quelli degli amici con cui condivido parte della mia vita vera, che a volte scrivo qui e a volte no, che si consuma ogni giorno nel mercato di fronte a casa, nel bar sulla piazza, nei nostri giardini, nei nostri terrazzi, nelle nostre sale da pranzo, nelle nostre esistenze incasinate e belle. Quasi tutti questi amici sono venuti all'Instawalk e hanno scattato foto insieme.

Quindi il quarto motivo della mia partecipazione all'Instawalk sono loro, gli amici.

Ora potrei raccontarvi mille cose, potrei dirvi che sono arrivata in ritardo in stazione a prendere Cindy, potrei dirvi che con lei ho percorso tutta la città per accompagnarla da Tiger dove l'ho costretta a comprare due mantidi religiose di plastica reggi piante, potrei dirvi che prima di andare al porto abbiamo mangiato un gelato buonissimo da Profumo, potrei dirvi che abbiamo parlato di lavoro, Elvis Presley e sandali di gomma, potrei dirvi che mi ha regalato una nuvola amigurumi di Ohioja che è una favola, potrei dirvi che abbiamo pianificato insieme un giro nei vicoli con Daria, potrei dirvi che mi ha parlato della sua cagnolona gialla, potrei dirvi che Paola era vestita da principessa, potrei dirvi che Polpetta ha gli occhi più belli del mondo, potrei dirvi che ci siamo abbracciate come vecchie amiche, potrei dirvi che mi faceva impressione vederle lì con le birkestock di vernice blu e il rossetto rosso a guardare la città da lontano, potrei dirvi che mi sono divertita e non ho vomitato, potrei dirvi che ho scattato mille foto, potrei dirvi che i sandali di gomma non mi hanno fatto le ciocche, potrei dirvi che sono stata tanto fiera dei miei amici organizzatori e tanto felice che gli altri siano stati attorno a me.
Potrei dirvi tutte queste cose. E ve le ho dette.

P.S. Qui trovate il post di Paola sulla bella giornata.



sabato 18 luglio 2015

Azzurro

[Avviso: post lunghissimo]

Senza girarci troppo intorno: il 15 luglio sono stati 10 anni che è morto mio padre.

In questi giorni di campi estivi, summer school, laboratori, bambini, progetti, sveglie presto, cene tardi, docce all'alba e a notte fonda non ho avuto molto tempo per pensare, per accogliere un poco il mio lutto, che seppur lontano, seppur forse meno doloroso, seppur in parte elaborato, è pur sempre un lutto.
Così questo post è iniziato in pieno Summer Camp con una serie di mini frasi nell'ultima pagina del quaderno su cui segnavo gli appunti delle lezioni e termina oggi, finalmente sabato, con mille cose manuali da fare e un caldo torrido, talmente torrido, che sento le cicale da casa. Nei vicoli.
Ho riflettuto un sacco su cosa scrivere e come sempre gli elenchi vincono su tutto. Anche l'anno scorso avevo tirato fuori il dolore scegliendo questo sistema, oggi però voglio aggiungerci le storie. Dieci storie, una per ogni anno, che abbracciano un ricordo legato a mio padre e al mio strano, davvero poco ortodosso, rapporto con lui.

1) Te stacco le braccia e te ce meno

Qualche giorno fa sono andata a cena alla Lanterna di Don Gallo (questo vecchio link di un ottimo sito che seguo non racconta la recentissima risistemazione del locale), proprio la sera prima della ricorrenza. Per distrarmi, per mangiare uno dei suoi piatti preferiti (il pesce), per farmi una coccola. Mentre finivamo di cenare alla cassa si sono avvicinati dei ragazzi dal fortissimo accento romano: discutevano su chi avrebbe dovuto e non dovuto pagare e uno di loro insisteva per dividere e restituire i soldi all'amico. Ad un certo punto la frase: "se provi a damme ancora st'euro te stacco le braccia e te ce meno". Immediato il ricordo di mio padre che mi prende un polso e ridendo come un matto mi schiaffeggia con la mia stessa mano...quanto mi divertiva quel gioco! Quante volte lo abbiamo fatto!
2) Gli scampi con la salsa rosa
Il suo piatto forte, anche se scegliere è davvero difficile visto che cucinava benissimo. Di solito preparava gli scampi a Capodanno, se era in vena di festeggiare. Li scottava sulla griglia e li serviva con un goccio di limone, ma la protagonista era la salsa rosa. Non un condimento qualsiasi, erano bannati i barattoli e i prodotti pre confezionati: usava tutti gli ingredienti necessari, dalla salsa worchestershire al concentrato di pomodoro e passava addirittura con il colino il rosso dell'uovo sodo. Una meraviglia per gli occhi e per il palato.
3) I pantaloni a righe arancioni comprati per mamma
In un grande magazzino, a pochi pochissimi euro. Ricordo perfettamente il momento in cui decidemmo di prendere sia la versione color crema sia quella arancione, non riuscivamo a scegliere e preferimmo non farlo. Ero già grande, probabilmente si trattava di una delle mattine in cui mi accompagnava a fare il prelievo settimanale per la coagulazione e poi la mega colazione al bar...si stava per scatenare l'inferno, io avevo già rischiato grosso pochi mesi prima, ma lo ricordo come uno dei periodi più belli della mia vita.
4) I disegni a carboncino appesi in tinello
Perché disegnava benissimo. Copiava dal vero per lo più: protagonisti Disney per me (c'era Cucciolo sopra il tavolo da pranzo), nature morte, volti, strade di paese e, spessissimo, i gatti di casa. Questi ultimi li ritraeva a matita, di solito a colori: c'erano Fulmine con il pelo rosso e il siamese con le orecchie scure e gli occhi celesti.
5) Il reganisso
Il bastoncino di liquirizia che quando l'ho visto da Melissa Erboristeria tra un po' mi piglia un colpo. Lo succhiava sempre e a me piaceva da matti. Non avevo accesso di frequente a questa buonissima radice perché credo che ai bambini non faccia benissimo, ma quando ero piccola, soprattutto sulla spiaggia dove tenevamo il gozzo, di signori incartapecoriti dal sole con il reganisso in bocca se ne vedevano assai. E quanto mi divertiva e mi faceva sentire grande andare a comprarlo dal tabacchino!
6) La gita a Dolcedo
Ero già al liceo, anzi forse era il primo anno di università. Sono venuti a trovarmi i miei mentre stavo in vacanza nella casa di campagna del mio ex. Amavo quel posto come pochi altri al mondo e il mercatino dell'antiquariato una domenica (o era lunedì?) al mese mi rendeva impaziente e felice come una Pasqua. Quel giorno non credevo ai miei occhi: mio padre si sarebbe spostato per venire a vedere le bancarelle con me. Ricordo che Andrea per l'occasione cucinò l'arrosto al latte, una ricetta tedesca di sua nonna e ricordo che a me era parso tutto perfetto.
7) L'inizio (e la fine) di ER
Quando cominciò su Rai 3 questa nuova serie TV noi iniziammo a seguirla fedeli. Non ne perdevamo nemmeno una puntata. Sono convinta che il mio amore folle per i medical drama arrivi da lì, da quel figo di Clooney poco più che ragazzino, da quei ricoveri d'urgenza pieni di pathos, da quelle aggressioni in ospedale che facevano fuori i miei personaggi preferiti, da quelle morti improvvise che mi lasciavano di stucco. A distanza di vent'anni almeno, con Grey's Anatomy, non è cambiato nulla. Anzi sì: lo guardo da sola.
8) La sveglia con la proiezione sul muro
Uno dei regali che mi portò dalla fiera di elettronica a cui andava ogni anno. Una sveglia dal design terrificante che però, se la pigiavi, proiettava l'ora esatta sul soffitto, senza costringerti ad accendere la luce. Un oggetto brutto, inutile, che non butterò mai via.
9) A pranzo con il fuoristrada
Di questa cosa ho un ricordo davvero molto vago: ero piccola, era domenica e si stava andando a pranzo in trattoria, sulle alture. Ricordo che c'era anche mio nonno in auto, ricordo che soffrivo come sempre la macchina, ricordo che c'era la strada sterrata e ricordo che ero così felice di mangiare fuori con mamma e papà insieme che non vomitai nemmeno. Nonostante le curve, nonostante la jeep, nonostante i dossi, nonostante i ravioli, nonostante il nonno.
10) Il motorino Garelli
Il grande acquisto che gli permise di andare a comprare i suoi due pacchetti al giorno, nel tabacchino sotto casa, senza nemmeno fare lo sforzo di percorrere duecento metri a piedi. Pantaloncini, ciabatte, canotta, cappello bianco da pescatore e motorino minuscolo, così piccolo che l'effetto era "orso del circo sul monociclo", così buffo che ti faceva pensare "dai, vabbè, ma ora si rompe", così assurdo che solo mio padre poteva inventarselo.

Questo lungo, lunghissimo post finisce qui, anche se potrei scrivere che, fondamentalmente, quello che mi fa più male e mi confonde tantissimo le idee è che in realtà non so davvero chi mi manchi: sono passati dieci anni e io ho fatto talmente tante cose, talmente tanti errori, talmente tante scelte e talmente tanti passi avanti che non so che rapporto avremmo adesso. Avrebbe approvato? Ci parleremmo ancora? Sarebbe felice e fiero di me? Mi avrebbe diseredata? Non lo so, non so come sarebbe stato essere sua figlia a trentatré anni, perciò preferisco non pensarci e ricordare com'era esserlo a tre, tredici e ventitré.

P.S. Ah, l'azzurro era il suo colore preferito.

giovedì 9 luglio 2015

Io e loro

Oggi fa un caldo incredibile. Non sono una persona che patisce l'estate, sudo a malapena e gestisco bene anche le temperature più alte, ma non mi era mai successo di bruciarmi le piante dei piedi con l'asfalto bollente, indossando le scarpe.

Devo confessare che con una gamba colpita, seppur un decennio fa, da una bella trombosi, non è facile zampettare per la città, salire sui bus, trasportare materiali più o meno pesanti e ingombranti, tenere laboratori quasi sempre in piedi, con cinquanta gradi secchi. In questo periodo ho scelto consapevolmente di non indossare il gambaletto elastico perché mi sembrava una tortura ancora peggiore costringere il polpaccio in quella morsa spessa, ma le conseguenze che sto pagando sono un gran male a tutta la gamba, la sensazione di avere un bambino di due anni costantemente appeso al ginocchio e l'arrivo di una bella varice verde, la prima così visibile, proprio sotto al punto X.

Tutto questo spiegone un po' lamentoso e di stampo medico per dire che invece i ciclamini no, loro proprio no, non sentono il caldo. La foto quassù, infatti, non risale a febbraio ma a un'ora fa, mentre stendevo i panni e controllavo le mie care compagne di viaggio (e di vita, che poi è la stessa cosa).
Il post di oggi sarà tutto dedicato alle coinquiline con cui divido la casa, chiacchiero la mattina, commento le giornate appena concluse.
Chi mi conosce bene, ma anche chi mi conosce appena, e pure chi non mi conosce affatto, sa che adoro le piante, gli alberi, le foglie, i fiori, la campagna, l'erba, i monti e tutto quello che riguarda la natura in senso più generale. Sono cresciuta circondata da ciò che amo: come ho già scritto da qualche parte, il primo ricordo che ho riguarda l'enorme magnolia che viveva nel cortile di fronte a casa e non ci sono momenti belli della mia vita di bambina in cui il verde non fosse presente. Quando sono andata a vivere da sola, come prima cosa mi sono immaginata e procurata delle piante (non esattamente in quest'ordine!) e le ho sistemate ovunque: in bagno, cucina, sala, ma anche sui balconi più luminosi. Ho piante da interni, da esterni, fiori, verdure, alberi da frutto, piante sospese e appoggiate, piante pendule e rampicanti, piante grasse e tillandsie.
Si potrebbe pensare che la loro vita nella mia casa sia sempre andata a gonfie vele e che i magnifici fiori bianchi, completamente fuori stagione, del ciclamino quassù siano solo l'ennesima esplosione verde tra queste mura buie e stritolate dai vicoli della mia città.

Bene, vi smentirò perché non è affatto così.
Le piante con cui sono venuta a vivere qui quasi tre anni fa sono morte tutte, tranne una. L'unica superstite è quella che vedete posata sul davanzale interno, con il bruco di metallo piantato nel vaso: lei ha resistito irriducibile, ma tutte le sue compagne sono morte strada facendo. A parte le primule che cambio ogni anno, ho dovuto dire addio ad edere, succulente e bulbi un sacco di volte, senza capire dove stesse il problema, cosa avessi fatto di sbagliato, quali parassiti fossero responsabili delle mie perdite.

Poi, improvvisamente, hanno smesso di morire.

Anche in questo caso ho provato a ragionare sui motivi: forse avevo azzeccato il vaso giusto, magari anche la quantità d'acqua e la terra erano migliorate...mille domande finché non ho capito cosa fosse cambiato davvero.
La risposta sono io.
Io sono cambiata, il mio rapporto con questa casa è differente da quello degli anni scorsi e, finalmente, ho fatto pace con un sacco di sensi di colpa e di pensieri negativi che mi hanno accompagnata per molto tempo.
E' come se le piante avessero percepito che la precarietà stava finendo, come se avessero capito che questa poteva essere davvero la loro casa perché poteva essere davvero la mia.
Ho iniziato a chiacchierare con loro ogni giorno, con costanza le saluto appena sveglia mentre apro le persiane, le incoraggio mentre do loro da bere, le curo togliendo foglie secche e rami di troppo. Ultimamente ho accolto anche alcuni nuovi arrivi da casa di Raffaele: due pothos giganti e un paio di altre piantine da interni...pensavo non avrebbero sopportato il passaggio da un appartamento luminoso al mio piccolo bunker e invece, per ora, ce la fanno.

Quindi, insieme ai bei ciclamini della foto, vivono con me tante edere rampicanti, due piccoli ulivi, qualche cactus, dei vasi tipici da lotteria di paese che però sono cresciuti a dismisura e ora popolano i miei balconi. I contenitori sono spesso abitati anche da oggetti, come dinosauri di plastica, lanterne, Mini Pony, libellule di stoffa e ballerine che sculettano ad energia solare.
Io sono felice così, con le coinquiline che misurano il mio stato d'animo ogni giorno, buttando fuori nuovi getti o seccando una foglia qua e là, raggiungendo una parete lontana o schiudendo un fiore.
In questo modo riesco a capire e quasi a sentire vicina una frase che ho sentito per la prima volta ieri sera al cinema, guardando Youth di Paolo Sorrentino:

Io sto sempre andando a casa, sempre alla casa di mio padre (Novalis)

venerdì 3 luglio 2015

Thismustbetheblog #2: L'inventore di Mostri

Scrivo questo post sotto una cascata di foglie di roverella e davanti a un cortile di pini battuti da un sole fortissimo.

Sono nel Parco dove ho trascorso più tempo: qui ho imparato a scattare fotografie e ho scoperto che mi piaceva. Qui ho fumato sigarette nell'ora di educazione fisica nascosta dietro ad un albero. Qui mi sono immersa nel fango del lago con galosce e taccuino per gli appunti. Qui ho camminato nel bosco con il naso all'insù cercando di riconoscere alcune delle essenze elencate in un plico di documenti ottocenteschi che portavo sempre con me. Qui ho scoperto il significato di piante ruderali e accarezzato le foglie lisce e scure del lauroceraso.

Qui ho deciso di scrivere la seconda puntata (ecco la prima) di #Thismustbetheblog, quella dedicata ad una persona che le storie le sa raccontare bene davvero: Valeria, L'inventore di Mostri.

Ho conosciuto Valeria per caso, che più per caso di così non si può. Nella vita virtuale non ricordo ormai nemmeno come, credo attraverso Instagram: probabilmente mi sono imbattuta in una foto che mi è piaciuta, ho cercato blog e siti annessi e mi sono ritrovata catapultata nella valigia di storie che è L'inventore di Mostri. Nella vita reale, invece, Valeria ed io ci siamo conosciute a Torino, in una città che non è né la mia né la sua, ma che ci ha ospitate per motivi diversi negli stessi giorni. Sempre grazie ad Instagram Valeria ha scoperto che ero lì a due passi da lei e mi ha scritto in posta privata su Facebook (questo per sottolineare quanto i social network possano essere preziosi, se usati in maniera sensata), tempo di un pranzo al volo e ci siamo viste all'incrocio tra due vie.
Come lo racconto? Sembravamo innamorate. Io camminavo agitata e non sapevo cosa aspettarmi, ero appena uscita da Melissa Erboristeria dove avevo conosciuto l'altra meravigliosa Valeria e vivevo ancora mezza immersa tra tisane e creme per il corpo, lei arrivava trascinandosi dietro un trolley gigante e portava con sé un paio di occhi verdi bellissimi e il rossetto rosso. Ci siamo abbracciate, anzi, a dir la verità è Valeria ad avermi chiesto un abbraccio, io come al solito ho dimostrato la stessa affettività fisica di un gatto incazzato. Comunque, subito dopo l'incontro al crocevia, abbiamo cercato un bar per un caffè.

Una volta sedute è stato tutto un susseguirsi di parole, risate, vita privata, lavoro, blog, speranze, passioni. Valeria è come la immaginavo: piccoletta (siamo in due!), sorridente e con lo sguardo vispo di chi vuole vedere il mondo da tutti i punti di vista. Nel tempo di un caffé abbiamo dovuto riassumere il passato il presente e il futuro...ma sapete che c'è? Ci siamo riuscite. Dopotutto cosa è quello che ci riesce meglio? Raccontare storie, no?

Ci "vediamo" alla prossima puntata di #Thismustbetheblog (che sarà di nuovo una figata pazzesca...vi basti pensare che tra un'oretta vado a prendere Cindy in stazione!)