martedì 31 dicembre 2013

Duemilaquattordici

Ultimo giorno dell'anno, in cucina c'è una bella luce e in sala il cristallo appeso alla finestra riflette decine di arcobaleni che incantano la gatta. Mamma fa fare i compiti a Christian che appena la vede con la tazzina di caffè in mano si preoccupa che abbia fatto colazione, è un bambino dolce Christian. I biscotti di farina di riso della Fra sono buonissimi e nonostante la nausea li mangio volentieri, mentre mi metto ancora una volta nell'ottica di scrivere questa diavolo di tesi.
Continuo a leggere post di bilanci, conclusioni, wishlists e speranze ma resisto ed evito di martellarmi il cervello con i miei obiettivi non raggiunti, da raggiungere o superati (questi ultimi, del resto, non li riesco a vedere). Ci sono cose belle nel 2013 che se ne va, ci sono piccole bolle di sapone dove sono riuscita a infilarmi e c'è una grande fortuna che mi ha accompagnato tutto l'anno: la mia casa sull'albero. Non so se ho mai spiegato qui il perché tra queste pagine venisse spesso fuori quella parola maiuscola e corsiva, l'Albero appunto, colgo l'occasione per farlo adesso. Il piccolo appartamento dove sono andata a vivere alla fine del 2012 è pieno di legno: c'è il parquet in ogni stanza, l'armadio vecchio e scuro del nonno, il tavolo da osteria nella cucina, la sedia a dondolo accanto al divano, il piccolo tavolino al posto della scrivania.
Nella mia casa c'è una parete verde alle spalle di chi dorme, ci sono piante appese e piante appoggiate, piante in serra (una mini serra di vetro posata sul frigo) e piante che colano in Vico di Coccagna. Ci sono i vasi sulla finestra del bagno, che è profonda e ospita i fiori che non si sentono tanto bene, ci sono i rami secchi che fanno ridere Andrea e la ghirlanda di fiori appassiti che dondola sotto alla mensola dei libri di botanica.
La mia casa è come un albero, un Albero della Coccagna, perché qui trovo pace e rifugio, anche quando mi sento lontana dalle mie stesse scelte. Il lettone comodo mi ospita per mangiare, dormire, leggere, studiare, scrivere e fare l'amore. Il gatto di carta attaccato ai vetri della cucina tiene compagnia a quello vero della finestra di fronte, mentre la radio suona ininterrotta e l'ennesima tisana fuma sul piano in muratura accanto al lavandino. La dispensa è chiusa solo da una tenda, con grandi alberi verdi disegnati, mentre in sala c'è la foto in infrarossi degli "alberi bianchi" di Villa Pallavicini, c'è il libro Raccontare gli Alberi che fa bella mostra di sé, ci sono l'albero di plastica posato sul muretto, quello di argilla e legno del Signor Sergio e quello piccolo da portare al dito arrivato diretto dalla Turchia. Per tutti questi motivi e perché stare a casa è per me come stare in un nido, io chiamo quel posto l'Albero, nella speranza che ci sia sempre spazio per tutti, per chi passa un attimo per poi volare via, per chi si ferma a mangiare qualcosa, per chi cerca un rifugio dove dormire e per chi ogni tanto vorrà condividere la mia tana. Quindi un buon augurio per il 2014 penso possa essere, per tutti, quello di trovare il proprio posto nel mondo, un luogo di cui avere nostalgia. A modo mio vi auguro buon anno con due link:
questo (che penso sarà uno dei primi acquisti 2014!)
e questo (che si conclude con la frase più appropriata che potessi trovare "...a song for someone who needs somewhere to long for homesick because I no longer know where home is")

sabato 28 dicembre 2013

And if you're still bleeding, you're the lucky ones

Colonna Sonora (scelta semplicemente perché i Daughter, insieme ai Beach House credo che siano la band che ho ascoltato di più in questo 2013, con ben due concerti visti e un sacco di lacrime versate, come al mio solito!)
Siamo alla fine dell'anno, giorni di tradizione: datteri ripieni di mascarpone, scambio dei regali, corse dal medico con somatizzazioni da manuale, lunghe ore di riposo, nebbiolina leggera, post di bilanci e propositi.
Ma questa volta mi frego, cinque pastiglie al giorno sono sufficienti per decidere che no, non mi guardo indietro e non cerco cosa ha funzionato e cosa si è inceppato. In verità non voglio neppure cercare nel domani, non mi interessa. Cazzate. Mi interessa eccome ma non ne ho la forza. Sto leggendo un libro, L'Orologiaio Miope di Lisa Signorile, un saggio sull'evoluzione di animali che vivono in posti estremi e sulle strategie di sopravvivenza raffinate negli anni per migliorarsi e riuscire a farcela in questo mondo di merda. Ecco, non guardare indietro e non guardare avanti è, per me, una strategia di sopravvivenza.
So che mi ero ripromessa di guidare, leggere, studiare, parlare, volermi bene...lo so perché mi conosco, ogni anno è così e ogni anno, puntualmente, mi deludo caricando i futuri dodici mesi di aspettative che so solo io, che condivido solo con me (perché ok che ne scrivo qui, ma cosa significa? A cosa serve?) e che immancabilmente disattendo alla fine dell'anno successivo. E vai di delusione al cubo.
Quindi per questa volta non scrivo nulla, anzi, mi concedo un solo obiettivo, non tanto da raggiungere quanto da perseguire ogni giorno: fare cose che mi fanno stare bene ogni volta che ne ho la possibilità.
Dal lavoro non si scappa e così dalle sue responsabilità, ingiustizie, fatiche.
Gli stronzi ci sono sempre, sempre ci saranno e le persone, anche quelle che credevi più vicine, più leali, più importanti possono fregarti in un attimo (questo non lo dimentico mai per fortuna, solo ogni tanto, quando sono stanca, debole o stranamente ottimista, tendo ad assumere la posizione della squadretta da educazione tecnica).
I problemi di salute propri e degli affetti non si cancellano, spesso non si possono prevedere, di solito arrivano e basta. Di solito ma non nel mio caso: io me li faccio venire. E il mono proposito di quest'anno dovrebbe (si spera) ovviare un poco anche a questa tendenza, perché una persona che sta bene e che insegue il benessere magari tenderà a massacrarsi di morbi psicosomatici un tantino meno.
L'incertezza economica, strettamente legata al punto sul lavoro, sarà lontana ancora per tutto il 2014, ma in questo anno dovrò darmi da fare per garantirmi un minimo di serenità futura...don't worry adesso, ci si penserà da febbraio, chiuso l'incubo dottorato.
Visto che lo sento l'istinto a progettare, programmare, rimproverare rimproverarmi, prevedere, scuotere la testa, lo chiudo qua questo insolito post di fine anno, prendendo in prestito un pezzo della colonna sonora segnalata all'inizio, che mi serva per riflettere ancora una volta sugli errori da non fare, sulle cose importanti da ricordare, sul bene che ci dobbiamo volere.

"Shadows settle on the place, that you left.
Our minds are troubled by the emptiness.
Destroy the middle, it's a waste of time.
From the perfect start to the finish line.
And if you're still breathing, you're the lucky ones.
'Cause most of us are heaving through corrupted lungs.
Setting fire to our insides for fun
Collecting names of the lovers that went wrong
The lovers that went wrong.
We are the reckless,
We are the wild youth
Chasing visions of our futures
One day we'll reveal the truth
That one will die before he gets there.
And if you're still bleeding, you're the lucky ones..."


Buon Duemilaquattordici

martedì 24 dicembre 2013

La bicicletta verde

E' la Vigilia di Natale, quest'anno sono da mamma.
Ho passato il pomeriggio a incartare regali e a dormicchiare sotto al piumone, con la gatta sui piedi.
Devo rimettermi a scrivere la tesi più velocemente possibile, il doppio laboratorio nel weekend con blog da aggiornare e foto da sistemare mi ha assorbito tempo ed energie.
Domani ravioli con la carne da sugo, spumante e chissà, magari la solita buonissima insalata russa del vicino.
Io, nel frattempo, sto malissimo, che così male era tempo che non stavo. Non ne scriverò, perché sono spaventata, sono poco lucida (per nulla lucida, in verità), perché oggi va un pochino meglio di ieri, perché magari è solo che mi sono tenuta troppe cose dentro, perché sto mangiando a bomba tutto quello che fino a poco tempo fa evitavo, perché è Natale, perché sono in ritardo su tutto, perché boh, è così.
Quindi cerco di vivermi bene questa serata, pensando che ieri ho mantenuto fede al punto D---D: la gioia vuole essere condivisa, amata e io l'ho fatto, ho condiviso e amato la gioia di chi mi sta vicino con rispetto, affetto, severità e coraggio.
Valli fredde, nebbia leggera, neve a bordo strada e qua e là tra i cigli erbosi, profumo di legna bruciata e di terra bagnata, macchine stracolme che viaggiano senza paura, biciclette verdi.
Non ho ancora avuto la voglia, la forza, di aprire il post 2012 sui propositi per l'anno nuovo, perché come sempre ho saputo rimuovere e ricordo appena ciò che ho scritto. Chissà se mi deluderò, se scoprirò che ho fatto tanto, che ho fatto bene, che ho fatto. So per certo di aver provato, quello sì, a fare meglio, ad essere meglio per gli altri e per me, ma su questo ultimo punto non sono ancora tanto brava: alla soglia dei trentadue anni in arrivo tra poco più di sette giorni non mi pare un grande risultato.
Non sarà però questo un post di bilanci, per quello voglio attendere la vera fine dell'anno, né sarà un post di lamentele, paure, riflessioni amare e tristezze. Impiego già sufficienti energie per rovinare a me e ai miei cari il Natale così vicino, credo sia giusto cercare, almeno qui nel mio sfogo abituale, di vedere al di là della malattia, della morte, della follia, del tempo che va via.
Io in questi giorni sono stata felice, felice della felicità altrui, felice per una bicicletta verde, per un presepe bellissimo dove ci sono addirittura piccole ceste piene di bambole ancora più piccole, felice per le foto del bimbo nato da poco, felice per la gatta che sta meglio e ha scelto il mio poncho di lana per i suoi riposini. E' una grande fortuna potere e sapere essere felici per gli altri, facendo diventare tua una gioia che non parte da te e non fa parte di te.
Credo di dover pensare a questo ora, lo faccio perché so che è la cosa giusta e perché non ho molte alternative, lo faccio anche perché magari così mi sveglierò e tutto mi sembrerà più semplice e raggiungibile.
Quindi, mettiamola così, invece di riflettere sui buoni propositi 2013 e 2014 pensiamo a domani, anzi, a stasera, che è già più che sufficiente.
Auguri.




giovedì 19 dicembre 2013

Una dose massiccia di vita

Oggi ho scoperto una cosa importantissima, che non sapevo o forse sì, ma che non ero in grado di fissare, a cui non ho mai dato un nome.
Oggi ho scoperto che i quattro sentimenti, quelli grandi e veri, hanno bisogno di una risposta altrettanto grande e vera e soprattutto precisa.
Rabbia, Paura, Tristezza, Gioia.
Cosa buona e giusta sarebbe intanto riconoscerli, sti sentimenti. Quando arrivano, quando vogliono uscire, quando un amico li sta provando, quando l'uomo della nostra vita è triste, quando la sorella è felice, quando siamo arrabbiati.
Io sono un disastro a riconoscerli, o anzi, faccio una cosa ancora peggiore: quando li riconosco li evito. Come l'HIV.
Non li tiro fuori, li nego a me stessa, li nascondo il più possibile agli altri e di solito ci riesco bene. Negli anni sono molto migliorata, ci sono persone a cui non posso assolutamente mentire, che mi leggono dentro e vedono che qualcosa non va, ci sono amici che mi conoscono, c'è mia mamma che sa come sono fatta, ma poco importa finché sarò bravissima a ingannare me stessa.
Ecco quindi che oggi ho scoperto che non solo è importante accogliere questi quattro cavalieri mascherati, ma che è importante pure essere ospitali con loro nel modo giusto. Faccio un esempio: abbiamo lavorato tutto il giorno, siamo andati in palestra, sono le 20.30 e andiamo a cena. Cosa ci servono nel piatto? Un'insalata semplice e una macedonia fresca. INUTILI.
Inutili tanto quanto: Andiamo a scuola, prendiamo un voto pessimo anche se abbiamo studiato tanto. Siamo arrabbiati, ci sentiamo ingiustamente valutati, arriviamo a casa e mamma dice "Ma cosa ti ha chiesto? Ma cosa hai risposto? Beh, però potevi dire meglio, se avessi introdotto quel concetto forse...se avessi approfondito quel capitolo magari...".
Ogni sentimento ha bisogno di una risposta precisa, per essere registrato, compreso e vissuto.
La rabbia vuole attenzione, deve essere ascoltata, vista.
La paura vuole comprensione, deve essere capita, abbracciata.
La tristezza vuole consolazione, deve essere coccolata, curata.
La gioia vuole condivisione, deve essere festeggiata, amata.

Io queste cose le ho sempre guardate negli altri, credo di essere un'amica discreta (in tutti i sensi) proprio perché abbastanza incline all'accoglienza, all'empatia, alla capacità di ascoltare un amico arrabbiato, di aiutare un'amica spaventata, di accarezzare un affetto triste e di fare i salti di gioia per le conquiste altrui.
Però, tutta questa grande capacità di risposta svanisce quando si tratta di me.
Negli ultimi giorni sono rimasta delusa e ho somatizzato (spero, perché al solito il mio cervello pensa ad altro) mostruosamente e in maniera pure piuttosto chiara ed evidente, proprio perché non ho saputo accogliere e buttare fuori la rabbia, in assoluto il sentimento che mi rifiuto maggiormente di provare, insieme alla gioia. Per quanto riguarda la paura, invece, sono maestra: la sento spesso, spessissimo, in maniera del tutto irrazionale, dannosa e fuori luogo. Non temo cose che ad altri farebbero cadere i capelli, affronto prove dure, di quelle toste e faticose, ma annego in un bicchier d'acqua perché da sola lo trasformo in un lago profondissimo.
La tristezza, invece, ogni tanto arriva e io quando posso mi sposto un po' più in là. A volte la confondo con la paura, a volte mi ci immergo come mi immergo nel piumone (in senso letterale: "Sono triste? Mi butto a letto"), a volte, molto raramente, la ascolto e me ne prendo cura.
Oggi però aver capito questi passaggi è stato utile, mi ha permesso di comprendere perché il senso di frustrazione e di irrisolto mi facesse visita anche quando mi pareva di aver risposto a un mio sentimento. Se si utilizza la reazione sbagliata, per esempio rispondendo alla rabbia comportandoci come se fossimo tristi, non riusciremo mai a superare il momento della difficoltà, ma anzi ci avvilupperemo in un groviglio di ansie, paure, paranoie e ossessioni difficilmente affrontabili.
Quindi, il prossimo grande passo potrebbe essere quello di accoppiare la carta A con la sua gemella, come in quei vecchi giochi da bambini in cui, inutile dirlo, sono sempre stata una frana.



martedì 17 dicembre 2013

I am enough

La presentazione di ieri è andata bene, seppure fossi meno preoccupata del previsto era comunque un passo da fare, e l'ho fatto. Mancano solo la consegna della tesi e l'esame finale, poi anche questo capitolo sarà chiuso.
Oggi quindi me la sono presa con un po' più di calma, salto dal medico stamattina, spesa veloce, tesi. Avevo anche pensato di andare a stretching alle cinque, ma poi mi sono persa, sto procedendo a rilento e preferisco prendermi tutto il tempo che mi serve, senza corse inutili.
Nella pausa caffè, gironzolando in rete, mi sono imbattuta in un video. Un cartone animato sulla differenza tra empatia e simpatia uscito su Internazionale. Carino. Poi però ne ho letto la provenienza e ho visto che era collegato ad un TED di Brené Brown, una ricercatrice dei rapporti umani che sulla home del suo blog scrive "Maybe stories are just data with a soul". Venti minuti, che non sono tanti ma neppure pochi. Ho pensato "Ok, lo vedrò, ora ho da fare"...però il titolo (Il potere della vulnerabilità ) è venuto a punzecchiarmi gli alluci per una buona mezz'ora, mentre cercavo di orientarmi tra spettri XRF e microfotografie.
E allora vabbè, al diavolo, vediamolo, mi sono detta. E l'ho visto, con iniziale piacere perché lei è davvero in gamba, è simpatica, preparata, regge benissimo la telecamera, è chiara e mai banale. Poi verso la metà del discorso le sue parole cominciano a spingermi, mi entrano dentro e improvvisamente mi raccontano, nel senso che raccontano me stessa, i miei dati con anima annessa. Spiegano a tutti la lunga analisi dalla psicoterapeuta, le interminabili e bellissime serate a parlare sull'auto azzurra, le notti insonni, l'attesa davanti al telefono, le travi sul soffitto.
Credo che questo intervento sia così illuminante e fondamentale, pur essendo anche ovvio probabilmente e per molti scontato o addirittura noioso, che dovrebbe essere proiettato a scuola e che tutti dovrebbero guardarlo almeno una volta nella vita.
Io lo metto qui sotto e vi consiglio davvero di darci un'occhiata, per una volta non ho pianto davanti alle gioie di una nascita, alle storie d'amore di un film, alle avventure di un animaletto coraggioso...per una volta mi sono commossa (e quanto!) davanti alla mia vita. Perché I am enough.
Brené Brown: Il potere della vulnerabilità.

domenica 15 dicembre 2013

Nuovi semi

Post serale, dopo più di una settimana dall'ultimo. Cosa è successo? Nulla, ho dovuto semplicemente scrivere altro. Accantonata la tesi per un attimo, mi sono dedicata alla preparazione della presentazione di domani pomeriggio: l'avanzamento del terzo anno di dottorato. Ho finito l'ultima slide dieci minuti fa, stasera non si ripete, mi addormenterei sicuramente. Visto che la riunione sarà alle quattro avrò tutto il tempo prima per cronometrarmi e ascoltarmi all'infinito, quindi ora mi regalo un po' di relax pre sonno, giusto per concludere la domenica in tranquillità.
E' stata una settimana impegnativa, soprattutto emotivamente, iniziata con una gioia gigante: una nascita! E' arrivato tra noi un piccolo uomo, aspettato con pazienza proprio fino al giorno della scadenza prevista e coccolato per nove mesi da un grande gruppo di vicini di casa affettuosi. Questa sera sono andata a trovarlo, a portargli la famosa scatola, un contenitore di cartone dove ho raccolto un po' di regali per lui, per la mamma, per il papà e pure per il cane, impacchettati pian piano nel corso di tutta la gravidanza. Qualche settimana fa avevo per caso trovato questo articolo e avevo subito pensato che il mio dono somigliasse al contributo del governo finlandese, tanto che ormai la scatola di cartone è diventata per tutti l'omaggio dalla Finlandia.
Dopo il lunedì di gioia sono trascorsi giorni di scrittura, come dicevo all'inizio: il blog di Scuola di Robotica, la presentazione di domani, un paio di pagine per un sito da riguardare al volo, la tesi e le solite duecento email. Impegni di lavoro pure la sera, pomeriggi faticosi a guardarmi dentro e via di corsa verso il week end, dove ho potuto rallentare, comprare qualche regalo per Natale, andare a trovare mamma, tagliarmi i capelli, chiacchierare a lungo, dormire un po' e concludere questi sette giorni con i respiri delicati di un bimbo che sogna.
Ora è tardi, ho bisogno di infilare il pigiama, chiudere la porta, posare come al solito il mazzo di chiavi sul piatto egiziano dei nonni, lavare i denti, leggere un paio di pagine del romanzo in dirittura d'arrivo e chiudere gli occhi. Domani ci sarà un altro passo, un nuovo seme, un avanzamento in ogni caso, che sia davvero avanti o che sia un salto indietro.
Buonanotte...

sabato 7 dicembre 2013

Basta un poco di zenzero...

Direbbe Mary Poppins. Oggi lo dico io, perché in effetti, in questa giornata di tesi, tesi e ancora tesi, prepararmi la cena di stasera mi ha dato una scusa per alzarmi dalla postazione di lavoro, una complessa struttura di cuscini, vassoi, libri, computer, quaderni e vari caricabatterie che ha trasformato il mio letto in un ufficio, con buona pace di chi inorridisce solo al pensiero che si possa studiare sotto al piumone.
Fuori dalle coperte ho freddo, la mia lotta con il termostato che vive di vita propria e che la notte si autoprogramma a meno otto gradi non è ancora conclusa, perciò preferisco starmene qui, come in Campopisano mi appollaiavo sulla tana soppalcata a scrivere articoli e leggere racconti.
Per pranzo ho mangiato un hamburger veg (soia verdure e cose simili credo) con una manciata di riso in bianco, ma il mal di stomaco in questi giorni vince sui pasti leggeri, troppo deboli per contrastare il pieno di glutine e lieviti che sono costretta a fare in vista degli esami. Quindi la cena l'ho preparata nel tentativo di riposare la pancia e ho cercato il poco che la tundra nel mio frigo poteva offrirmi: patate, cavoli, cipolle. Meglio di un quadro di Van Gogh sull'indigenza della classe contadina.
Con quello che avevo a disposizione ho optato per una zuppa, anzi, una vellutata...che fa più radical chic.
Dopo mesi di assenza dal blog, metto qua sotto una mini ricetta, dalla facilità imbarazzante.

Ingredienti (per una persona):
- 1 patata
- 1 scalogno
- 1 cavolfiore piccolo
- pepe
- sale
- zenzero in polvere

Procedimento:
Cuocere la patata fatta a pezzi, il cuore bianco del cavolfiore, lo scalogno in una pentola d'acqua bollente (e salata) fino a che la forchetta riesce a bucare le patate con facilità. Eliminare quasi tutta l'acqua e continuare a cuocere ancora un poco a fuoco vivo. Aggiungere pepe e zenzero quanto piace (a me piace, ma con parsimonia). Frullare tutto con il minipimer a immersione fino ad ottenere una crema pannosa e soffice. Io penso la mangerò con del pane nero e un filo d'olio sopra.

Difficoltà: facilissimissima
Cottura: tra il bollore dell'acqua e tutto il resto ci vorrà una mezz'ora massimo
Costo ingredienti: quasi nullo




domenica 1 dicembre 2013

A forza di essere vento

Fino a due minuti fa Agata sonnecchiava sulle mie ginocchia. Sono da mamma, è domenica, primo giorno dell'ultimo mese. Da ieri c'è un vento che porta via, sono uscita pochissimo questo fine settimana, reduce dalla febbre ho preferito riposare. L'idea, per questo pomeriggio alle porte, è scrivere un po' di tesi...come al solito mille altre cose prendono il sopravvento sui buoni propositi e persino il post su ilmareingiardino ha la precedenza.
Ho male al collo, forte. Mi spavento, soprattutto la sera, ma mi aggrappo al briciolo di razionalità che mi resta dopo il tramonto per non andare in paranoia, così il sonno anche questa volta non è mancato e sono riuscita a dormire a lungo. Ho sognato un fiume, una ragazza straniera con i riccioli biondi, una casa che non conosco, un affetto che non ho più e, soprattutto, ho sognato alberi. Mi sembravano cercis siliquastrum, dalle foglie, ma non ci giurerei. Ricordo che stavo lì, sulla spiaggetta di ciottoli vicino all'acqua che scorreva veloce e cercavo di fotografare grappoli di rami in controluce. Il cellulare faceva cilecca e ogni volta che scattavo le foglie del mio albero avevano cambiato colore, prima tutte rosa, poi verdi e viola, poi rosse, gialle, fucsia e azzurre. Parevano palloncini colorati, forse lo erano, ed è buffo, pensandoci adesso, che abbia sognato l'albero di Giuda (detto anche albero dell'amore) così pieno di sfumature, con le sue foglie cuoriformi ognuna di un colore diverso, a seconda del vento.
Un vento che in questi giorni, come si diceva all'inizio, è forte, è freddo, alza la superficie del mare come fosse un torrente veloce e non rallenta mai.
Ho iniziato un libro nuovo, Verde Brillante s'intitola, e come sottotitolo ha "Sensibilità e intelligenza del mondo vegetale". Per ora mi piace, un punto di vista nuovo su quello che ho sempre sostenuto, senza saperlo davvero. Io non sono vegana e neppure vegetariana. Le attenzioni alimentari che ho (a parte il delirio di diete e intolleranze degli ultimi mesi) sono sempre state accorgimenti di stampo egoista: non evito il pollo perché "povero pollo", né scelgo la carne di provenienza certa (= del contadino dietro casa o dell'allevatore che conosco) perché "povero vitello", prendo queste decisioni principalmente per la mia salute e per quella del pianeta in generale. Ho la fortuna di poter comprare le uova bio (e per bio intendo dei ragazzi del gas a cui mamma ordina le verdure) o, addirittura, di averle gratis dalle galline di mio zio. Sono privilegiata a potermi permettere una fettina di carne buona, allevata allo stato brado e non gonfia di ormoni, piena di coloranti e proveniente da un essere nato cresciuto vissuto e morto nella sporcizia, nella paura, nel dolore, nel buio e nella costrizione. Certo che ho a cuore cosa sente una mucca, cosa pensa un maiale, cosa provano un pulcino, una scrofa, un agnello e un fagiano, ma non sono così coerente nella vita, non faccio abbastanza attenzione, tutti i giorni, ai vestiti che compro (spesso confezionati dalle mani di un essere nato cresciuto vissuto e morto nella sporcizia, nella paura, nel dolore, nel buio e nella costrizione), agli oggetti con cui arredo casa, alle piccole scelte quotidiane che purtroppo non sempre sono all'altezza del mio predicare bene.
Nel libro che sto leggendo per ora sono arrivata al capitolo sulla vista delle piante, uno dei molti sensi che queste meraviglie naturali hanno a disposizione. Oltre alla vista hanno anche i quattro sensi rimasti, come li abbiamo noi, più un'infinità di altri, indispensabili per svilupparsi, crescere e lottare non avendo la possibilità di muoversi, spostarsi e fuggire. Le piante non sono mica così stupide da concentrare quasi tutti gli organi di senso in un solo punto, il medesimo punto dove sta il centro di controllo di questi stessi organi...chi mai lo farebbe? L'uomo, per esempio (e molti altri animali). Nella testa noi teniamo le orecchie, il naso, la bocca, gli occhi e il cervello: bastano dunque una sprangata, una zuccata seria, un cancro, una bella meningite e via, tanti saluti. Se invece, io pianta, incontro un ruminante di passaggio, magari pure parecchio affamato, che mi mangiucchia tutto il verde...probabilmente non morirò, anzi, ricrescerò ancora più rigogliosa. E quindi, nelle mie idee alimentari e non, nelle decisioni che io mammifero onnivoro e comodo prendo ogni giorno, per ora preferisco mettere insieme l'acquisto di carta ecologica all'assenza di carne avicola dal mio piatto (per lo meno finché non troverò un rivenditore che mi farà ricredere), unire la scelta di detersivi biologici alla spina a quella di acquistare olio e riso da cascine familiari con un concetto etico di produzione e distribuzione, affiancare l'abitudine di comprare pasta, caffè e cioccolata da organizzazioni eque e con una storia critica alle spalle al tentativo di privilegiare frutta e verdura a Km 0, vino buono da "niente mal di testa", spesa al mercato con poco imballaggio piuttosto che al super. Perchè in qualche modo sento che la mia impronta ecologica, sicuramente pesante e dannosa, può alleggerirsi un poco se il mio pensiero ha una partenza ampia, un abbraccio grande, seppur costruito su gesti piccolissimi, scelte minime e quotidiane, istinti verdi arrivati pian piano, crescendo.
Poi però sono mortale, mangio sushi se mi va, compro magliette economiche per la vita di tutti i giorni, ho un cellulare e un computer Samsung e lo shampoo proprio no, non riesco a comprarlo biologico perché mi fa sembrare i capelli uno sputo di mucca.
E' diventato un post impegnato, volevo solo scrivere qualcosa su questo libro piccolo, in carta riciclata, che mi porterò dietro per un po' e che mi fa volere più bene a un geranio che a un picchio. Forse, però, il fatto che mi abbia svegliato tante riflessioni, di domenica, a stomaco vuoto, è già un buon segno.