lunedì 17 luglio 2017

12 anni senza e 6 mesi con

Questa quassù è una foto di lavoro.

Questo quaggiù è un post che parlerà (anche) di quello, del lavoro.
Andiamo con ordine: sono sei mesi ora, più o meno, che ho aperto la famosa partita IVA.
Credo sia il momento di fare una sorta di bilancio e, posso dirlo forte, è andata bene. Meglio di quanto mi aspettassi, in verità.
Non sto, ovviamente, parlando di soldi: le tasse per il primo anno e l'anticipo per il secondo penso mi spelleranno viva, ma sto per affrontare i prossimi due mesi con una mole di lavoro inferiore e con una buona dose di leggerezza nel cuore.
Che poi - oh - per mole di lavoro inferiore intendo che starò completamente ferma giusto un paio settimane, come un impiegato medio.... il resto dell'estate si progetta, si va in trasferta, si provano nuovi laboratori e si alimentano le collaborazioni nate da poco.

Sì, perché di questi primi sei mesi sono le reti che ho tessuto ad avermi stupita di più. Sono arrivate inaspettatamente e hanno dato vita a progetti davvero belli, ai quali sono molto felice di lavorare.
Ho mantenuto e implementato quello che già facevo, ho aggiunto nuove attività e nuove persone nelle mie giornate e mi sono messa alla prova come mai prima d'ora.

Sono soddisfatta? Sì.

La mia paura più grande era di ripetere l'esperienza un tantino traumatica della libera professione già sperimentata in passato, invece, questa volta, il fatto di dipendere solo da me stessa per quanto riguarda presenza e impegno è stato determinante.
Certo, con la commercialista (povera donna) ho un filo diretto, tanto che quando ne parlo faccio sempre un lapsus meraviglioso (e assai significativo!): invece di dire commercialista dico, SEMPRE, psicoterapeuta. L'ultima volta giusto un paio d'ore fa.
Bene no?

Quindi, sei mesi di partita IVA e non sono ancora impazzita, non sono ancora completamente povera, non sono ancora priva di energie... quasi.

Nel titolo, però, c'è scritto pure 12 anni senza: questo lungo periodo di tempo si riferisce agli anni trascorsi senza mio padre.
Sabato scorso era l'anniversario della sua morte e io mi sono ritrovata a pensare che non mi manca più del solito, quello no, ma mi manca diversamente.
Mi chiedo spesso come sarei e cosa farei ora se lui non si fosse ammalato: la risposta non mi piace mai.
Ultimamente, invece, mi sto domandando anche cosa penserebbe di questi piccoli grandi traguardi, lui che teneva un foglietto con i voti dei miei esami universitari da mostrare agli amici, senza che io ne fossi a conoscenza.
Mi avrebbe impedito di fare il salto della partita IVA? Probabilmente sì, ma il problema non si sarebbe nemmeno posto perché non penso sarei mai andata a vivere da sola nel centro storico, se lui fosse stato vivo.
Non avrei, quindi, cambiato la mia esistenza così radicalmente, perché nulla è stato tanto sano, importante e determinante per me quanto trasferirmi in quella piccola stanza dietro alla porta rossa sui tetti.

In ogni caso chissà cosa direbbe mio padre del fatto che, per vivere, progetto, organizzo e conduco laboratori di robotica.
Lui, elettronico di super talento, in grado di riparare e assemblare qualsiasi oggetto contenente un circuito al suo interno, che mi vede adesso connettere i cavi coccodrillo a una pila per accendere un led.
Cosa farebbe?
Forse riderebbe.
Forse lo scriverebbe sul suo foglietto, accanto ai voti dell'università.


P.S.
Tornando alla foto, fatta durante l'ultima grossa fatica lavorativa (la Summer School di Scuola di Robotica, gli altri miei scatti li trovate qui), sembra proprio riferita a noi due, uno grande e l'altra piccola, così simili così diversi, così vicini così distanti.

venerdì 7 luglio 2017

Senza modifiche

Non avevo idea del titolo per questo post fino a che non ho caricato la foto quassù.
L'ho sistemata un poco con Lightroom ma quando è stato il momento di tirarla via dal desktop ho preferito quella originale, con un blu talmente intenso da fare male agli occhi. E pazienza se è un po' storta, del resto il golfo ligure non è mica dritto.

Siamo quasi entrati nel week end e una nuova settimana è trascorsa, facendo scendere a due le settimane che mi separano dalle ferie.
Non abbiamo ancora finito di prenotare tutto ma, se le cose non cambiano, dovremmo fare un bel giro nel Verdon e qualche giorno a Marsiglia. Ora non mi resta che attendere fiduciosa le somatizzazioni del caso :-)
Ma, tornando alla fotografia in apertura, si tratta di uno scatto di domenica scorsa quando, complice il vento fresco, abbiamo deciso di fare una piccola gita. Sentiero già battuto più volte, in verità, ma come potete vedere ne vale la pena sempre.
Parcheggiato il motorino a Portofino Vetta abbiamo fatto un salto al Paradiso (dove è stata scattata l'immagine) e siamo andati a mangiare a Semaforo Nuovo. Mezzo pisolino sulla panca di legno e via di ritorno per trascorrere il pomeriggio "sotto al cielo di Camogli" (cit).

Lati positivi della giornata? Tutto il sentiero nei boschi, la farfalla posata sul tronco (e le millemila che ci svolazzavano intorno), il giglio di San Giovanni a bordo strada, i ragazzi silenziosi che finalmente non rovinavano tutto con i soliti schiamazzi sul belvedere, la coppia con il cane nell'area pic nic, pure quella muta e rispettosa dei luoghi come è giusto che sia (si vede che odio chi urla nel bosco, vero?), il levriero afghano con i bigodini (giuro), il parcheggio trovato subito, il gelato per merenda, i pesciolini nel porticciolo e il sushi da asporto la sera.

Note negative, invece, solo una: il delirio di gente in spiaggia. C'era mareggiata, ce lo aspettavamo, ma mai e poi mai avrei immaginato, tentando di stendere l'asciugamano, di sentirmi rispondere che il posto era chiaramente occupato da due persone, in quel momento assenti, che però avevano lasciato l'ombrellone aperto affinché proiettasse l'ombra sulla sabbia segnalando INEQUIVOCABILMENTE la proprietà privata.

Preso. Via. Sciò.

Queste cose mi fanno diventare idrofoba, visto che, fosse per me, le spiagge libere dovrebbero essere, appunto, sempre libere e fruibili: no lettini, no sigarette nella sabbia, no ombrelli enormi che offuscano il sole a trenta persone contemporaneamente, no pallonate nei denti, no musica a tutto volume. C'è una via di mezzo, direte voi, sono d'accordo, rispondo io, ma visto che non sappiamo gestire le nostre azioni e non abbiamo buon senso (vedi prenotare porzioni di spiaggia proiettando ombre cinesi gigantesche sulla sabbia, spegnere le sigarette sui piedi dei vicini, urlare Niccccoooooooooooooola finché Nicola non esce dall'acqua ormai sordo, posizionare lettini sulla schiena altrui, sparare Despacito in loop a tutto volume tanto ormai siamo tutti sordi grazie alla mamma di Nicola, mirare alla nuca della gente seduta ogni volta che si tira un calcio al pallone), io non ho mezze misure e faccio la genovese DOC fino in fondo... odiando tutti.

Detto ciò, spiego il motivo vero del titolo, che non è dovuto solo all'assenza di modifiche della foto che ho scelto, ma si riferisce soprattutto a una cosa: io di questo mio periodo non modificherei nulla.
Forse alleggerirei un po' le spalle dalla tanta stanchezza, fisica e mentale, accumulata negli ultimi mesi ma, per il resto, va benissimo così.
E non è poco.