domenica 29 maggio 2016

Everything but the colors

Qualche giorno fa, per la seconda volta nella mia vita (della prima ne avevo scritto qui ) sono andata al cinema da sola.
"Embé, che ci vuole?" vi chiederete voi, "Molto", vi rispondo io, che amo tanto fare cose in totale solitudine, ma che vivo ancora malissimo l'idea della sala buia con le poltrone vuote attorno a me.
Per provare a non soccombere alla tristezza ho scelto lo spettacolo pomeridiano, sostituendo l'ora di pilates con ottantacinque minuti di film.

Ma cosa sono andata a vedere?
Questo.
Da Monet a Matisse, l'arte di dipingere il giardino moderno è, in realtà, una mostra a tutti gli effetti, un documentario davvero ben girato sull'attrazione di alcuni artisti per il giardinaggio e sull'enorme peso che questa passione ha avuto nella loro produzione.
Realizzato da David Bickerstaff per Nexo Digital ci offre un tour all'interno di Painting the Modern Garden: Monet to Matisse, splendida esposizione della Royal Academy of Arts, presentandoci opere e pittori, raccontandoci nei minimi dettagli gli spazi verdi che Monet, Nolde, Pissarro, ma anche Matisse e un insospettabile Kandinsky hanno rappresentato nella loro arte o addirittura curato in prima persona.

Del meraviglioso giardino di Giverny è suferfluo scrivere qualsiasi cosa. Conosciamo tutti le ninfee o il piccolo ponte verde, ricordiamo l'ossessione di Monet per gli accostamenti cromatici e per la luce, la ricerca quasi maniacale di essenze sempre nuove e stupefacenti, il dolore di fronte alla guerra e alla cecità incalzanti, colpevoli di tenerlo lontano da questa sua profonda passione.
Quello che credo sia assolutamente interessante nel film è il punto di vista dei vari studiosi intervenuti durante le riprese: dalla storica dell'arte al curatore, dal giardiniere all'artista, dal paesaggista all'esperto, tutti hanno contribuito a mostrare quanto la forma mentis di un pittore possa trovare un'inattesa corrispondenza con quella di un appassionato di giardinaggio. Sono due mondi paralleli che si incontrano tanto nell'arte en plen air quanto nella sistemazione di uno spazio verde immaginandolo come una tela vuota, pronta per essere dipinta.

Everything but the colors, il titolo che ho scelto e che è tratto da una delle interviste presenti nel film (che, non l'ho ancora scritto, ha anche il grande pregio di essere in lingua originale con i sottotitoli), sottolinea proprio l'importanza dei colori per questi artisti di giardino. Potevano fare a meno di tutto, sia nelle azioni pratiche all'aperto, sia nei loro studi davanti al cavalletto, tranne che dei colori.

E io, che sotto il segno della parola giardino ho fatto nascere questo blog, non posso che essere d'accordo.

P.S. Il documentario era nelle sale unicamente il 24 e 25 maggio 2016, ma immagino che presto si potrà trovare on-line o in dvd.
La foto quassù è stata scattata all'Orto Botanico di Bergamo, uno dei miei nuovi luoghi del cuore.

martedì 24 maggio 2016

Piccole cose sparse


Questa Primavera è una Primavera lenta.

Scorre piano e mi lascia molto tempo per pensare, non che questo sia per forza un bene (anzi), ma è così.
A Maggio ho provato a non comprare l'abbonamento dei mezzi pubblici, facendo affidamento su tutto questo tempo nuovo che non ricordo di aver mai avuto: è stata un'ottima idea, perché sono costretta a camminare tantissimo per coprire percorsi, anche lunghi, che di solito facevo in bus. Si parla di passeggiate di mezz'ora/quarantacinque minuti, almeno, che mi consentono di riflettere, riflettere, riflettere, guardarmi intorno, ascoltare musica e... riflettere.
Entrambi i lavori (che prima o poi, un post su quello che faccio per vivere, lo dovrò pur scrivere) stanno bene, tra poco vado a un incontro con l'editore del mio libro per bambini, il manuale di robotica è quasi in stampa, i laboratori continuano più raramente ma continuano (e la foto scelta oggi ne è una valida testimonianza), le attività a Staglieno entrano nel vivo proprio ora, sempre che si possa parlare di attività vive in un Cimitero.

Non ci sono novità, dunque, se non quelle che affollano più del solito la mia testa senza pace.

Penso che quindi oggi sia una buona occasione per sfruttare l'eterno potere degli elenchi, in cui riesco sempre a visualizzare la bellezza inaspettata, piccola quanto grande, incontrata sulla (buona) strada.
Ecco, in ordine casuale, venti cose che hanno accentato giornate apparentemente semplici, a prima vista tutte uguali, ma in verità sempre diverse:

1. Le orchidee selvatiche del Parco di Portofino
2. Il profumo di Emiliano
3. Un tramonto dal tetto degli aperitivi
4. Una conchiglia trovata per caso, in pieno centro, in un giorno difficile
5. Un'altra conchiglia cercata e regalata, che dal mio collo non se ne andrà mai più
6. Il blu della mia città in una mattina assolata di maggio
7. Gli anemoni che danno i pizzicotti (cit.)
8. Una pizza improvvisata dopo una lunga giornata di lavoro
9. Il primo bagno in mare dell'anno e i suoi tesori
10. Un nuovo libro da leggere
11. Il Leggermente appena pubblicato su A Casa di Cindy
12. Le idee per il futuro che scorrono facili in un pomeriggio d'ufficio
13. L'ultima #fogliagentile lasciata al volo in ascensore
14. La mattina dall'Editore per sistemare immagini e correzioni
15. Le cene lunghe e buone, tutte fatte in casa, dal pane al budino
16. Le camminate silenziose, al sole, costeggiando il mare
17. I ritrovamenti inaspettati, perfetti per arredare gli ultimi pezzi dell'Albero (ecco a voi, il mio nuovo comodino)
18. I cagnolini che nuotano attirando gabbiani
19. Le chiacchiere sulla panchina, la sera, perché ormai è come d'estate
20. Questa cosa di angoscia nel cuore, che non va via, e probabilmente è giusto così

domenica 15 maggio 2016

Un brusío di silenzio


Ogni cosa è isolata davanti ai miei sensi,
che l'accettano senza scomporsi: un brusío di silenzio.
Ogni cosa, nel buio, la posso sapere
come so che il mio sangue trascorre le vene.


Qualche giorno fa ho fatto un test. Uno di quelli stupidissimi che Facebook ogni tanto si ostina a propinarmi inutilmente. Questa volta mi sono lasciata incuriosire e ho provato: era legato al mio segno zodiacale e prometteva di rivelarmi a quale poesia fosse associato il Capricorno.
Per la cronaca, io non credo nell'astrologia e mi diverto unicamente a leggere l'oroscopo di Brezsny su Internazionale, il perché non lo so e non ho nemmeno voglia di chiedermelo. Forse mi pare intelligente, ironico e simbolico quanto basta per non trovarlo noioso e stupido.

Ad ogni modo, il fantomatico test ha dato come risultato le quattro righe che vedete quassù in corsivo. Si tratta di uno stralcio di Mania di solitudine, poesia per nulla facile e leggera di Cesare Pavese. Perché l'ho presa tanto sul serio da scriverne un post? Perché (santo cielo) mi ci sono ritrovata completamente. Leggendola tutta sono a disagio, riconosco bene ogni sensazione descritta ma non la sento sulla mia pelle. Quelle poche parole proposte dal test, però, sì.
Eccome.

Mi trovo spesso a ragionare da sola su quello che sarà di me, su come continuerà la mia vita, sulle possibilità lavorative che forse arriveranno o forse no, su una ipotetica famiglia del futuro che chissà se mai nascerà. Lo facciamo tutti, credo, a questa età.
Però, ultimamente, c'è una cosa che accade sempre più spesso e che lo sento, davvero, quanto mi faccia bene. Quella cosa è l'improvvisazione: alla ricerca della bellezza. Zero programmi, cento soddisfazione. Sono già cambiata molto, rispetto al passato in cui calendarizzavo ogni cosa, ora però mi lascio assai spesso trasportare dagli eventi.
Una delle ultime occasioni è capitata il week end scorso, a Bologna, quando mi sono ritrovata per caso un giorno in più su una tabella di marcia inaspettata e questa modifica, prima presa malissimo e maledetta per un pomeriggio intero, è diventata, semplicemente, un'opportunità. Siamo andati a visitare la mostra di Hopper ma, cosa ancora più improvvisata, ci siamo arrampicati fino lassù, al Santuario di San Luca. Andateci, a piedi mi raccomando, percorrendo gli infiniti portici in salita, tra gente che corre, marcia, chiacchiera e fotografa.

Siamo riusciti a fare una gita nella gita: che bellezza!

Ieri mattina, per occupare al meglio un sabato pre lavorativo abbiamo finalmente visto la mostra di Salgado e poi ci siamo persi per i vicoli della nostra città dove, di nuovo inaspettatamente (forse nemmeno troppo, conoscendomi), sono riuscita a comprare un maglione, una borsa, un vestito e un dinosauro di plastica con diciannove euro al mercatino di quartiere. Se non è un'occasione questa!

L'ultima opportunità improvvisa, colta al volo sul bus mentre tornavo dalla visita a una nuova vita appena arrivata, la vedete quassù: il tramonto su Genova di ieri sera. La foto non è mia, ovviamente, visto che mentre il cielo si faceva giallo zabaione io mi lasciavo sballottare beata dal diciassette barrato, immersa nel mio solito brusío di silenzio. Però, appena ho capito cosa stava succedendo, gli ho mandato un messaggio: "fai un po' una foto al tramonto, immagino sia bellissimo".
Lui l'ha fatta.
E me l'ha mandata.

P.S. Lo scatto è di Andrea.





venerdì 6 maggio 2016

Warriors o Worriors?

Ho in mente questo post da un bel po' di tempo, ma non riuscivo a farlo partire.
Questa settimana, complici alcune situazioni un tantino spiacevoli (leggi: che mi hanno fatta incazzare da morire), ho deciso di scriverlo davvero.
Sta tutto racchiuso nel titolo, il senso di quello che voglio tirare fuori.

Da qualche settimana ho iniziato a guardare una nuova serie in streaming, How to get away with a murderer; in questo modo ho fatto l'en plein con Shondaland. Non so ancora se mi piace, ma continuo a vedere puntate su puntate e, alla fine, mi lascio prendere dai casi di omicidio di ogni episodio. Cosa mi colpisce di più? Come al solito i dialoghi: non essendo abituata a guardare la tv, che ormai non possiedo più da anni, resto incantata quando i protagonisti parlano fitto fitto, quando si urlano contro, quando spiegano le cose. Dal momento che questa serie è basata quasi esclusivamente su momenti di arringhe, accuse e aule di tribunale, i dialoghi sono moltissimi.

Tutti gli streaming che guardo sono in inglese con i sottotitoli in italiano, sono convinta (ma non sono certo l'unica) che non ci sia nulla di più bello che godersi la recitazione originale, con le voci autentiche degli attori, le cadenze e le tonalità. Per darvi un'idea di cosa intendo ecco una scena di Scandal che ho amato moltissimo e che, diciamocelo, se fosse stata doppiata in italiano ci saremmo persi la meraviglia della voce di Joe Morton (premiatissimo per la sua interpretazione nella serie).

Ma, ritornando al titolo e al post, cosa vuol dire "Warriors o Worriors"? Intanto la prima parola esiste e la seconda no, se non in gergo. Warriors vuol dire guerrieri e worriors si può, forse, tradurre con "persone che tendono a preoccuparsi, a vivere la vita con preoccupazione". Da dove arriva questa idea? Da una puntata di How to get away with a murderer, quando Annalise, la protagonista, accusa uno dei suoi di essere un worrior. Io, ascoltando le battute in inglese senza soffermarmi troppo sui sottotitoli, subito non avevo capito, perché credevo avesse detto guerriero e, in quel contesto, mi sembrava non ci fosse nulla di sbagliato a comportarsi da guerrieri, anzi, mi pareva che la persona che si stava pigliando la sgridata non fosse affatto un gran lottatore. Poi ho fermato tutto, ho cercato di ascoltare meglio, ho spulciato il web e ho trovato le risposte: Annalise aveva detto preoccupone (mia personalissima traduzione della nuova parola imparata), non guerriero!

Questo errore di comprensione si è stabilito nel mio cervello, saldamente, da settimane. Perché io, alla fine, non credo ci sia poi così tanta differenza tra i due termini, per lo meno non dentro di me.
Certo, sono famosa per essere una che si preoccupa troppo, al liceo mi chiamavano miss paranoia e non avevano tutti i torti. Crescendo sono migliorata, anche perché essendo una persona molto razionale riesco abbastanza a tenere a bada i momenti di stress. Non tutti, però: nelle situazioni in cui avverto pericolo per i miei cari vado fuori di testa. Ma proprio che non ragiono più e non so come comportarmi. Sia chiaro, agli altri cerco di non mostrarlo, ma nel mio cuore muoio piano (neppure troppo, piano). E quindi lotto, lotto per resistere, per darmi una calmata, per tenere lontano i vecchi attacchi di panico, per non prendere più nessuna medicina, per non farmi deridere, per non essere di peso, per aiutare, per non sembrare isterica, per non venire allontanata, per non essere lasciata, per meritare ancora amore. Lotto fortissimo nel momento in cui sono più spaventata, fragile e preoccupata.

Una guerriera preoccupona. Ecco cosa sono.