sabato 30 marzo 2013

Nella pioggia e nel sole

Piove. Da giorni, ormai, non fa che piovere. Ogni tanto una breve schiarita e poi di nuovo acqua. Debole, forte, con il vento, a gocce grosse, a gocce fini, senza tuoni, mista neve...acqua di ogni tipo, che bagna, che scola, che irrita, che inzuppa, che inumidisce, che infeltrisce, che ricopre, che fa pozzanghera, che rovina, che disturba, che complica, che piove. Piove sulle mie giornate di lavoro, piove sul tragitto da casa al supermercato, piove sul giardino incantato, piove sulla lana di mamma, piove sui miei vestiti nuovi, piove sul concerto di De Gregori, piove sul compleanno dei gemelli, piove sulla cena al ristorante giapponese, piove sulle scatole dell'IKEA, piove sui miei pensieri silenziosi, piove sulle colazioni al bar, piove sulla mia gatta nascosta in un angolo, piove su di noi che camminiamo vicini.
Ho scritto tante volte del concetto di equilibrio. Tutte le volte che mi trovo a riflettere su questa parola mi vengono in mente punti di vista diversi, sfumature, interpretazioni, esempi, immagini che potrebbero spiegarla. Tutte ugualmente valide per me, tutte ugualmente delicate...equilibrate.
Il groviglio di pensieri che ho in testa in questo istante spero si possa dissipare, come spesso mi accade, srotolandolo nella scrittura, nel caso non dovesse succedere temo che questo post risulterà una pagina incomprensibile anche a me stessa.
Ci provo.
"L'arrampicata è una successione di stati di equilibrio". Lunedì sera, rannicchiata in una poltroncina del cinema vicino all'albero ho guardato i video del BANFF, festival di montagna canadese arrivato quest'anno anche in Italia. Inutile che descriva la quantità di immagini legate al concetto di equilibrio che sono apparse davanti ai nostri occhi: climbers, funamboli, ruote in bilico, canoe sulla punta di un onda, lamine su una cresta di neve, braccia aperte ad aiutare il baricentro, piedi sulle punte, racchette tese...
Martedì ho portato mamma a teatro, regalo di compleanno leggermente anticipato, suonava De Gregori uno dei suoi cantanti preferiti e mesi fa le avevo comprato un biglietto in quarta fila.
Nelle canzoni di De Gregori non ho fatto altro che trovare riferimenti all'equilibrio, "tu che non credi ai miracoli ma li sai fare", "nella pioggia e nel sole", "fra le pagine chiare, fra le pagine scure", "i miei alibi e le tue ragioni", "è tutto quel che hai di me. È tutto quel che ho di te", "buonanotte tra il mare e la pioggia" e mille altre citazioni che raccontano di compensazioni, compromessi, bilanciamenti.
Giovedì ho lavorato quasi tutto il giorno al museo, solite analisi XRF, soliti camici pesanti, solita fatica, soliti dubbi e solite soddisfazioni. E, come al solito, c'è voluto equilibrio. Lo strumento che ha bisogno di pazienza e delicatezza, le analisi che vanno a buon fine solo se la mano resta ferma, le posizioni in bilico da tenere per lunghi e stancanti minuti affinché i risultati appaiano correttamente sul piccolo schermo integrato.
Ieri la ricerca di equilibrio si è fatta ancora più concreta, ho iniziato un nuovo libro (abbandonando, ormai terminato, il secondo e ultimo volume di 1Q84), ho provato a guardarmi dentro per l'ennesima volta e ho deciso di cominciare un percorso. Credo sarà un viaggio lungo, sicuramente sarà doloroso, spero mi aiuteranno le prossime intense giornate di lavoro e l'accoglienza della mia casa dove medito di rifugiarmi il più spesso possibile. Se poi la pioggia dovesse finalmente lasciare un po' di spazio al sereno mi auguro di poter affiancare al pilates, da poco ripreso dopo il mese di sofferto stallo, lunghe e tiepide passeggiate di primavera. Un posto che vorrei visitare è la Farmacia S. Anna, in Circonvallazione a Monte, segnalata da una compagna di blog davvero preziosa (http://dearmissfletcher.wordpress.com/2013/03/26/i-segreti-di-frate-ezio-e-della-farmacia-santanna/)...qui spero di trovare, per l'ennesima volta, un po' di equilibrio, tra erbe, pozioni, profumi e ricette...nel silenzio del chiostro, con le rose di maggio.
Nel frattempo ripenso a quella scatola fotografata nel deposito qualche giorno fa, arrivata dalla Francia credo contenesse un dipinto, qualcosa di prezioso da maneggiare con cura. Come i nostri sentimenti. I miei e i tuoi.
Handle with care.











sabato 23 marzo 2013

Fili

Non so da che parte cominciare per scrivere questo post.
Qualche mese fa a Genova è nevicato forte, o così avevano previsto. In realtà la bufera non è arrivata e io, insieme al vicino-vicino, sono uscita a fare colazione e a disturbare un altro vicino al lavoro. Quella mattina, a Palazzo Ducale, ho trovato un volantino azzurro, che parlava di intrecci, bombing e cose simili a me sconosciute (o quasi). Chiesti lumi ai preparatissimi amici presenti ho scoperto questa iniziativa: "Intrecci Urbani, Yarn Bombing a Genova". Cos'è? Un modo semplice per spiegarlo è invitarvi a immaginare gruppi di persone (donne per lo più), di qualunque età (dalle adolescenti alle anziane), di qualunque ceto sociale (dalle radical chic alle pensionate di periferia), in qualunque luogo (scuole, cafè, biblioteche, carceri) che con periodicità si incontrano per lavorare a maglia e creare intrecci. Ma intrecci in che senso? Intrecci nel senso di relazioni, ma anche nel vero senso del termine, quindi intrecci di fili, punti, calature, ricami, accostamenti. Però in questo modo ricado nella stessa situazione di prima: accostamenti in che senso? Nel senso di accostamenti di colore ma anche di vicinanze di vite, di comunione di intenti, di finalità comuni. Per non perdere il filo del discorso mi attacco a quest'ultimo concetto: le finalità comuni. Dove vanno a finire i chili di lana tessuta da queste belle signore sparse in città? Nel posto forse più famoso, visibile e rappresentativo di Genova: il Porto Antico. Ma è prevista una mostra? Un mercatino? Un'esposizione? No, è prevista un'istallazione. Un bombardamento di filati (yarn bombing, appunto) coloratissimi, pelosi, lisci, eleganti, kitsch, complicati, semplici, divertenti, difficili...con un obiettivo comune: rivestire panchine, palme, ringhiere, alberi, gru, colonne, trenini, lampioni, statue e fontane del porto. Da Palazzo S. Giorgio all'Acquario, da Eataly al Mandraccio, dal Bigo a Porta Siberia...il mare vicino a centinaia di fili azzurri come lui, pesci in acqua e pesci al sole, polpi e seppie, fiori e foglie, giraffe, gufi, leoni, ombrelli, conchiglie, coralli, nuvole, gocce, gatti e verdure. Improvvisamente, in mezza giornata o poco più, sugli alberi di fronte ai Magazzini del Cotone sono nati strani frutti a righe, i tronchi si sono illuminati di colori, le panchine rivestite di morbidi plaid, le ringhiere ricoperte di lana lasciano intravvedere la Bolla di Renzo Piano sulla sponda opposta, Gandhi ha acquistato un paio di scalda muscoli della pace e le fredde colonne dell'Acquario ora fioriscono vivaci.
Naturalmente viene istintivo parlare dell'effetto visivo sorprendente che hanno questi lavori esposti al primo sole di primavera, così come è facile riferirsi al post installazione, quando queste piccole/grandi opere d'arte saranno rifilate per realizzare coperte destinate ad aiutare persone senza fissa dimora, canili e gattili.
Il grande significato di questa iniziativa, però, io penso stia "nel mentre". Nel periodo intercorso tra la nevicata di qualche mese fa e ieri. Inutile che vi dica dove sia finito il volantino trovato al Ducale, tra le mani di mamma il mio invito a partecipare è diventato subito realtà (la foto è un particolare della sua coperta marina, rivestimento di ringhiera sotto al Bigo), portandola ogni giovedì mattina a incontrare altre volenterose signore nella Biblioteca Benzi di Voltri. Qui, le Yarn Bombers de' noantri, pronte a dare il loro personale e creativo contributo a questo festival di proporzioni enormi (pare migliaia di partecipazioni, il più grande evento del genere mai realizzato in Italia), si sono scambiate esperienze, consigli, idee e hanno condiviso il proprio tempo.
Come nel caso di mamma, anche in altri posti le donne si sono date appuntamento per creare qualcosa insieme, qualcosa di gioioso e (per una volta, finalmente) staccato dalle "pesanti azioni di volontariato" che si praticano di consueto, indispensabili e meravigliose, per carità, ma ogni tanto credo sia bello anche fare del bene stando bene.
E quindi, riacciuffo il filo e penso alle ragazze dell'Istituto Duchessa di Galliera che preparavano le loro belle opere con le insegnanti, alle signore anziane che sferruzzavano insieme invece che stare a casa e che due giorni fa si aggiravano per il Porto alle 8.30 di mattina cariche di borse colorate e allestivano felici aiutate da mariti volenterosi e nipoti divertiti, alle donne del carcere di Pontedecimo che contribuivano a questo grande progetto con la loro abilità e con i loro cuori pieni e a tutte le persone che si sono ritrovate, come me, ad emozionarsi e scattare foto nel pieno sole caldo del primo giorno di Primavera.

lunedì 18 marzo 2013

Macchina drogata

[Potrebbe essere utile leggere questo post ascoltando l'album The Idler Wheel is wiser than the Driver of the Screw, and Whipping Cords will serve you more than Ropes will ever do di Fiona Apple, l'ho fatto casualmente mentre lo scrivevo ed è perfetto per creare la tensione necessaria a capire il mio sonno]


Ho dormito tanto, mi sono svegliata per il caldo, avevo mille gocce di sudore in mezzo ai seni.
Sogni di un'angoscia lontana, come non mi accadeva da tempo, così pieni di significato da non dimenticarli nemmeno dopo un po'.
Come spesso mi accade i sogni sono stati un'appendice della realtà, quella che stavo vivendo un attimo prima di dormire.
E quindi il bucato è sparso per la casa, non più in lavatrice dove l'avevo lasciato. I calzini che credevo puliti puzzano e i reggiseni che avevo sistemato nella scatola sono invece umidi, in un angolo del salotto. Che succede? C'è qualcuno in cucina? Devo uscire.
Perché giù nel vicolo qualcosa non va? Perché mi fanno male i piedi? Li guardo quei piedi e le scarpe non sono le mie...io non ho stivaletti bordeaux a punta, non porto il 39, quelle scarpe non sono le mie...ma io sono io?
Torno indietro, mi serve uno specchio, ma non riesco a camminare...salto. Salto scoordinata, sgraziata, come una goffa bimba felice. Dietro di me tante voci, c'è un'operatrice della TV con una telecamera, che racconta agli spettatori questo angolo di Genova, con lei almeno venti persone con i microfoni, di quelli lunghi e pelosi, che si drizzano verso le finestre e captano tutto.
Ok, ragione di più per chiudermi in casa e controllare di essere veramente io. Oddio, ho preso le chiavi? Sì ce l'ho. Pfiu.
Ma non girano nella toppa, non aprono il portoncino verde. Perchè? Perché il portoncino non è verde, non è casa mia questa. Dove sono?
Il posto lo conosco, sembra quello dove ho passato gli anni della mia adolescenza, sempre vicoli stretti ma lontano da qui. Devo trovare casa, devo camminare.
Un signore anziano si offre di aiutarmi, mi dice che non ci conosciamo ma che in fondo io so chi è lui, mi tocca e si scusa, forse la mia casa l'ha spostata lui per sbaglio l'altra sera. Devo continuare a cercare, magari se passo dalla piazza mi oriento meglio. Ma come sono vestita? Dove sono finiti gli stivaletti? Perchè indosso una salopette con i pantaloni corti e le Superga verde acqua di quando ero bambina? Ho la calza elastica sul polpaccio sinistro, non posso essere piccola, sto anche fumando una sigaretta.
Infilo Vico Parodi automaticamente, come a quindici anni, sulla mia sinistra due vecchi amici bevono una birra, ma ho fretta e fingo di non vederli. A metà della strada buia e puzzolente alzo gli occhi e vedo due persiane socchiuse, incastrate tra gli scuri una di fronte all'altra ci sono due foto. Mio padre e Io. Li ho messe lì io quelle fotografie? Non ricordo. Perché lui è senza barba e ha il naso a punta? Sembra quella lapide che ho visto al Verano l'altro giorno. Io sorrido e ho gli occhi spalancati, porto il grembiule dell'asilo con il mio nome ricamato sul colletto. Rivoglio quelle foto, ma non posso suonare alle porte adesso, prima devo trovare casa mia.
Ricomincio a camminare verso la stazione, ci sono delle signore che parlano e una dice all'altra che deve trovarsi un compagno più bello, non come l'ultimo che era brutto e sgradevole. Ma la sua amica non vuole, preferisce stare da sola. Proseguo oltre, sono quasi in stazione, qui c'era il veterinario dove venivo da piccola con il siamese. Ma sono a venti chilometri da casa, come farò a trovare il portoncino verde così lontano? Ho caldo e ho fretta. Ho caldissimo. Un treno fischia.
Mi sveglio.
Non ho più trovato casa mia.

P.S. Il titolo si riferisce ad un'opera di Vincenzo Agnetti, vista questa mattina nei depositi del museo di arte contemporanea della mia città. Questo lavoro mi ha colpita molto, mi ha commossa. Chissà che, in qualche modo, lavorando in profondità, non abbia condizionato il mio sonno.

domenica 17 marzo 2013

Rome wasn't built in a day

Di ritorno da un viaggio a Roma di tre giorni, un po' per dovere e un po' per piacere, dove ho visto e fotografato (anche se qui metto solo un'immagine del rientro in treno) un sacco di posti meravigliosi, ho visitato tre mostre splendide, ho mangiato cibo buonissimo e ho lasciato mal di stomaco e di gamba a casa.
L'unico modo che mi riesce, questa sera, per raccontare cosa è stato per me questo breve viaggio è, come spesso mi accade, l'elenco:
I buchi del travertino, l'azzurro del cielo, gli occhi a mandorla, il pepe sui bucatini al cacio, le viole del pensiero nella veranda, l'insegna del "Sottocasa di Andrea", il tram verde n°3, la cartina della città sempre troppo grande, il tossico senza denti che fischiava sul bus, i licheni sulla guancia dell'angelo al Verano, il baccalà fritto, i capelli fini delle donne di Tiziano, i fiori gialli tra le rovine, la musica diffusa nel Chiostro del Bramante, il cavallo bianco in Piazza di Spagna, il tabaccaio col ciuffo, la bambina spagnola che gioca sotto al tavolo in trattoria, i ritratti dipinti tra le tombe, il braccio del manichino sul lunotto della roulotte, i peli pubici delle foto di Newton, la marmellata di visciole, il ragazzo nero seduto di fronte a me sul 492, il gufo posato sul culo di un uomo nei "Sette peccati capitali" di Bosch, il gelato più schifoso di tutti i gelati del mondo, il muccetto alto che ho adesso mentre scrivo, le ultime pagine di "Tutta la vita davanti" che ho letto all'andata, il signore con la gamba di ferro seduto all'angolo di una via, il violinista che suonava sotto l'arco buio, le pantofole di Pluto della ragazza che alloggiava accanto a noi, il tramonto sulle pozze d'acqua che ho fotografato poco fa, gli incontri immaginati che poi si sono avverati, la musica di Einaudi che sto ascoltando, le cose che non ho capito al workshop, il pensiero a mio padre che mi accompagna sempre quando viaggio in treno, la gatta morbida che si è strusciata sulle mie gambe al cimitero, i preti tedeschi pieni di anelli seduti al ristorante, la carbonara indigeribile del pranzo di oggi, lo shampoo immancabilmente aperto in valigia, le prove di foto vicine e lontane, con la luce e con il buio, in appoggio e in movimento, i miei vestiti gialli, i negozi di antiquariato pieni di oggetti bellissimi, la sete di notte, la voglia di casa.

venerdì 8 marzo 2013

Io (non) l'8 ogni giorno

Il titolo è una frase che oggi trovo ovunque, slogan dell'8 marzo di quest'anno.
Su facebook tante amiche l'hanno condivisa, io non me la sono sentita, non credo di lottare granché. Sono fortunata. Oltre che fortunata, però, sono sempre piuttosto a disagio quando si parla di festa della donna, parità e uguaglianza tra i generi.
Certo, avere gli stessi diritti, non essere considerate inferiori all'uomo, viaggiare attraverso la vita con le medesime opportunità: questi sono concetti sacrosanti.
Per il resto noi siamo diverse dagli uomini, vivaddio! Ma siamo diverse anche tra noi. La lotta vera, secondo me, dovrebbe riguardare la parità di diritti tra le persone, non (solo) tra i generi. Una donna che vive in ristrettezze economiche o in contesti culturali diversi da me non avrà le mie stesse opportunità di affermazione sociale, scolastica, per non parlare dell'aspetto lavorativo. Queste mi sembrano le grosse difficoltà del nostro tempo, i grandi limiti di oggi. Quante donne se vogliono fare figli si scontrano con l'impossibiltà di carriera, si trovano di fronte altre donne che hanno rinunciato alla maternità (o non l'hanno mai desiderata, perché no) e che sono pronte a calpestarle o isolarle.
Forse queste mie riflessioni possono sembrare scontate o retoriche, ma io, i soprusi più grandi, quelli che hanno tentato di soffocare i miei pensieri, che hanno colpevolizzato il mio modo di essere, che mi hanno fatta sentire in minoranza, li ho subiti prevalentemente dalle donne. E dire che di conti in sospeso con gli uomini ne ho abbastanza...
Però, nonostante abbia sempre cercato di soddisfare le richieste dei maschi della mia vita, anche quando mi parevano esagerate, orribili o ingiuste, non ho mai pensato di essere io quella in errore, ho piuttosto sempre ritenuto corretta (sbagliando ovviamente) l'accondiscendenza. Con le donne, forse perché dalle compagne di lotta mi aspettavo maggiore vicinanza, le delusioni sono invece sempre state più cocenti, così come le rabbie e le profonde sconfitte. Critiche, giudizi, consigli non richiesti, voltafaccia, sentenze, cattiverie, ripicche, soprusi, mancanze di rispetto e, soprattutto, incomprensione. I social network e il web (unica forma di comunicazione "tecnologica" che ormai possiedo, insieme alla radio, non vedendo la TV) sono pieni di ragazze che rivendicano l'emancipazione totale, la libertà di espressione, la forza della femmina, per poi vestirsi da prostitute d'alto bordo nel tentativo di aizzare gli uomini e sminuire le amiche magari meno belle, meno ricche o semplicemente meno spavalde. Queste cose mi spaventano, mi pare che le battaglie di mia mamma e delle sue coetanee siano finite nel peggiore dei modi, in semplici chiacchiere sulla donna che ormai sa usare il trapano come l'uomo o il maschio che ha imparato a cucinare. In casa però ci si ammazza ancora di botte e le vicine di pianerottolo, pronte a scrivere di dignità su twitter, "non hanno sentito nulla".
Ieri al Circolo si è parlato di differenza di generi e, a parte qualche riflessione che ho sentito troppo antica o come diceva Ceci troppo distante da noi (come si fa a rivendicare il diritto al congedo di paternità in un momento storico in cui i padri il lavoro lo perdono, ce l'hanno precario o non lo posseggono affatto?), alcuni concetti mi sono piaciuti.
Quello di "conflitto" per esempio, che non è litigio o violenza ma confronto e ricerca di armonia. Armonia intesa non come complementarietà, anzi, ma come cammino verso un equilibrio. Una parola bellissima equilibrio.
Un altro termine che ho sentito subito fare effetto sui miei pensieri è stato "alleanza" e stamane, cercando in rete, ho trovato questa intervista ad Erri che ne parla subito, a proposito del suo rapporto con le donne:
http://errideluca.free.fr/Intervista%20isabella.htm
Bellissimo, a mio parere, il passaggio in cui dice "...due estranei più o meno coetanei che non vengono dalla stessa famiglia, che non si conoscono e che si scelgono, stabiliscono alleanza e futuro".
Con questo mio post non voglio, intendiamoci, sparare a zero sull'universo femminile (del quale per altro sono fiera di fare parte), solo mi pare alquanto riduttivo inscatolare tutte le difficoltà che le donne affrontano ogni giorno in un problema di differenze tra maschio e femmina.
Sempre ieri sera si parlava, con una punta di disapprovazione, della risposta che le più giovani danno (ancora) oggi alla domanda "cosa cerchi in un uomo?". Di solito è "protezione". So bene che la donna dovrebbe proteggersi da sola, accettarsi, vivere la propria vita nel rispetto di se stessa e delle sue esigenze, ma perché, in tutto questo, non può desiderare due antiche braccia forti pronte ad aiutarla nelle prove in cui si sente perduta? Mica è reato dire "non ce la faccio, aiutami tu". Io credo che le difficoltà più grosse, per me, nel vivere le cose di ogni giorno, siano state causate proprio dal non saper chiedere aiuto, dal non saper dire ho bisogno di te, di qualcosa di più, di una mano sicura. Con la convinzione di dover diventare l'emancipata ragazza "che non deve chiedere mai" ho passato anni a cercare la protezione che non ho avuto dai maschi di casa, senza però domandarla mai. Una fatica e una frustrazione continue quando sarebbe stato più semplice dire "mi aiuti?"...che non significa "sono donna, quindi inferiore, non è che puoi coccolarmi e proteggermi tu uomo virile?", significa semplicemente accettare in prima persona i propri bisogni, prendersene cura e non chiuderli in un cassetto.
L'8 marzo quindi, penso dovrebbe rimanere la festa della donna in quanto essere umano che ha il diritto di scegliere, perché è questa la vera lotta: il diritto ad una vita dignitosa che in molti paesi è ben lontana, il diritto a scegliere un lavoro che ti permetta di desiderare un figlio e costruire una famiglia continuando a lavorare, il diritto allo studio, il diritto a vivere la propria religione liberamente, il diritto ad avere una sessualità spontanea (né forzata né repressa), il diritto a coltivare passioni e momenti privati senza dover giustificare il proprio comportamento, il diritto a scegliere, appunto, a scegliere se stesse come persone e non come donne.
http://www.youtube.com/watch?v=5-_BIpb-dDc (qui un lungo e bel filmato, un progetto in cui i bimbi, come spesso accade, ci insegnano molto)



domenica 3 marzo 2013

A sunday smile

E' domenica, c'è il sole e sono sull'albero.
Reduce dalla settimana di immobilità, ora va molto meglio, ma non mi sento granché di camminare e sforzare la gamba.
Ieri mi sono regalata un ciuffo dal parrucchiere e un giro nei vicoli, la sera ho pagato un po' questa botta di vita e al concerto al circolo ho dovuto preferire il divano di casa.
Questa mattina colazione da Feltrinelli coi vicini, pranzo con mamma alle Ombre e un'occhiata al mercatino vintage di De Ferrari, dove figuriamoci se non mi sono portata a casa una mini enciclopedia delle piante spontanee.
Spesa veloce e ora nel forno cuoce l'ennesimo esperimento vegetale, che dovrà fungere da pranzo in ufficio per i prossimi giorni: torta di verza e hemmental.
L'idea me l'ha (come sempre) data Sturm, passando di qua qualche tempo fa. Ho provato a prepararla a modo mio, senza alcuna ricetta in mano, nè cercando in rete come faccio di solito.
L'aspetto, al di là del vetro giallo del forno, mi sembra bello...il gusto chi lo sa.

Ingredienti:
- pasta sfoglia (solita, già pronta)
- 2 uova
- 250 gr di ricotta
- 1 verza (non troppo grande)
- 3 scalogni
- un pezzo di hemmental (o similari)
- poco parmigiano grattugiato
- capperi (una manciatina, io uso quelli sotto sale)
- olive taggiasche
- olio
- sale

Procedimento:
Mentre i tre scalogni tagliati fini (con la mezzaluna) rosolavano in padella, ho pulito e tritato (occhio alla venatura centrale, se troppo dura meglio toglierla) la verza.
Aggiunta in padella con i capperi e le olive privati rispettivamente di sale e nocciolo l'ho lasciata appassire e insaporire con un pizzico di sale. Nel frattempo, in una terrina, ho unito le uova, la ricotta, poco parmigiano e una generosa (molto) grattata di hemmental.
Cotta e intiepidita la verza ho amalgamato le verdure al resto degli ingredienti e ho riempito la teglia foderata di sfoglia con il composto. Un filo d'olio in superficie e poi forno a 180° per mezz'ora. Un altro quarto d'ora (ma questo è necessario solo per il mio forno credo), lo dedico a cuocere la torta solo sotto, onde evitare che la sfoglia resti cruda.

La domenica mi mette sempre tristezza, in questo periodo persino più del solito, un buon modo per pensare poco a tutto è cucinare e impegnare la testa in gesti meccanici, ripetitivi e poco impegnativi.
Ora vado a controllare la torta e poi letto, libro, sonno.

Difficoltà: facile
Cottura: 30 min a 180° più 15/20 min in modalità solo sotto.
Costo: basso