martedì 30 settembre 2014

Il vostro matrimonio è stato bello

Ce l'abbiamo fatta. Vi abbiamo sposati.
Che poi alla fine è stato semplice, avevate già pensato a tutto, o quasi.
Avete deciso di organizzare il vostro matrimonio in poco tempo, solo qualche mese per scegliere vestiti, fiori, menu, location (termine tecnico di noi weddingplanner ndr), bouquet, bomboniere, vini, fedi, acconciatura, calzini. A questo proposito, probabilmente proprio causa del poco tempo a disposizione, lo sposo è finito con l'indossare un paio di calze a pois, ma noi gli vogliamo bene lo stesso.
Al taglio della (bellissima e buonissima) torta avete ringraziato tutti, le famiglie, gli amici, i parenti vicini e lontani, i ragazzi della fattoria, quelli del nostro piccolo-grande circolo, e anche me, sorridente, dondolante, fradicia e un po' sbronza, che battevo le mani a bordo piscina, alternando saltelli scomposti a versetti di commozione.
Fra dice che per tutto il ricevimento, ogni volta che la incontravo bianca, splendente e svolazzante sull'erba verde, la bloccavo e biascicavo un "bravi, bello, tutto perfetto!". Effettivamente può essere. Ma lo pensavo davvero, lo avrei pensato anche se non avessi bevuto quei diciotto litri di Scaia, maledetto vino giallo che sa di mango (o papaia, come dice Nessie) e che sta bene con tutto, con i fichi, con il formaggio, con la zucca, con la carne cruda, con il cioccolato, e pure con la gipsofila, che non escludo di aver brucato in allegria.
Il vostro matrimonio è stato bello perché vostro. Perché non avete esagerato in nulla, perché alla sera siete andati a dormire presto come solo la Fra sa fare il giorno del suo sì, perché avete regalato una bomboniera al tassista, perché avete scelto una testimone splendida in abito giallo accompagnata da un marito altrettanto splendido che ha aperto le danze in piscina, vestito di tutto punto, mentre lei lo guardava sconsolata, con i capelli mossi e perfetti e con gli occhi innamorati. Nonostante tutto :-D
Il vostro matrimonio è stato bello perché è arrivata gente da ogni dove pur di darvi un bacio, napoletane trasferite nel freddo nord, veneziani d'adozione belli come il sole, toscani, pugliesi, piemontesi, ma anche genovesi vicini, che più vicini mi sa che non si può.
Il vostro matrimonio è stato bello perché siamo partiti da casa, come facciamo sempre se usciamo a cena, se beviamo una cosa, se andiamo a giocare con Martins, se facciamo turno all'Altrove, se prendiamo un caffè in piazza. E mentre la Fra si lasciava truccare buona buona e Luca si scioglieva nella camicia, il fotografo con le bretelle azzurre cominciava il suo lavoro, professionale come sempre ma più commosso, questa volta.
Il vostro matrimonio è stato bello perché la musica a sorpresa durante la celebrazione (o come diavolo si dice) ha fatto piangere anche le seggiole, così come il discorso della fine, le bolle di sapone, le foto tutti abbracciati.
Il vostro matrimonio è stato bello perché c'era il sole, un sole d'estate caldo e felice, un sole forte che ha illuminato le (mie amate) foglie, i bicchieri pieni di vino, le foto stese tra i rami, i bimbi sdraiati sul prato, il vestito bellissimo di Francesca.
Il vostro matrimonio è stato bello perché ho assaggiato la cottura della tagliata prima degli altri (grazie Ste!), perché la torta decorata da Giulia era uno splendore ed era molto vicina a voi, alle cose che vi piacciono, alle caratteristiche che vi accompagnano: c'erano le geometrie matematiche e la precisione, ma anche i lamponi, i cuori e la cioccolata.
Il vostro matrimonio è stato bello perché vero. Nella tranquillità, nelle cose fatte senza affanno e lasciate anche un po' al caso, all'umore degli ospiti, alle abitudini degli animali, al vento della sera che ha trasportato la lanterna di carta nel posto più secco e pericoloso di tutta San Desiderio.
Il vostro matrimonio è stato bello e io vi dico grazie. Di avermi invitata, di avermi coinvolta, di avermi dato una ragione un po' più sensata del solito per commuovermi di gioia (e, a un certo punto, anche per lasciarmi andare finalmente alle mie malinconie).
Buon cammino ragazzi, sarà bello vedrete, come il vostro matrimonio.
Elena



martedì 23 settembre 2014

I magnifici 5: annusare

Oggi è il primo giorno di Autunno, la mia stagione preferita. Può sembrare strano ma se penso al senso dell'olfatto è l'autunno a venirmi in mente, non la primavera. Perché l'autunno è sottobosco umido, è foglie secche, è caldarroste, è legna che arde, è casa come nient'altro al mondo.
Con questo post mi mancheranno da scrivere solo quello sull'udito e quello sulla vista, e l'autunno andrebbe bene pure per loro.
Il senso dell'olfatto è il più antico che ho, forse questa cosa vale per tutti, non so. Sono ricordi olfattivi i miei primi ricordi. Alcuni legati a momenti belli, altri immersi in situazioni orrende, in ogni caso sono gli odori che mi fanno rotolare indietro in un secondo, senza passare dal via.
Ecco, come sempre, l'elenco (di quelli che amo):
- Il basilico, odore legato immediatamente a un'immagine: il lavandino di mia nonna Rosa ricoperto di foglie pronte per fare il pesto
- Il pollaio, uno di quegli odori atavici, che si fondono completamente con gli anni della mia infanzia
- L'erba tagliata, uno dei miei profumi preferiti in assoluto
- La prima pioggia che tocca il suolo, che ha pure un nome bellissimo e poetico, si chiama petricor
- La paglia, che come l'odore del pollaio è uno dei più vecchi nascosti nel mio cervello
- Il sottobosco bagnato, quello che ti riempie il naso nelle passeggiate di ottobre, cercando funghi, o camminando e basta
- Le castagne che cuociono nella padella bucata e riempiono la casa di affetto, non saprei scrivere altrimenti
- Il profumo della mamma di Alessia, la mia amica d'infanzia. Lo sento ancora tra la gente e prima o poi troverò il coraggio di fermare una signora che lo indossa per chiederle il nome
- La zagara, perché nessun fiore ha un odore così meraviglioso
- Il soffritto per il polpettone, ed è subito Casa
- Il pane caldo (perché, c'è qualcuno a cui non piace da morire?)
- I libri nuovi, infilare il naso tra le pagine è da sempre la prima cosa che faccio
- Il sapone di Marsiglia, nulla rende meglio il senso del pulito
- Il sole sui panni stesi appena ritirati, perché sì, il sole sui panni stesi appena ritirati ha un odore buonissimo
- Il mare
- Il legno di Cirmolo
- I pastelli a cera, che sanno di asilo, di album da disegno nuovo con i fogli un po' ruvidi, di grembiuli inamidati e di palestre con il parquet che scricchiola
- La noce moscata, la prima spezia che ho amato alla follia
- La pelle dell'uomo che amo
- La legna che arde nel camino, il profumo caratteristico del mio paesello, da novembre in poi
- La casa di Marina e Claudio, perché essere lì vuol dire essere al sicuro
- I musei, durante le mostre hanno sempre un profumo buonissimo
- I tigli in fiore, un'autentica meraviglia
Ho deciso che mi fermo, perché forse potrei andare avanti per ore. Non pensavo che avrei trovato così tanti profumi adorati, né che avrei fatto fatica a pormi un limite. Mentre chiudo il post penso già all'odore della cantina di mio papà, a quello di sportello (un mix di spezie, liquori, legno vecchio, cibi stantii), a quello di cacca di mucca, o di pesca matura, o di bambino piccolo, o di scorza di limone...

sabato 20 settembre 2014

Un posto al sole

Dimmi cosa leggi e ti dirò chi sei.
Nulla di più falso.
Perché in realtà credo che siano molti, come me, che leggono qualunque cosa gli capiti a tiro, o quasi.
Oggi, sul treno, al ritorno dalla conferenza, leggevo il mio libro sul camminare e il signore seduto di fronte mi scrutava perplesso. Un bel tipo, sulla sessantina, abbronzato dalla montagna, con una camicia appena risvoltata sugli avambracci e un paio di pantaloni beige. Credo si domandasse come mai una figa di legno con i tacchi alti e la gonnella di seta stesse leggendo un libro sulla filosofia del movimento a piedi. E' rimasto col dubbio. Lo stavo (lo sto) leggendo perché mi interessa, perché è un argomento che fa (tanta) parte di me. Poi però mi lascio, con estrema lentezza, rapire da Murakami, divoro la Munro, mi perdo nelle storie del commissario Adamsberg, leggo fumetti. Funziono così.
Per questo stasera scrivo di due libri simili nel mio modo di vedere le cose, uno di Catherine Dunne e uno di Chiara Gamberale. Uno straniero e uno italiano. Entrambi scritti da donne. Due romanzi. Mi sono piaciuti? No. Sì. Non lo so.
Il primo si legge benissimo, è la storia di un'amicizia, di quelle eterne tra ragazze, che crescono e si vogliono sempre bene. Chepppalle...e invece alla fine è avvincente, ci sono errori, dolori, felicità, cose comuni da soap opera (ecco spiegato il titolo del post) che tutto sommato vanno benissimo nei pomeriggi d'estate sotto l'ombrellone. Anche il libro della Gamberale, diverso nella trama ovviamente, si porta con sé quello spirito da sceneggiato televisivo che lo rende leggero, magari per molti banale, ma alla fine i libri brutti sono altri.
Quando leggo mi succede come con la musica o con il cinema, difficile che un libro non mi piaccia, questo probabilmente fa di me una pessima recensora (l'ho cercato, esiste, ma forse preferisco recensitrice, anche se non lo so pronunciare).
Quindi, tornando a bomba, un giudizio per due libri, diversi ma neppure troppo, che comprerei ancora perché non avrei motivi per non farlo, che non hanno minimamente cambiato la mia esistenza, ma che sono felice di aver letto.

P.S. I libri sono Se stasera siamo qui della Dunne e Quattro etti d'amore, grazie della Gamberale.

sabato 13 settembre 2014

M&M

Io e mamma abbiamo sempre camminato insieme.
Oggi, mentre poco più avanti di noi una bimba arrancava dietro al papà, ci siamo ricordate di quando io, piccolissima, risalivo i sentieri quasi sempre senza lamentarmi.
Scrivo quasi perché resta memorabile quel giorno che domandai, stravolta: "mamma ma muoiono prima le mamme o le bambine?" Mia madre, certamente un po' interdetta, mi rispose "beh, di solito le mamme" e continuò a camminare. Pare che io, dopo aver proseguito in silenzio la lunga marcia, a un certo punto cominciai a piagnucolare, accusandola di avermi mentito.
"In che senso, Elena?"
"Nel senso che ora io sto morendo, ma tu sei ancora viva"
C'è sempre stato grande ottimismo dentro di me e pure una buona dose di consapevole resa, occorre ammetterlo.
Oggi, come tante volte nel passato e come l'anno scorso, abbiamo percorso insieme la Mari e Monti di Arenzano, scegliendo l'itinerario A.
E' andata bene, ci siamo divertite e nemmeno stancate troppo. Pochi gli inconvenienti, se non contiamo il mio solito piede sinistro più mal preso che mai, la pietra che, come si dice da queste parti, "ha fatto lippa" e si è schiantata contro un malleolo di mamma e il primo giorno di ciclo, che mi ha costretta ad acrobazie igieniche non proprio banali.
E' andata bene perché il tempo è stato perfetto, fresco e con poco pochissimo sole in quota, più caldino una volta arrivate quasi in paese. Abbiamo bevuto il tè caldo al rifugio, sgranocchiato mele e pane con la marmellata, risparmiato il fiato chiacchierando il minimo indispensabile e imprecato contro le "comitive spezza passo" (quei gruppi che non sanno cosa sia la fila indiana, che non contemplano l'ipotesi di essere superati, che camminano come se fossero tra gli scaffali del supermercato parlando di detersivi e cibo esotico). Siamo andate piano, tutto sommato, in sei ore, comprese le soste, abbiamo percorso quasi venti chilometri e mille metri di dislivello. Insomma, all'andata si saliva parecchio e io l'avevo già fatta una volta quella strada, senza però arrivare al rifugio e mi era piaciuta da matti.
Al ritorno, in proporzione, il giro si allunga e la discesa, seppur ripida, è meno strong della salita, che resta comunque la mia parte preferita.
Arrivate alla base un panino e una birra non ce li ha tolti nessuno, così come la pizza stasera e al diavolo la dieta senza lieviti e carboidrati!
Mentre la lavatrice con i vestiti di oggi va, e il microonde fa bip per dirci che la nostra tisana è pronta, io ripenso a quando ero piccola e saltellare intorno a mia madre, in montagna, mi pareva la cosa più faticosa e normale del mondo. Come oggi.

giovedì 11 settembre 2014

Il colore viola

Come sempre succede quando sono catapultata ad un convegno o, ancora peggio, ad un seminario di presentazione di un convegno, sono due le vie di fuga che imbocco senza indugi:
- la fantasia
- la scrittura
Spesso queste strade coincidono pericolosamente.
Di solito penso al sesso o a cose simili, leggère, così tanto da farmi ridere bellamente sotto ai baffi. Oggi, invece, sono in linea con l'argomento del convegno, il colore, e mi guardo attorno alla ricerca di gruppi cromatici su cui posare l'attenzione. Il viola vince tutto. E' viola il ranuncolo sul desktop del relatore che parla, è viola la blusa della moglie del prof., è viola uno dei washitape incollati alla mia agenda, è viola il porta monete che ho in borsa e che vedete quassù (dopo che mi è caduto dalla borsa ndr). Credo siano viola anche i miei occhi stanchi e le mie guance impegnate nella digestione del gazpacho mangiato a pranzo, ma purtroppo io non posso vederli.
Sicuramente le follie che sto scrivendo potrebbero rientrare in uno dei post destinati ai Magnifici 5 (la vista, naturalmente), ma in questo caso l'argomento sarebbe troppo vasto per unirlo alla pagina di oggi e, soprattutto, per affrontarlo in un pieno pomeriggio digestivo.
Effettivamente è tutto il giorno che i miei momenti vengono scanditi dal colore: la stampa del poster sulla policromia, le foto al microscopio ottico scattate dalla tesista alle carotine colorate fatte qualche tempo fa, l'elaborazione digitale degli spettri di fluorescenza X, acquisiti sulle campiture cromatiche dell'opera analizzata lunedì.
E poi la mia bizzarra maglietta a pois sovrapposta alla canotta fucsia, il gazpacho meravigliosamente arancione, lo shampoo riflessante color rame che mi aspetta stasera dopo la palestra. Ecco subito un altro posto dove incontrerò un sacco di colore: i tappetini viola, le palle gialle e azzurre, la moquette verde, i pesi blu.
[...]
Che è successo?
Hai voglia di deliri sul colore, di occhi rossi, pensieri sconnessi, digestione faticosa...avevo (e ho ancora) la febbre!
Poca roba per carità e mi conosco abbastanza per darle un nome o per lo meno per intuirlo (crisi), però la maschera rame l'ho fatta lo stesso e ora ho una bella chioma fulva e luminosa, mentre, per tornare al viola, l'ho ritrovato nella tisana all'echinacea che ho bevuto poco fa. Dovrebbe favorire le difese immunitarie se non sbaglio, staremo a vedere.
Domani il convegno inizia sul serio e io spero di riuscire a sgusciare fuori dal letto prestino e a godermi i prossimi due giorni lontano dai muri freddi dell'ufficio, che poi sabato, se tutto va bene, ci si diverte davvero!

P.S. Ma se inventassi un altro progettino fotografico? Tipo se scegliessi un giorno alla settimana da dedicare al colore scattando foto tutte in tinta? Il venerdi? #fridayimincolorproject. Andata.

domenica 7 settembre 2014

All is full of love

Mio padre non lo sognavo da mesi.
Mesi.
Non so se sia stata colpa della tisana allo zenzero, delle solite fatiche con il cibo, o di qualcosa che ancora non so, sta di fatto che l'ho sognato. Fino alle quattro e mezza, più o meno, quando mi sono svegliata in preda a un attacco d'ansia e con in testa la canzone del titolo.
Il sogno era bellissimo: io facevo la mia vita e lui, con la tuta blu e in totale silenzio, mi seguiva. Stava negli angoli delle stanze, in piedi e immobile, mentre apparecchiavo la tavola, discutevo con gli amici, parlavo con mamma. Poi nel salotto di casa dei miei venivano radunate alcune persone, per verificare, suppongo, la mia follia. Ricordo che lo chiamavo, si avvicinava e lo abbracciavo fortissimo. Provavo a spiegare alla gente intorno a me che lui era lì, che era vero anche se invisibile, anche se in silenzio. Nessuno mi credeva fino a che Andrea si staccava dal gruppo e si metteva di fronte a me. Allungava una mano e apriva il palmo, così, nel vuoto, nello spazio che corrispondeva alla schiena di mio padre, dove c'è il cuore. Improvvisamente nella stanza cominciava ad echeggiare un debole battito, poi sempre più forte e profondo, e tutti capivano che non mi sbagliavo, che non stavo mentendo: ero semplicemente l'unica a poterlo vedere e a poterlo toccare, ma lui c'era davvero.
Cominciavo a piangere. Come un piccolo animale ferito, a bassa voce, esattamente come sto facendo ora mentre scrivo.
Non pensavo sarebbe successo così, di risognare mio padre intendo. Non ho ancora decifrato il significato di questa notte, ammesso che un significato davvero ci sia. Posso solo provare ad immaginare che sia legato al periodo che sto vivendo, circondata da persone che chiaramente non capiscono nulla di me, che pensano di potermi trattare come vogliono loro solo perché "non mi allarmo", che credono di avere a che fare con una pedina di legno, da muovere a proprio piacimento, da considerare solo quando se ne ha voglia, da rendere partecipe una volta ogni tanto.
E così, come al solito, me ne vado in uno dei miei mondi paralleli, dove le regole sono decise solo da me, dove c'è rispetto per quello che vedono gli altri, anche se è strano, anche se è diverso dal nostro sguardo, anche se ci sembra incomprensibile.
Un mondo dove tutto è pieno di amore.

martedì 2 settembre 2014

Within the sound of silence

Il via me lo ha dato lei, la solita Cindy, con questo post.
Io, per rispondere alla sua ultima domanda, non lo so come sto.
Ho ricominciato ad andare al lavoro, abbastanza blandamente in verità, e non mi sembra sia cambiato nulla. Meglio così forse. O forse no.
Ho ricominciato ad andare a pilates e questo è assolutamente un bene. Sono stanca dopo la lezione di ieri sera (e dopo la lunga camminata sotto al sole di questo pomeriggio) e quindi spero di addormentarmi presto e buonanotte.
Anche io, come Cindy, prego tutti di fare silenzio e mi chiedo se sia giusto, normale, avere così tanto bisogno di pace. Sono mondana come mia nonna, non che sia mai stata una donna da party ma, accidenti, in questo periodo rasento la casa di riposo. E poi mi struggo perché mi sento sola, perché anche questa estate è trascorsa senza che i miei occhi vedessero posti nuovi, senza che le mie gambe attraversassero strade sconosciute. Dopo mesi (anni?) di assenza tornano prepotenti le isole felici: mi basta pensare alla Mari e Monti in arrivo o alla semplice idea di un giorno sulla spiaggia di settembre con un libro e un sogno nuovo e mi pare già di stare meglio.
La lotta con la chimica si è conclusa da un po' ormai, ne sono uscita vincitrice, sempre che si possa considerare una vittoria la sensazione in cui sto adesso.
Si attendono i risultati degli esami per capire cosa abbia fracassato la mia pelle (e magari pure il mio metabolismo), si aspetta l'esito dei bandi su cui ho lavorato durante le ferie (qualche pallida buona notizia l'abbiamo già avuta oggi, ma chissà), si organizzano riunioni operative (cinque solo in questa settimana), si finiscono libri che insomma, potevano andare meglio.
Un po' dei propositi di Cindy li ho messi in pratica da tempo e devo dire che concentrarmi sul bello che ho attorno e cercare di non pensare ad altro è ormai diventato il mio sport preferito.
Dai social network mi sono già tolta, con il risultato di essere ancora più fuori dal mondo per quanto riguarda notizie e novità (che tristezza eh...) e di dovermi reinventare di sana pianta intere serate. E' un bene, direte voi, e lo dico anche io, se non fosse che quando si è giù di morale, a dieta, con braccia e gambe piene di bolle che prudono e nessuna buona nuova all'orizzonte, potersi almeno beare delle belle vite degli altri di certo aiuta. Almeno me. Anche se so che Facebook è un filtro, anche se so che di reale c'è ben poco, non mi importa, era un modo come un altro (e così per fortuna l'ho sempre vissuto) per tenere contatti e guardare il mondo da un oblò. Rientraci, direte voi. Ancora no, dico io.
Nel frattempo maturo cose da condividere, produco spille, fermagli per capelli, lampadiyne colorate e progetto collane enormi e decisamente importabili.
E poi vado al mare di sera, se posso per davvero, se non posso ci vado con il pensiero, quando il cielo si tinge di rosa e con lui anche i sassi, gli ombrelloni, le case, gli alberi, gli scogli, i gabbiani e noi.
Noi che stiamo seduti in silenzio, proprio come vorrebbe Cindy, proprio come voglio io, accoccolata sul mio divano bianco, avvolta dalla coperta verde e dalla luce della lampada, mentre guardo l'angioletto preferito del vicino-vicino andare su e giù.

P.S. L'avrò già usata gli anni passati, non ricordo, non importa. Anche se non è ancora l'ultimo giorno d'estate è il momento di questa, nel mio cervello dalle prime ore del mattino.