lunedì 23 dicembre 2019

Le vite degli altri

Lo abbiamo fatto tutti, penso, di immaginare le vite degli altri.
Di quelli che vediamo rientrare a casa la sera, di quelli che ci camminano accanto frettolosamente la mattina, degli attori che guardiamo al cinema, delle sagome scure che passano davanti alle finestre illuminate nelle serate d’estate o di quelle impegnate ad addobbare l’albero nel salotto a Natale.
Credo addirittura di aver già scritto un post su questo argomento, ma chissà quando: sono quasi dieci anni che esiste Ilmareingiardino, nel frattempo i blog sono praticamente morti e con loro un sacco di altre cose.

L'inverno è iniziato e forse questo autunno terribile, fatto di piogge incessanti, sintomi impietosi, traslochi, e capelli corti sta terminando: oggi ci sono vento freddo e sole, questo già mi basta.
A proposito di vite degli altri, in questo periodo mi interessano più di sempre. Guardo le persone fare la spesa, incontrarsi per bere qualcosa, correre sotto il diluvio senza usare l’ombrello, parlare al telefono, scegliere un vestito e immagino le cucine invase dal vapore, i tappeti davanti ai divani, i giretti attorno all'isolato con il cane la mattina prestissimo, il parrucchiere dopo il lavoro o in pausa pranzo, le lavatrici da stendere la domenica, i cinema il sabato sera.

Ma la mia, di vita? Prima di convincermi a pubblicare questo post, che come al solito è in bozze da giorni, ho riflettuto sul concetto di tempo e su quanto abbia la sensazione di aver vissuto almeno tre esistenze diverse. Penso che capiti a molte persone, soprattutto a chi ha fatto cambiamenti drastici, traslochi importanti, separazioni, colpi di testa e di cuore come lasciare il proprio paese per cercare fortuna (e felicità) altrove... a me pare di essere alle porte della mia terza vita, quella in cui non sono più figlia di nessuno, ma continuerò a essere nipote, amica, compagna, collega, cugina, vicina di casa.

Sono stata figlia fino a ventitré anni: in quel quarto di secolo scarso avevo vissuto in due posti, avuto un amore sbagliato e uno grandissimo, rischiato la pelle, fatto tre lavori, tolto l'appendice, voluto bene ad amici fraterni e detto addio a persone decisamente importanti, tra loro mio padre.
Sono stata ancora figlia fino a trentasette anni: quattordici anni per laurearmi, dottorarmi, scoperchiare enormi vasi di pandora, cambiare altre due case, innamorarmi ancora, fare almeno sette lavori diversi, conoscere nuovi amici, trovare un lavoro stabile, dire addio a mia madre.
Ora non sono più figlia: nove mesi oggi per raccogliere i pezzi che sono ancora sparsi da tutte le parti. Un po' sono a Vesima dove pianto ciclamini da ventiquattro ore, dove la gatta saltella finalmente libera, dove il vento e i pensieri mi hanno tenuta sveglia tutta la notte, dove riposano metà della mia prima e metà della mia seconda vita. Un po' di pezzi sono nella casa sull'albero, dove stanno finendo di costruire i pavimenti, dove non ci sono i sanitari e la cucina, dove scatole e mobili stanno impilati tutti in un'unica stanza. Ci sono pezzi al quinto pianto del Monoblocco, tra le seggiole dell'accettazione e le poltrone grigie della chemio, tra i lettini di medicina e l'ascensore, pezzi sotto il cedro nel cortile dell'Hospice, sul terrazzo dei gatti, sulla panca dove ti siedi quando aspetti che sistemino il disastro. Qualche pezzo forse è in ufficio, dove trascorro la maggior parte del mio tempo o sul tappeto dello yoga, dove ho deciso di ricominciare a prendermi cura di un corpo che non ricordavo di avere. I pezzi più rovinati li ho lasciati andare con i capelli, che ora sono corti e un (bel) po' bianchi.
Dovrò pian piano recuperarli tutti e sostituire quelli introvabili con qualche pezzo nuovo che spero di trovare strada facendo.

Tra pochi giorni compio gli anni, all'inizio del 2020.
Non faccio bilanci perché davvero a sto giro non mi sembra il caso, non ho buoni propositi se non quello di provare a non morire, visto l'andazzo. Ho dei desideri, quelli sì. Vorrei fare del bene nel nome di mia mamma, vorrei ricordarla viva e energica, vorrei continuare a viaggiare come negli ultimi tre anni (e forse un po' di più) e vorrei riuscire a godermi quella piccola casa rinnovata che avrebbe adorato.

Nel frattempo pianto ciclamini nel suo giardino mentre l'ultimo che mi aveva comprato lei, non so con quali forze un mese prima di andarsene, sta fiorendo sul mio balcone.
Buon Natale.

mercoledì 16 ottobre 2019

Un'auto in fondo al lago

Qualche anno fa, parlando di mio padre con l'analista, mi definii orfana. Ricordo che mi corresse e mi disse che, tecnicamente, si è orfani se si perde un genitore prima dei diciotto anni. Mi sentii una merda, convenendo che, dopotutto, quello che mi aveva detto avesse senso.

Sono trascorsi quasi sette mesi dal 23 marzo.
Non sono una maniaca delle date, anzi, solitamente cancello il passato in un attimo, ma ho dovuto produrre tanti di quei certificati di morte che, anche volendo, non è stato proprio possibile dimenticare un bel niente.
Cosa è successo nel frattempo?

Principalmente ho lavorato.
Ho fatto un bel viaggio.
Ho vissuto a casa sua per quasi due mesi.
Mi sono lasciata coccolare (anche se, essendo sua figlia, mi rendo conto che scalfire sta corazza che mi ritrovo non sia semplice).
Ho preso tre chili, li ho persi, li ho ripresi.
Ho iniziato i lavori a casa mia, o meglio, ho iniziato a inscatolare tutto nell'attesa che comincino lavori.
Ho percorso venti chilometri di Mare e Monti.
Ho pianto riempiendo le scatole, vuotandole, dormendo, ascoltando musica, camminando, leggendo, andando al mare, facendo la doccia, svegliandomi, bevendo, aspettando il bus, buttando vestiti, scegliendo piastrelle, scrivendo agli amici, ordinando una birra, vomitando, tagliandomi la frangia alle tre del mattino, accarezzando la gatta, salutando l'ennesimo airone.
Ho letto (poco).
Ho nuotato (ancora meno).
Ho cucinato (quasi niente).
Ho parlato con una foto, un cielo, una stella cadente, un appunto su un foglietto, un fiore, una maglia, un anello, una focaccetta fritta, un portafoglio, un odore, un albero, una seggiola, una ciotola, un sapone...

Sono passati quasi sette mesi e mi sto sgretolando come la Torre d'Avorio di Fantàsia, completamente impreparata a questo crollo tardivo.
Sarà colpa delle scatole piene di foto, dei suoi documenti perfetti e pronti per il dopo, dei miei incasinati e sempre insufficienti, dei cambiamenti inutili perché non glieli posso spiegare, delle conquiste superflue perché senza i suoi occhi valgono meno.
Beninteso, so perfettamente che non è così, so benissimo che questi post non si dovrebbero scrivere, tanto meno pubblicare, ma quel 23 marzo alle 14.40 un'auto ha toccato il fondo del lago, sopra c'erano mia madre, mia sorella e la mia migliore amica, in quest'ordine, alla faccia di tutti i manuali di pedagogia e delle nostre più profonde convinzioni. Hanno impiegato sette mesi ad affondare, sapevo e sapevamo sarebbe successo, potevamo solo aspettare cercando di rassicurarci a vicenda.
Ora, però, sono rimasta io e la carcassa di quell'auto sta tornando a galla. Non ho il coraggio di guardarci dentro e non voglio farlo: non ho paura, è solo che sono incredibilmente stanca, come se avessi corso dieci anni ininterrottamente.

Serve tempo, dicono tutti, e io ci credo. Quel tempo che per papà non è stato necessario, non per mancanza di amore, ma per le tante differenze tra allora e adesso: la mia età, le modalità, le circostanze, le abitudini e la presenza di mamma, che attutiva il colpo e condivideva il dolore con me.
Credevo di essere pronta, credevo di conoscere, e invece non sapevo un bel niente.
Ci hanno sempre fatto notare che ci somigliavamo moltissimo e immagino fosse così, lo vedo bene dalle foto (come quella quassù).
C'è una cosa però, di cui non mi ero mai accorta: spesso parlo come lei. Non c'entrano le cose che dico e non è solo una questione di voce, ma di intonazione, di cadenza. Prima non lo sentivo, ora che non c'è più la ritrovo nel mio modo pronunciare le parole. Quando succede mi salta il cuore in gola, mi riempio di gratitudine e resto sospesa a metà tra la voglia di strapparmi le corde vocali e il bisogno di riparlare come lei, per sentirla ancora una volta. Ogni tanto lo faccio, ripeto una parola, cerco di riprodurre un suono, una, due, tre volte. Poi, generalmente, o sorrido o piango. Tendenzialmente faccio entrambe le cose, una dopo l'altra.

Qui scrivo sempre meno, mi pare chiaro, ma diversamente non so più fare. Prendiamola così.



sabato 24 agosto 2019

Il Nuovo Mondo


Sono seduta da poco meno di tre ore su un treno svedese che da Malmö ci porterà a Göteborg. Da lì dovremo salire su un traghetto per raggiungere l'isola di Brännö, dove vivremo nei prossimi giorni.

È martedì, siamo in viaggio da sabato e sono quasi cinque mesi che è morta mia madre.
Non ho mai smesso di scrivere: prima il diario rilegato con stoffa di camicia per raccogliere le lunghe lettere rivolte a lei, poi questo mini quadernino bianco senza valore, per non dimenticare il nord dell'Europa e, in qualche modo, raccontarle ancora una volta ogni cosa.

Abbiamo scelto di partire all'ultimo, facendo poche previsioni, decidendo di visitare Copenhagen, Göteborg, Oslo.
Non abbiamo affittato auto, quest'anno. Ci muoveremo in aereo, treno, metro, bus, traghetto e bici, tanta bici.

Che io ami il nord non non è una sorpresa per nessuno. L'anno scorso, nonostante il fantasma dei sintomi di mamma che per me aveva già un nome (di merda), era stato bellissimo.
Questa volta è diverso, vivo in un nuovo mondo anche quando sono a casa, trovarmi a migliaia di chilometri da dove normalmente trascorro le mie giornate non cambia granché le cose. Intendiamoci, sono contenta ed emozionata di scoprire terre di cui ho letto per anni gli autori più in voga (a partire dalla mitica Tove Jansson, che era finlandese - lo so - ma qui si respira comunque aria di Mumin in ogni dove), di cui ho sognato gli spazi, la natura, i silenzi, le case, persino i vestiti. Solo che mi sento spaesata tanto quanto la mattina quando mi sveglio nel mio letto e non trovo il suo messaggio, quando percorro i dieci minuti scarsi che mi separano dal lab (#mymorningwalk) senza telefonarle, quando non organizzo i week end per andare a trovarla o non ascolto il suo passo montano raggiungere il mio portone e fermarsi bruscamente, prima di citofonarmi.
In questi tre giorni già trascorsi in Danimarca mi sono sentita forse meno spaesata del solito: è normale non vederla arrivare davanti alle vetrine del lab, i dati del telefono sono disattivati quindi è ovvio non ricevere i suoi messaggi. Solo la sera, quando sono troppe le cose che vorrei raccontarle per farla viaggiare insieme a me, mi prende un dolore nel cuore che vorrei spazzare via con un urlo potentissimo le migliaia di alberi scuri che ci circondano, spegnere le fiamme di ogni candela accesa dietro a una finestra, abbattere tutte le bici parcheggiate nei cortili della Scandinavia. Ma non lo faccio.

Detto questo, prima che il post si trasformi nel copione di un film di Inarritu, ecco il nostro viaggio nel nord dell'Europa, un piede a Copenhagen, uno a Göteborg e uno a Oslo. Il quarto piede lo abbiamo usato per una fermata inaspettata a Malmö e lo useremo per tre giorni di "isolamento", nel vero senso del termine, a Brännö. Ancora mi chiedo se alla fine avrò il coraggio di tornare a casa!

DANIMARCA - COPENHAGEN
Piccola premessa: la prima ragione per cui abbiamo scelto questa tappa si chiama Giulia, è un'amica di Andrea, vive qui da una decina d'anni ed è meravigliosa come i suoi occhi blu.
Abbiamo dormito da lei, poco distanti dal centro e ci siamo affidati alle sue cure per esplorare la città senza affrontarla in modo troppo turistico. Prima tappa: il ritiro delle bici! Io non ci salivo probabilmente dal '92 ma, come promesso al negoziante mentre mi porgeva il casco, non ho ucciso nessuno (tranne il mio perineo).
Grazie alla bici ci siamo sparati settanta chilometri in meno di tre giorni e abbiamo visto un sacco di cose. Per praticità, da questo momento in poi, dividerò il post in giornate, così, chi vuole, può rendersi meglio conto delle tempistiche.

Giorno 1
Subito dopo una sopponta nappoletana-genovese a base di melanzane alla parmigiana e focaccia siamo stati allo Stella Polaris, un festival di musica chill out organizzato nel parco Frederiksberg. Cosa ho trovato lì? Innanzi tutto due bellissimi aironi che "vegliavano" su un tetto all'ingresso. Poi ho trovato educazione, fiori meravigliosi, tantissima gente di tutti i tipi (compreso un tizio buffo con bastone, fez e completo kaki che sembrava uscito da un film di Wes Anderson), una luce incredibile e il silenzio. A un festival musicale -ok che era chill out e non Heavy Metal - ma la sensazione era quella della Silent Disco. Mi è piaciuto tantissimo.

Stella Polarit - Chill Out Festival

Lasciato il parco abbiamo inforcato le bici (del mio mini cancello color anguria vi parlerò poi) e siamo andati a Nyhavn: è superfluo scrivere dei colori e dei riflessi del vecchio porto, vero? Vabbè, ormai l'ho fatto.

Nyhavn

Per cena ci siamo spostati al Reffen, una grande area di street food molto curata e con una varietà di scelta per quanto riguarda i cibi veramente notevole. Io sono andata di Moules Frites, ma avrei potuto prendere thai, greco, pizza, polenta, vegan, grigliata, indiano e molto altro. Cosa mi ha colpito di più a parte l'idea e il bellissimo furgoncino colorato all'ingresso? La pulizia dei bagni, il tramonto pazzesco con lo skyline di Copenhagen sullo sfondo, il pagamento con la carta affinché tutti gli incassi siano tracciabili (questo è un aspetto che abbiamo incontrato in ogni street food dove siamo stati).

Panorama dal Reffen - Street Food

Di questa prima giornata mi sono portata via le case barca, con gli oblò al posto delle finestre, ormeggiate lungo la via verso Reffen, le case-container arredate come un catalogo Ikea, la pedalata al buio illuminata solo dalle lucine accese sulle case-barca.

Giorno 2
La seconda giornata l'abbiamo dedicata a Sessarego passione foto: mattina e pomeriggio alla ricerca punti di vista, architetture bizzarre e quartieri super moderni a picco sull'acqua. Abbiamo girato principalmente a Nørrebro (ve ne parlo meglio la prossima giornata, perché ci siamo tornati per fare un po' di sano shopping), fatto un salto al cimitero dove è sepolto Hans Christian Andersen e poi via verso Circle Bridge, Islands Brygge, Ørestad e VM Husene (la casa con le punte). Come se non bastasse, abbiamo trascorso il pomeriggio all'Experimentarium, il science center della città, dove ovviamente ci siamo divertiti come più dei ragazzini (Giulia conserva sul telefono un sacco di video a dir poco compromettenti).

Superkilen - Nørrebro

The Circle Bridge

VM House

Cosa mi ha colpito di più? Le porte della biblioteca di Nørrebro, le barche-bus, le barche-pic-nic (affittabili, per pranzare navigando), il mercatino delle pulci lungo il fiume (ovvio che ho comprato), l'urgenza di scrivere assecondata ovunque (testimonianza fotografica qui sotto, dove è ben visibile anche la mia possente bici folding, con due ruote talmente piccole che ancora non mi spiego come abbia fatto a non dimagrire 10 chili dopo il primo isolato).


Giorno 3
Come anticipato poco fa, l'ultimo giorno siamo tornati a Nørrebro, in particolare abbiamo vagato a Jægersborggade tutta la mattina, dove abbiamo comprato buona parte dei regali per gli amici e dove, grazie ai preziosi consigli di L'Altrosport abbiamo pranzato qui (ma magari del cibo scrivo un box a parte alla fine di questo lunghissimo post). Nel pomeriggio, prima di ribeccarci con Giulia che, essendo lunedì, era al lavoro, abbiamo fatto un giro in centro, abbiamo visitato Christiania e, con le ultime forze rimaste, abbiamo pedalato fino alla Sirenetta, dove la cosa più sensata che potessimo fare, invece che accalcarci per fotografarla, era mangiare un gelato (e così abbiamo fatto).
La sera siamo stati a cena con Giulia e la sua amica Sara al Torvehallerne, il mercato coperto, abbiamo restituito le bici e fatto una lunga passeggiata per tornare a casa, dove mi hanno atteso yogurt e granola homemade, chiacchiere sul divano e l'ultima notte danese.

Nørrebro

Jægersborggade

Christiania

Cosa ho portato via con me? Lo stretching sul prato la mattina, per cercare di disinfiammare la schiena non abituata alla bici, quasi tutti i negozi di Jægersborggade (quello zero waste, quello di gioielli, quello vintage, quello gestito da un collettivo di artisti con i fiori secchi e le pigne appese a testa in giù all'ingresso, quello con le candele Meraki, quello con i tubi avvolti da manicotti di lana colorata accanto alla porta). Mi sono portata via anche l'unicorno affacciato alla finestra in pieno centro, il parco giochi a tema bosco perfettamente mimetizzato, la tristezza che mi ha messo Christiana così turistica, il gelato palla alla fine del lungomare, le tapas con le acciughe al mercato.

Jægersborggade

Copenhagen - Centro

SVEZIA - MALMÖ GÖTEBORG BRÄNNÖ
Ci hanno svegliato la pioggia sulla finestra a tetto e il verso delle tortore, molto più pop rispetto a quello delle parenti genovesi. Abbiamo fatto colazione e siamo ripartiti prima con il bus, poi con il treno, in direzione Göteborg, dove ho iniziato a riordinare gli appunti per questo post.

Giorno 4
Visto l'anticipo sulla nostra tabella di marcia abbiamo deciso di scendere a Malmö per qualche ora. Qui abbiamo avuto giusto il tempo per comprare un'imperdibile tazzina dei Mumin, scattare foto, pranzare al Saluhall, dove ho mangiato l'insalata più buona della mia vita e fatto scorta di kanelbulle.
Nel primissimo pomeriggio siamo ripartiti e arrivati a Göteborg, dove ci attendeva un traghetto per Brännö, una telefonata dell'amministratrice di condominio che farfugliava confusa di una possibile perdita in bagno senza farci sapere più nulla (santo Geppo che ci ha aiutati), un breve viaggio tra isole e gabbiani che nemmeno nei migliori libri scandinavi. Il Brännö Varv ci aspettava esattamente come lo vedete sul sito: colorato, suggestivo, accogliente e discreto. Uno dei posti più incantevoli che abbia mai visto. Posati i bagagli abbiamo fatto un giretto di perlustrazione nei dintorni del B&B, passeggiando accanto a giardini meravigliosi, gatti enormi e barche bianche. Cena con gamberoni e salmone e poi diretti a dormire.

Malmö

Brännö

Panorama dal Brännö Varv

Brännö

Giorno 5
La prima colazione fatta sull'isola è stata a base di... tutto. Pane nero, pane bianco, focaccine, salumi, pecorino, roquefort, marmellate, yogurt, latte di mille tipi diversi, cereali, frutti rossi, pomodori, melone, uova, torta al cioccolato e frutta a guscio, succo di mela e potrei continuare ancora. Tenendo sempre d'occhio il meteo, che fino ad ora si era comportato benissimo, abbiamo scelto di visitare Göteborg, lasciando la gita su Brännö per il sesto giorno. Il traghetto ci ha portati in città con la solita disarmante puntualità, appena arrivati abbiamo visitato il quartiere Haga, famoso per i negozi tipici, l'handmade, il vintage.
Ho comprato? Certo. Ho comprato tanto? Temo di sì.
Ma non è colpa mia se ad ogni angolo c'era un negozio di moda sostenibile, abiti fatti a mano e cavallini Dala. Pranzo ottimo al Feskekorka con birretta e un secchiello (letteralmente) di bocconcini di salmone marinati in mille modi diversi. Nel pomeriggio giro veloce al parco, visita alle serre, infinita ammirazione per l'organizzazione di un festival dedicato ai bambini con caccia al tesoro tra le piante, workshop e musica. Fine giornata all'Universeum, che per me che non amo gli animali in cattività tutto sommato non è stata una tappa fondamentale. Cena a base di - che ve lo dico a fare - salmone. Urge variazione sul tema.

Dal traghetto verso Göteborg

Göteborg

Parco a Göteborg

Brännö

Cosa mi ha colpito di Göteborg? I colori pastello sparsi qua e là, la tranquillità, le serre, la capacità di godersi il momento delle persone che abbiamo incontrato.

Göteborg

Nelle serre a Göteborg

Giorno 6
Colazione più abbondante della prima (se mai fosse possibile) con l'intento (fallito) di saltare il pranzo. Super esplorazione di Brännö e di Galterö, una piccola isola collegata da un ponte ancora più piccolo. Per prima cosa abbiamo raggiunto il molo sud, ci siamo sdraiati sulla spiaggetta e, come tradizione vuole almeno una volta nel corso delle vacanze, mi sono addormentata. Dopo un'oretta di sonno profondissimo ci siamo rimessi in marcia e, alla faccia dei buoni propositi, abbiamo mangiato focaccine, sgombri sott'olio e birra fresca nell'area pic nic accanto all'unico, minuscolo supermarket di Brännö. Attraversata la foresta abbiamo quindi raggiunto la riserva naturale di Galterö: una folgorazione. Paludi, erica viola in fiore, spiagge, rocce arrotondate dal vento, uccelli marini, conchiglie, pecore. Pecore in ogni dove. Impassibili, semi addormentate, molto affamate, dai musi simpaticissimi. A un certo punto ha iniziato a piovere piano, poi più forte, poi di nuovo piano. Ho filmato il momento perché era di una potenza enorme. Cessata la pioggia ci siamo seduti sulla riva del mare, qualche decina di metri da noi una mamma e una bambina biondissime giocavano sulla sabbia. Rientrare "alla base" non è stato facile, tanto che, a cena, abbiamo deciso di tornare in paese per mangiare nell'unico vero ristorante che c'è e per poi fare un'ultima passeggiata tra i giardini, le barche e gli scogli sul mare.

Brännö

Brännö

Galterö
Galterö

NORVEGIA - OSLO

Abbiamo salutato Brännö con il cuore pieno di amore per lei e una nemmeno troppo scherzosa intenzione di tornarci a trascorrere la vecchiaia.

Giorno 7
Siamo arrivati a Oslo con il bus, perché tutti i treni erano completi. Tre ore di viaggio super confortevole tra le campagne scandinave e quando siamo scesi ci ha accolto una città molto più trafficata di quanto mi aspettassi. Nei giorni a seguire ho imparato che sì, ci sono tante auto, ma sono in buona parte elettriche. Il primo giro che abbiamo fatto, appena lasciati i bagagli in albergo, è stata una lunga passeggiata per scoprire l'Opera House (con e senza pioggia) e per esplorare le aree portuali della città. Passaggio nel parco della Fortezza, cena al Salt, una sorta di festival/street food dove però siamo arrivati un po' tardi e molti degli stand che ci interessavano erano già chiusi (ricordatevi che in Norvegia, ma in generale nel grande nord, si cena al massimo alle 19) e tutti a nanna.
L'hotel dove abbiamo alloggiato era un Thon, a quanto parte Oslo ne è piena, lo si deduce facilmente osservando la quantità di ombrelli rossi di cortesia che si aprono ovunque appena inizia a piovere.

Opera House - Oslo

Opera House - Oslo

Salt - Oslo

Oslo

Giorno 8
A chi ogni tanto ama leggere gialli scandinavi e, in particolare, gialli norvegesi, vagare per queste vie risulterà familiare. Io, per esempio, a Grünerløkka mi sono sentita a casa, grazie alle pagine di Anne Holt così realmente ambientate. Un quartiere bellissimo che non vedevo l'ora di visitare, con negozi vintage, charity shop, graffiti, aree riqualificate in maniera originale ed estremamente moderna, fiori, parchi giochi per bambini davvero interattivi (vi basti pensare che, al posto del solito scivolo, ci sono piccoli sistemi di chiuse da aprire per far scorrere l'acqua nel fiume accanto).

Grünerløkka

Grünerløkka

Grünerløkka

Abbiamo pranzato al Mathallen, il mercato coperto, ascoltato il pianoforte pubblico suonare Le Vals d'Amelie grazie a generosi avventori di passaggio e tra uno scroscio di pioggia e l'altro abbiamo raggiunto il Munchmuseet.

Mathallen

In questo momento il museo ospita una mostra, intitolata Exit! e dedicata all'uscita delle opere verso una nuova destinazione: la galleria d'arte in via di costruzione che sarà pronta nel 2020. Come ho più volte scritto su Instagram, una delle cose che mi ha colpito di più in questo viaggio è la capacità di valorizzare ciò che c'è nelle città che abbiamo visitato. Portatrici ci un decimo di quello che abbiamo in Italia, ma certamente più brave a comunicare, rendere fruibile, raccontare il proprio patrimonio.
Inutile che vi spieghi la bellezza delle opere esposte, potete immaginarvela da soli, quello che magari invece non riuscite a visualizzare è l'opportunità di conoscere autori e storia anche attraverso, per esempio, la possibilità di sfogliare liberamente vecchi cataloghi espositivi nel bel mezzo di una mostra.

Munchmuseet

Munchmuseet

Munchmuseet

Alla sera cena thai vicino all'albergo (il bamboo si può considerare verdura, sì?) e letto presto.

Giorno 9
Un ultimo giorno a tratti piovoso, con un bellissimo giro al Parco di Vigeland, tra fiori, statue, pettirossi e prati lasciati crescere indisturbati per favorire gli insetti impollinatori (il tutto spiegato con cartelli per i pubblico). Pranzo al sacco a base di focaccine svedesi "importate" direttamente da Brännö e salmone locale, oltre a due banane trafugate dalla colazione più abbondante mai vista servita dall'hotel. Sulla questione breakfast occorrerebbe scrivere un post a parte: va bene tutto, signori, vanno bene uova e bacon alle sette di mattina, posso comprendere anche i salumi e i formaggi alle otto. Ma zuppa di fagioli, funghi e pomodori ripieni, salmone affumicato, polpette e sardine marinate prima delle 11 proprio no. Questa roba si mangia a pranzo, se siete fashion anche al brunch. Non prima!

Parco di Vigeland

Parco di Vigeland

Parco di Vigeland

Parco di Vigeland

Dopo il pic nic sul prato di fronte al The Viking Ship Museum siamo entrati a vedere le tre navi ritrovate in anni di scavi. Come ho già scritto a proposito del Munchmuseet c'è poco da fare: due grandi sale in cui volendo si può trascorrere mezza giornata, osservando i sistemi di controllo conservativo dei reperti, guardando il cortometraggio che racconta (con animazioni e ricostruzioni video) la vita vichinga, scattando foto dai tanti "punti panoramici" sparsi nel museo, perché inquadrare dall'alto una nave di quindici metri e tutta un'altra cosa. Anche questo museo sta per spostarsi: è, infatti, in via di costruzione una sede molto più grande moderna.

The Viking Ship Museum

Siamo rientrati in centro con il traghetto, abbiamo raggiunto l'albergo attraversando il quartiere storico, pronti per fare le valigie. Una volta preparati i bagagli siamo usciti a cena, meta lo Schrøder, uno dei luoghi più famosi dei libri di Jo Nesbø (di cui non ho mai letto nulla, ma non appena atterro corro in libreria). Abbiamo ordinato un piatto di carne e uno di pesce, io, finalmente, ho assaggiato la renna! Alla fine del post proverò ad approfondire un po' la questione cibo scandinavo, tanto ormai sono andata lunghissima.
Siamo rientrati prendendola larga, attraversando un quartierino tutto colorato, circondato da orti urbani e fiori bellissimi. Siamo passati di nuovo da Grünerløkka, questa volta costeggiando il fiume e ci siamo fiondati a letto data la sveglia presto pro volo.

Grünerløkka

Cosa mi ha colpito di più di Oslo, a parte tutto quello che ho già scritto? La street art, usata ovunque. Per abbellire i quartieri più famosi, quelli più nuovi e "alternativi" o, semplicemente, per personalizzare aree in cui sono in corso lavori e cantieri.

Grünerløkka

Cantiere ad Oslo

Grünerløkka

Approfondimento cibo: se siete vegani e vegetariani, se siete nostalgici della pastasciutta e del gelato, la Scandinavia non offre piatti tipici esattamente ritagliati sulle vostre esigenze. Offre, però, moltissime cucine internazionali che, penso, possano soddisfare tutti.
Noi non sentivamo la necessità di mangiare pasta e pizza, anzi, avevamo voglia di provare le pietanze del nord. Al terzo giorno di gamberi e salmone, però, ho cominciato e temere lo scorbuto e ad avere bisogno di verdure. No problem: insalate di tutti i tipi (anche senza salmone!) e cibo asiatico a volontà. Un paio di gelati confezionati e tante brioches alla cannella, marmellate, pane e burro, persino il caffè, ormai, non è più un miraggio come un tempo. Il costo è alto? Boh, sì se si vuole a tutti i costi mangiare al ristorante. Di nuovo, le alternative sono molte: mercati, street food, pranzi al sacco sfruttando le svariate proposte di pesce in scatola e di carboidrati sotto forma di pane e focaccine. In generale non abbiamo mai superato i 35 euro a testa (quando ci siamo trattati molto bene) e, soprattutto a pranzo siamo sempre rimasti intorno ai 5-10 euro a persona. Insomma, per come l'abbiamo vissuta noi è fattibile, non economica, ma fattibile. Idem per i trasporti, ma servirebbe un post a sé.

Manfreds - Copenhagen

Brännö Varv Café och Bar - Brännö

Schrøder Restaurant - Oslo

Foto bonus prima di chiudere il post più lungo della storia:
Un'amica, sull'isola di Galterö