mercoledì 31 dicembre 2014

P di prezzemolo

Ultimo post del duemilaquattordici.
Sono in cucina e sto preparando la cena per stasera, o meglio, una parte di tutto quello che mangeremo la notte di Capodanno, io, i vicini-matematici-pasticceri, la famiglia di Martins (con Martins) e qualche altro avventore che non so ancora chi sia.
Anche stavolta non cedo ai propositi, per fortuna, e la P del titolo non è l'iniziale di questa maledetta parola, che si porta con sé inevitabili delusioni, sensi di colpa, fatiche, corse, tristi bilanci finali.
La P del titolo è la P di Prezzemolo, perché l'ho raccolto più volte stamattina per cucinare, dal mio mini orto sul balcone. Ma la P del titolo è anche la P di progetti, che ancora non ho (anzi, uno piccolo su instagram c'è e guarda caso è di nuovo P, di Pititti e uno più grande pure c'è, ma ancora non si dice niente). Poi c'è la P di oPPortunità, che lo so che inizia per O ma è addirittura doppia e le opportunità sono molto importanti, soprattutto nell'anno della disoccupazione e dell'incertezza.
P di Paura? No, non voglio averne.
P di Passione? Beh, quella sì, per forza. Perché è il motore delle cose.
P di Piangere? Sarebbe anche l'ora, ma non solo per i film o i libri d'amore, sarebbe anche l'ora di piangere per le cose che mi fanno soffrire. Perché è sano, bello, buono, giusto e ultimamente che mi è capitato di farlo più spesso...accidenti che liberazione!
P di Pazienza? La qualità che non mi manca mai e a me piace essere così, pronta a dedicare del tempo alle persone, alle loro incertezze, ai loro momenti dilatati, così come alle cose, alle costruzioni con le mani, agli oggetti piccoli e preziosi che nascono da un pensiero (Piccoli-Preziosi-Pensiero, quante P piene di valore).
P di Pienezza, Pilates, Piacere, Potere, Potenza...mentre scrivo e rileggo quello che compare sullo schermo mi accorgo di una cosa: ma questi, alla fine, non somigliano moltissimo a dei Propositi?
E allora mi fermo, vi dico cosa ho preparato per questa sera, che sono ricette semplici e veloci da mangiare prima di tutto il resto, mentre si comincia a brindare per un anno che rimane lentamente indietro e l'altro che arriva svelto, come il treno quando rende più lieve la sua corsa per far passare il rapido in coincidenza.
Stasera porterò con me, costruendo una improbabile e pericolosissima piramide di piatti e ciotole:
Una crema di patate e fagioli cannellini che si può spalmare sul pane (e quello lo abbiamo fatto in casa dai vicini-matematici-pasticceri, cosa vogliamo di più?!) e che si prepara mixando patate lesse, fagioli, yogurt, coriandolo e lime. Io non avevo il coriandolo e ho usato il cumino, ce ne faremo una ragione. E poi infilo nella sacca un secchio di insalata fresca, con foglie verdi, finocchi, arance, carote, semini, pinoli, noci e nocciole, ma anche degli involtini di speck ripieni di pere e pecorino (conditi con un goccio di balsamico e, per l'appunto, di prezzemolo). E porto pure i miei famosi datteroni, di cui potete leggere qui la ricetta completa. Infine viene con me anche un esperimento, che si tiene dentro gli ingredienti di un'altra cosa persa sul nascere, più una manciata di paprika di troppo: torta di bietole, carote, ricotta, parmigiano e robiola (e paprika), in cui tutto è mescolato a due uova e messo in forno in un letto di sfoglia per il tempo che ci vuole.
Ah, nello zaino metto anche una bottiglia di Prosecco (con la P!), che non guasta mai.
Chiudo il post con una canzone, che forse ho già citato, non mi ricordo mai, ma questa versione del video la trovo perfetta per me e per il mio ultimo giorno dell'anno, nella speranza che già da domani qualche casella cominci a trovare un Posto sicuro.


venerdì 26 dicembre 2014

Intrecci

Per scrivere bilanci è ancora presto e poi io non sono molto brava in quel genere di post, tendo a deprimermi dalla terza riga in poi. Ogni anno, attorno al primo di gennaio, mi faccio una foto con i calzini a righe sull'uscio di casa e butto giù riflessioni, propositi e cose simili (ecco l'ultima volta che l'ho fatto), credo che lo farò anche tra una settimana, ma ho ben poche idee per adesso su cosa scriverò.
Oggi è Natale, sono reduce da un pranzo super buono a casa di amici di mamma e ho persino infilato leggings e scarpe da running per correre un po', all'imbrunire, con la musica nelle orecchie e il capponmagro di traverso.
Dopo secoli non sono ancora finita al pronto soccorso durante le Feste, che non sono ancora terminate quindi non si sa mai, ma mi sento blandamente ottimista. Sono giorni di intrecci, di cose che finiscono, di tempi incastrati, di insicurezze che si mescolano a certezze, di tentativi, errori, obiettivi da raggiungere.
Giusto ieri scrivevo su Facebook:
In 24 ore ho:
Pranzato per l'ultima volta in mezzo alle persone con cui ho lavorato cinque anni.
Comprato i regali con mamma nelle botteghe storiche della mia città.
Festeggiato la nuova casa di due amici portando nella mia tazze piene di me.
Scambiato i regali con chi parte per un viaggio speciale.
Comprato i biglietti per il festival più bello che c'è.
Cenato venezuelano con la mia barba preferita.
Fatto la colazione di natale con il vicino-vicino.
Ricevuto il Secret Santa di Cindy.
Per me può iniziare il 2015. Sono pronta!

Ed è tutto vero, piccole cose attorcigliate che hanno reso serene queste ultime ore, un fatto non banale visti i continui riferimenti a morti, rimpianti, assenze, fatiche, fallimenti e altre natalizie amenità.
Il mio lavoro è ufficialmente giunto al termine, a gennaio avrò giusto il tempo di produrre i report di fine assegno, infilare le mie (poche) cose in una scatola di cartone e liberare la stanza. Poi dovrò cercare di sopravvivere (e diciamo che quest'ultima affermazione è già un buon riassunto della mia incapacità a guardare in grande: avrei dovuto scrivere "Poi cercherò una nuova dimensione dove provare a realizzarmi e a mettere in campo le mie qualità", e invece parlo di "sopravvivenza").
Scuola di Robotica e le sue attività imbastite durante gli ultimi mesi dovrebbero permettermi di respirare fino a fine marzo, dopodiché non ho davvero idea di come potranno andare le cose: troppo vecchia come apprendista, troppo qualificata per fare la lavapiatti, troppo distante geograficamente per un lavoro di didattica della scienza in cui speravo, troppo inadeguata per un altro a cui ho mandato un bel cv infiocchettato.
L'ideale sarebbe che riuscissi a vivere di attimi, intrecciando incontri e opportunità, cavalcando la mia fantasia, sfruttando la creatività che ho così tanto sviluppato quest'anno, rovistando nell'ansia alla ricerca di una briciola di fiducia nel futuro e, soprattutto, in me stessa. Oggi però è già più difficile di ieri e per quanto mi sforzi di darmela a bere, ci sono troppe cose che sto affrontando in un modo evidentemente sbagliato.
Persino questo post mi sta deludendo.
Perché è Natale e dovrei vorrei essere circondata da lucine, bambini che corrono, musica tintinnante, e programmi di festa per i prossimi giorni, invece mi muovo con i passi felpati nella speranza che non si rompa nulla, che il precario equilibrio che ho raggiunto resti tale fino all'otto gennaio, senza scricchiolii sinistri e senza sorprese inaspettate.
[...]
La piega che questo post natalizio stava prendendo era talmente deprimente che mi sono autocensurata, ho spento tutto, ci ho dormito su (con una buona dose di prevedibili incubi) e ho ricominciato a scrivere in un nuovo giorno di sole e di aria fresca. Sono andata a correre anche questa mattina, con una luce fortissima e il mare metallico a fianco, sgombrando la testa e pensando ai ravioli del pranzo sull'Albero: oggi si mangia nella mia casa, lontano da fantasmi e passati ingombranti.
I prossimi giorni saranno di bellezza e amici, almeno così vorrei che fossero, e mi piacerebbe provare a vedere tutta questa incertezza lavorativa (e non solo) come un'opportunità. Non so cosa farò, non so se troverò un impiego, non so di cosa mi occuperò, quanto tempo libero avrò, ma quello che so è che devo ricominciare, non da capo ma quasi, come ho fatto stamattina con questo post, provando magari(!) a migliorare le cose e a vedere possibile anche quello che istintivamente mi sembra solo un'utopia.
Io dico che ce la farò.

sabato 20 dicembre 2014

C'era una volta un re...

Vesima, interno giorno.
E' mattina e scrivo nello studio illuminato dalla luce delle undici, quando il sole sta per fare capolino in giardino e inondare anche quest'ala della casa.
Nella foto quassù era interno notte (fonda) sull'Albero, e non c'era verso di dormire.
Settimana bianca, non di neve ma di sonno.

"C’era una volta un Re,
bafè biscotto e minè
che aveva una figlia, bafigghia,
biscotto e minigghia..."


Le ho provate tutte: la tisana, il libro, la respirazione calma e regolare (calma e regolare, calma e regolare), il qui e ora, i pensieri positivi, il prato fiorito (con l'odore di estate e i grilli, una delle mie tipiche visualizzazioni nel tentativo di lasciarmi dormire) e le filastrocche. Quella che ho ripetuto di più è "C'era una volta un re", sentita la prima volta in uno spettacolo di Davide Enia, che amo follemente. Se non lo aveste mai fatto leggete Così in terra, suo bellissimo libro.
Beh, la filastrocca "C'era una volta un re" (bafé biscotto e miné...), che trovate qui in versione integrale recitata live, non ha funzionato, o meglio, la mattina a colazione la canticchiavo ancora, ma ero morta di sonno.
Perché in questa settimana non ho dormito?
Non lo so.
Probabilmente per una serie di motivi, che trovano casa in primis nel mio cervello, ma anche in ufficio, dal ginecologo, in classe, al paesello, ovunque insomma.
C'è la notte che non ho dormito per le cose che si sgretolano, quella in cui ho pensato ininterrottamente al lavoro che finisce, quella che "ho paura per la mia salute e le eventuali scelte che dovrò fare", quella dedicata alle feste (maledette) che arrivano, quella impiegata a digerire, quella del "tutti vanno avanti tranne me", quella "dei progetti che iniziano oggi e magari la sveglia non suona".
Alla fine, dunque, non ho dormito e la scena nella foto si è ripetuta talmente tante volte che alle 3.50 ormai rispondevo alle mail di lavoro.
Tutto sommato, però, va bene così, perché a discapito di una presenza vera riesco a stare su tutto senza starci troppo da farmi travolgere. Come questa estate che però avevo l'aiutino, ora ci riesco di nuovo, senza l'aiutino.
Ci perdo in qualità, quello sì, e ci perdono in qualità anche le cose che faccio, perciò immagino che ci perdano in qualità anche le persone che passano del tempo con me, un tempo più evanescente, più calmo e tranquillo, ma anche più trattenuto, superficiale, separato. Un tempo distante.
Se però questa fase, perché di fase si tratterà sicuramente, potrà servire ad essere serena, non dico felice ma almeno serena, aiutandomi un po' non dico per sempre ma almeno durante le feste e durante quel delicato momento di passaggio tra 32-33 anni, tra assegnista-disoccupata, tra in salute-nella merda, sarà cosa gradita, non dico buona e giusta ma sicuramente gradita.
E quindi, sempre per stare in linea con i pensieri appena scritti, un week end da mamma tra pesto, cioccolatini alla viola di Torrielli, gatte grasse e gambe in spalla non potrà che fare bene. Non dico benissimo ma bene, non dico per sempre ma almeno fino a lunedì. Che poi da lunedì sarà tutto una cena, un pranzo, uno scambio regali, un viaggio a Milano, un brindisi e una dormita a pancia piena. Su quest'ultimo punto, alla fine, se le cose non dovessero funzionare e di nuovo il mio corpo non volesse occuparsi della mia parte notturna, mi resterà comunque questa:

"C’era una volta un Re,
bafè biscotto e minè
che aveva una figlia, bafigghia,
biscotto e minigghia..."



domenica 14 dicembre 2014

Sfere

Palle.
Di Natale e non solo.
Reduce da un week end lavorativo, un corso di robotica che mi ha divertita e stancata contemporaneamente, scrivo a letto con la solita tisana che mi fuma accanto. Zuppa per cena e film romantico pronto in canna (anche se, vista l'ora, visto il sonno e visto l'appuntamento in Soprintendenza di domani, mi sa che crollerò).
Tra poco più di una settimana cominciano le vacanze e come se andassi ancora a scuola ho i compiti da fare: relazione di fine assegno più organizzazione per lo meno mentale di laboratori e lezioni per SDR. Altro compito: riposare. Non che sia particolarmente stanca, i giorni duri sono stati gli ultimi e saranno i prossimi, ma non si può proprio dire che i miei ritmi non siano sostenibili, anzi. Visto che da gennaio le cose cambieranno, probabilmente anche parecchio, penso sia comunque meglio arrivarci rilassati o per lo meno provarci.
Nella foto una delle palline vintage del mio sobrio alberello natalizio, come al solito oberato a dir poco da ogni gingillo possibile: latta, vetro, panno, legno, terracotta...tutti gli addobbi appesi hanno un loro materiale e una loro storia, qualcuno viene da lontano, direttamente dalla mia infanzia o addirittura dall'infanzia dei miei, qualcun altro è un acquisto più recente, arrivato nella scatola rossa l'anno che mi sono trasferita in centro. In questa settimana non sono state le sfere di Natale le vere protagoniste dei miei giorni e dei miei pensieri, ma piuttosto quelle di cui ho parlato giovedì nella stanza bianca. Immaginando tre palle sovrapposte l'una sull'altra, chiamiamo la prima (quella più in alto) Genitore, la seconda (quella al centro) Adulto e la terza (quella in basso) Bambino. Nella vita di ogni giorno l'ideale sarebbe che queste tre realtà, questi tre piccoli/grandi insiemi esistenziali coesistessero separati tra loro ma uniti dentro di noi, dentro le nostre scelte, dentro le strade che decidiamo di percorrere. Probabilmente, però, non è così semplice e può capitare che le tre palle si sovrappongano un poco, lasciando giudicare al Genitore le azioni dell'Adulto, già così spesso condizionato dalle emozioni del Bambino. Ma come ci si sente quando qualcuno ci rimprovera di un comportamento che abbiamo sentito inevitabile? E come può affermarsi un Adulto se si muove così di frequente tra gli sguardi di disappunto di un Genitore e i bisogni essenziali di un Bambino?
Io, pochi giorni fa, ho scoperto (e sentito) di aver finalmente praticato una sana divisione tra le tre sfere, liberando l'Adulto da pregiudizi e impulsi, permettendogli di camminare con uno sguardo alle regole e uno all'istinto ma senza costringerlo ad assecondare per forza nessuno dei due aspetti. Questa piccola/grande cosa che è successa mi ha reso felice, è stato come trovare un pezzo di puzzle che sembrava sparito e che non mi permetteva di continuare a costruire(mi).
Alè!

venerdì 5 dicembre 2014

Atti di fede

Ormai al giovedì si parla solo di fiducia.
Nella piazza vicina c'è un tappeto di foglie secche enorme e così alto che quando ci cammino in mezzo affondo fino alle caviglie. Sembrano di carta e fino a qualche settimana fa stavano sugli aceri ormai spogli che si dividono lo spazio con le magnolie ancora cariche e verdissime.
Accanto a questa oasi dove trovo riparo e concentrazione c'è l'appartamento bianco, è lì che si parla di fiducia. Un tempo non avevo per nulla fiducia in me, ma ne riponevo una grande quantità negli altri. Sempre con un velo sottile di sospetto e di attenzione, una sorta di statt accuort di sicurezza, che tenevo a mente come un mantra. Adesso non ho più bisogno di questa velata raccomandazione: non mi fido più. Non solo di me stessa, ma proprio di nessun altro. Ed è davvero impressionante la profondità, la tenacia e la certezza di questa sensazione. E' più forte di qualunque altra cosa dentro di me, e riguarda ogni aspetto della mia vita. Non so nemmeno io come sia successo, solo che è successo. E chi si trova in questa situazione sa bene come sia difficile intraprendere qualsiasi cosa e qualsiasi relazione, quanto sembri lontano e sconveniente abbracciare progetti (e persone), come ogni buona notizia venga bloccata all'ingresso "perché intanto, da qualche parte, ci sta la fregatura".
Detto questo, ci sono azioni che migliorano un poco questa condizione, per esempio le attività ripetitive e di precisione.
Se il cielo vuole, è Natale. Cosa c'è di più ripetitivo che confezionare i regali per una appassionata di fai da te come me? Forse il pilates, che infatti ho finalmente ripreso con somma gioia e (diciamolo piano, per l'appunto) con costanza.
Quindi, in questi giorni di stanchezza infinita (ho ripreso pilates no?) e di serate più o meno sgombre da pensieri impegni, mi sto dedicando alla costruzione. Ho un biglietto per un compleanno importante che mi aspetta sulla scrivania, un erbario monodose (dal quale sto seriamente pensando di trarre un progetto eterno, di quelli che accompagneranno per sempre i miei regali), almeno otto pacchetti da riempire e un pensiero complicato quanto ambizioso da strutturare. Ho il menu di Natale da immaginare, perché quest'anno voglio pranzare qui sull'Albero, lontano da frane e smottamenti, reali o emotivi che siano. Ho la relazione di fine assegno da compilare, il lavoro della tesista da correggere, un laboratorio e un paio di lezioni da preparare, il nuovo progetto robotico da avviare, la partenza da definire.
Un elenco lungo di azioni ripetitive, che non richiedono molta fiducia, solo tempo, costanza, metodo e precisione.
Da me dipendono la fermezza della mano mentre dipingo le lampadiyne, la fantasia mentre scrivo i biglietti di auguri o scelgo i washitape per i pacchetti, la concentrazione quando leggo la tesi e scrivo la relazione, la concretezza mista a creatività per laboratori, lezioni e progetti robotici: probabilmente quest'ultima è la parte più complessa. Lascio fuori la partenza perché quella è difficile ma sempre più possibile e con il tempo ogni tassellino sta magicamente andando al suo posto, poi si vedrà.
Dicevo, tutte queste belle cose dipendono unicamente da me, persona della quale si è detto che mi fido poco, ma so come lavoro, so quando cedo e necessito di una pausa, so quando mi servono aria, gambe e alberi per staccare la spina.
Il problema è là fuori, dove gira il resto del mondo, credo però che finché mi imbatterò in cose come il Secret Santa di Cindy o il PtitZelda di Zelda, sarà tutto più facile. In questo modo riesco a partecipare senza esserci, o anzi, all'opposto, riesco ad esserci senza partecipare, perché per adesso fare tutto il resto è un atto di fede troppo grosso.
Per adesso perché le cose miglioreranno. Lo so.
E lo faranno perché a me fidarmi degli altri piaceva tantissimo.

P.S. Nella foto ci sono i tre cormorani che ho incontrato lo scorso weekend, mentre camminavo svelta sotto una pioggia fine e costante, per andare a trovare mio padre. Quando sono tornata indietro sullo scoglio era rimasto un solo cormorano; mi è dispiaciuto per lui, avrei voluto prestargli qualcuno dei miei amici, che zitti zitti ci sono sempre, anche quando io sono più lontana che mai.