domenica 23 giugno 2013

The Moon is down

Come si può stare ancora male dopo aver camminato nel fango, toccato una corteccia, attraversato un rivolo d'acqua, osservato dubbiosa un pino, guardato il mare d'argento sotto le nuvole, incontrato decine di grandi fiori gialli come tappeto, respirato l'erba, ascoltato racconti di sentieri e scostato ragnatele tentando rispetto verso tanta fatica?
Come si può?
Non lo so, ma si può.
Le cose vanno meglio, mi risistema sempre il contatto con il bosco, questo ormai lo sanno tutti. Ma ancora a posto non si è.
Mal di stomaco, amiche che pensano a cose grandi, ferri da calza con cui cimentarsi in regali per amici che a cose grandi hanno già pensato, il giardino incantato con il vento freddo e il cielo basso e scuro.
Per fortuna la voglia di scrivere è tornata prepotente, quello sì, tre post in tre giorni; solo che non si può dire cosa sia una pizza integrale dopo una collina di alberi e nemmeno si possono spiegare le notizie di un'amica-sorella a mollo in una vasca di acqua tiepida piena di bolle.
Quindi ascoltare musica nella vecchia stanza di papà, "The Moon is down", proprio quando dovrebbe esserci una luna gigante pronta a splendere sul mio mare come ieri sera, mi aiuta a non sbagliare i punti di lana verde, a non voler trovare sempre, comunque, subito una soluzione per tutto e per tutti, dove la cosa più importante sembra essere ancora una volta non fare del male agli altri.
Domani sarà un giorno di festa, alla radio hanno detto che soffierà tramontana sulla Liguria e io spero di riuscire a trovare una spiaggia tranquilla dove finire il mio libro sugli alberi e staccare il cuore, perché il cervello è già fin troppo spento.
Forse l'osteopata aveva ragione, forse a 48 ore dall'ultima seduta le cose migliorano un po', forse domani mi ritrovo.
Stasera la cena con mamma, di quelle calde, col riso in minestra, con la calma che ho perso, di quelle che magari mi avvicinano alla Elena che si commuove quando pensa al dolore che sente e la smette di guardare le travi immobile. Uno zaino pieno di torta pasqualina, un sacco di terra per le piante dell'Albero, una borsa con le scarpe da trekking e una con il costume azzurro.
Forse le lacrime che cominciano a scorrere tiepide sulle guance si uniranno alle coccole delle Terme, fastidiose come non avrei mai pensato quasi fino all'ora di andare, che però mi hanno ammorbidito i capelli tagliati corti da poco e il collo sempre teso come se aspettasse qualcosa di improvviso. Forse.
Faccio spazio alla gatta, mi sfrego gli occhi e vado a prepararmi un aperitivo leggero.

...So all that I ask
Is you come say hi when you're around
It ain't much
But it's good enough for me...

(Radical Face, The Moon is down)





sabato 22 giugno 2013

Sono

Foglietto illustrativo

Sono un tranquillante,
agisco in casa,
funziono in ufficio,
affronto gli esami,
mi presento all'udienza,
incollo con cura le tazze rotte -
devi solo prendermi,
farmi sciogliere sotto la lingua,
devi solo mandarmi giù
con un sorso d'acqua.
So come trattare l'infelicità,
come sopportare una cattiva notizia,
ridurre l'ingiustizia,
rischiarare l'assenza di Dio,
scegliere un bel cappellino da lutto.
Che cosa aspetti -
fidati della pietà chimica.
Sei un uomo (una donna) ancora giovane,
dovresti sistemarti in qualche modo.
Chi ha detto che la vita va vissuta con coraggio?
Consegnami il tuo abisso -
lo imbottirò di sonno.
Mi sarai grato (grata) per la caduta in piedi.
Vendimi la tua anima.
Un altro acquirente non capiterà.
Un altro diavolo non c'è più.

Wislawa Szymborska

venerdì 21 giugno 2013

"Cadranno mille petali di rose..."

Primo giorno d'estate, oggi.
Un terremoto lieve, una visita dall'osteopata, un'ora di pilates, una mostra di fotografia, una pizza e due passi con la Elli.
La situazione del mio fisico è buona, a parte l'enormità di chili presi che non riesco a spiegarmi. Le sedute per ora hanno dato i loro frutti e, non c'è dubbio, la spalla è quasi dritta, gli allenamenti in palestra non mi danneggiano più come in passato, i dolori al collo sembrano diminuire.
Il problema, se di problema si tratta, è la testa. O meglio, quello che c'è dentro. Oggi s'è parlato di omeopata, non so, una possibilità a questa opzione penso la darò, ma la verità è che mi sembra di essere rotolata indietro, in fondo al sentiero percorso in questi ultimi tre anni.
Giornate trascorse ad aspettare che finiscano. Sonni che dire leggeri, inutili e a volte terribili è poco. Entusiasmo sul lavoro pari a zero. Entusiamo in generale, a dire il vero, pari a zero. Il corso di foto, che sembra anche andare bene, rimane una cosa che faccio e non condivido. I libri che leggo mi piacciono ma restano lì, comodino-borsa-mensola.
Le serate con gli amici passano leggere, anche se non le cerco quasi mai io e quasi mai ho la sensazione di essere di compagnia.
Mi manca il motore, un motore qualsiasi, mi manca la voglia di pensare a una estate, la prima dopo anni, in cui potrò permettermi qualche giorno di ferie. Mi manca la forza di iniziare a scrivere la tesi di dottorato, obiettivo quasi raggiunto e così lontano. Mi manca il senso delle cose che faccio, ne trovo molto di più in quelle che non faccio.
Ore a fissare le travi sul soffitto ho idea che mi servano maggiormente che chiacchierate, confronti e riflessioni.
Eppure esco quasi tutti i giorni per andare al lavoro, faccio attività fisica almeno due volte a settimana, mi nutro in maniera dignitosa (anche se i tempi della cucina sono ormai finiti, supermercato e cena pronta hanno sostituito le mie belle serate ai fornelli e le mie torte di verdura). Ho raggiunto livelli di disillusione a dir poco storici, anche se la consapevolezza di essere molto fortunata è chiarissima e forte dentro di me. Resta l'apprensione per la salute di mamma e i prossimi responsi, resta l'immaginario lontano della fine della borsa, resta una sempre più debole speranza di uscire da questa situazione.
Che diritto ho di sentirmi così inutile?
Ma, del resto, in cosa dovrei sentirmi utile? Per chi?
So fare molte attività diverse ma in tutte sono mediocre, non c'è un campo in cui mi sento bene, in cui sono brava, non c'è un'attitudine che mi accompagna.
E se come da molti anni a questa parte a mangiar pesci sotto l'albero ero circondata "solo" da amici la responsabilità è unicamente mia.
Una persona senza una vera passione non potrà mai attirare persone appassionate. Potrà essere la confidente di molti, una figlia premurosa, una collaboratrice affidabile, una persona gentile, ma poi, per se stessa, sarà solo la confidente di molti, una figlia premurosa, una collaboratrice affidabile, una persona gentile.
"Tornerà un altro inverno, cadranno mille petali di rose" e io comincio seriamente a pensare che sarò sempre qui, a scrivere della mia immobilità, di questi lunghi periodi di apatia che presto mi allontaneranno, giustamente, anche dalle amicizie, di tutte le insicurezze nelle mie incapacità che da sempre si mangiano pezzi di me.
Della Elena che guida l'auto, della Elena che vola a conoscere un posto nuovo, della Elena che esprime i propri sentimenti con determinazione, della Elena che dimostra di saper fare una cosa qualunque, fosse anche cucire un bottone, della Elena che si prende cura con costanza degli altri e delle loro difficoltà.

mercoledì 12 giugno 2013

Una cattedrale di pioggia

Lunedì sono andata a S. Torpete, parrocchia a pochi passi da casa. C'era uno degli incontri di Paolo Farinella, Prete, come ama definirsi lui stesso. Il tema principale era la commemorazione di Don Andrea Gallo, in realtà gli argomenti affrontati sono stati tantissimi, complice anche la figura di Don Gallo, "così piena di cose da dire".
Io sono arrivata un pochino in ritardo, reduce da una seduta dall'osteopata, la seconda trascorsa sul lettino in un bagno di lacrime involontarie.
Vuoi il lavoro che sto facendo sul mio corpo, vuoi la circostanza di memoria in cui mi trovavo, vuoi i vari punti trattati, a S. Torpete le lacrime mi sono uscite chiaramente e me ne sono accorta bene.
Raccontando del giorno del funerale di Don Gallo, Farinella ha parlato di cattedrale di pioggia, un'immagine bellissima, secondo me, per descrivere la folla di fedeli fuori dal Carmine, riunita sotto al diluvio in un grande abbraccio attorno al suo prete. A questo proposito si è parlato del concetto di necessità, il bisogno di esserci il giorno delle esequie per poter salutare quel pezzo di noi che se n'è andato con Don Andrea.
Ripercorrendo la vita del suo amico, Don Farinella ha citato passi del Vangelo, aneddoti di gioventù, articoli di giornale alquanto datati, avvenimenti della scena ecclesiastica che io non conoscevo.
Sono atea, si sa, ma partecipare agli incontri organizzati a S. Torpete o leggere il prezioso blog di Farinella non c'entra nulla con la religione. C'entra con la cristianità e io a volte penso di essere molto più cristiana di tanti altri. "La persona è il suo messaggio, il suo agire, la sua coerenza e l’impronta che lascia, senza nemmeno sapere di lasciare qualcosa", ho parlato di concetti simili non molto tempo fa, quando davanti alla sensazione di non lasciare nulla di buono dietro di me mi è stato detto che non è così, che l'amorevole cura che metto nelle piccole cose ha il suo peso, marca la sua impronta. Forse è così, non so.
Nel memorandum pubblicato nel suo blog Farinella scrive "In nessuno come in Don Andrea ho visto sperimentato quanto ho scritto in un libro alcuni anni fa: l’altro come misura della propria identità; ognuno di noi scopre se stesso solo se è capace di conoscere e di riconoscere gli altri come diversi da sé perché solo la presenza dell’alterità mi permette di prendere coscienza della mia identità che si definisce a partire dalla differenza/diversità." Com'è vero...com'è vero che ci si conosce meglio guardandoci accanto agli altri, che non vuol dire facendo confronti (atteggiamento che io non smetto mai), ma significa camminando vicino a chi è differente da noi, osservando un altro passo, analizzando il nostro, cercando di comprendere in che modo strade tanto diverse finiscono per incontrarsi.
E, a volte, faticano a separarsi di nuovo.
Il momento che ha aperto i miei rubinetti e mi ha commossa in mezzo alla chiesa bella piena è stato quello dedicato a questo passaggio della Bibbia: "Le parole con cui il Dio sconosciuto si manifesta, in ebraico sono: «’èhyèh ‘ashèr ’èhyèh» che tradotto secondo le regole della linguistica testuale deve rendersi così: «Io sarò chi sono stato» e non «Io sono colui che sono» (Es 3,14)" e io, subito ho pensato a Erri che la mattina presto legge le sue scritture in ebraico antico, poi ho riflettuto su quelle parole e mi sono sembrate terribili. Non ho ancora capito come interpretare correttamente "Io sarò chi sono stato", non voglio credere che nel futuro mi possa aspettare solo quello che già ho avuto, quello che già ho fatto: ho davanti a me la sensazione di dover attendere il niente. Le cose goffamente costruite sino ad oggi sono davvero lo specchio di quelle di domani? Io lunedì sera avevo bisogno di sentirmi dire tutto l'opposto, sentivo la necessità di ricevere rassicurazioni sulla mia capacità, in futuro, di nutrire un amore semplice, di godere delle piccole cose, di lasciare un insegnamento a qualcuno, anche minimo, anche unico.
Alla fine ho concluso la serata di lunedì arrabbiata, con poca voglia di fare, con la sensazione che qualunque iniziativa io provi a intraprendere abbia il valore, il senso e la finalità del nulla.
Mentre l'idea di guardare le travi sul soffitto continua ad essere quella più istintiva.
Domani però parto, vado a Bologna per un workshop e mi fa molto piacere togliermi di qui, provare a camminare in un'altra città per lo meno per pensare ad altro, per cercare di formarmi senza continuare a riflettere sulle mie immobilità, sulle enormi nostalgie che mi accompagnano giorno e notte, sui sensi di colpa da cattiva amica, cattiva figlia e cattiva tutto il resto, sensi di colpa che non riesco a cacciare lontano.
Giusto per concludere e spiegare la foto che ho scelto (figlia del corso iniziato da un po'), racconto brevemente il sogno che ho fatto lunedì notte:
"Ero in giardino dai miei, in cielo una piccola colomba grigia si incontrava con un maschio bianco bellissimo che le porgeva grandi piume, bianche pure quelle. La colomba con quelle piume costruiva un nido, riparato sotto un cespuglio fiorito di piccoli fiori bianchi. Erano così belli quei due animali innamorati che chiamavo mio padre a vederli, lui usciva, si fermava sulla soglia di casa accanto a me, ma il colombo bianco non arrivava più. Tornava solo lei, dal bosco, senza l'ala sinistra, con metà corpo bruciato e lentamente, volando piegata su un lato, andava a morire nel suo vecchio nido, costruito con rifiuti di plastica e rami secchi".
Non ho nessuna intenzione di interpretare questo incubo, né il sogno di pochi giorni prima in cui partorivo con gioia e senza dolore un bel maschietto in salute, subito consegnato alle braccia gentili del nonno materno, mio padre, felice di poter tornare un po' qui e occuparsi del piccolo nipote.
Che dire, tutta l'immobilità della vita reale pare compensata dal mio emisfero notturno.
Di seguito il link al "pacchetto" di Don Paolo Farinella, per chi lo volesse leggere per intero.
http://paolofarinella.files.wordpress.com/2013/06/pacchetto-del-mercoledi-n-51-di-paolo-farinella-del-11-06-2013_don-gallo-andrea.pdf

mercoledì 5 giugno 2013

Il potere lenitivo dei boschi

"Talvolta sento l'irrefrenable desiderio di venire in un bosco di montagna proprio quando la testa è piena di pensieri, quei pensieri che ti incatenano alla gelosia, al timore di perdere tutto, baracca e burattini; pensieri litigiosi, cannibali, il lago nero è solcato da vento forte. Toccando le cortecce farinose che si sbriciolano appena le sfiori, inspirando profondamente l'odore delle resine, e ancora scandagliando le geometrie delle fronde che si espandono ovunque tranne verso altri tronchi cresciuti magari a pochi centimetri, fra rocce basaltiche, resti di tronchi esplosi e corrosi dai funghi agarici, arancioni, comprendo, nel manifestarsi del "miracolo", il potere lenitivo dei boschi. Annullano il peso del passato, lo prosciugano, lasciano respirare e sudare in un presente storico dove tutto, o quasi, potrebbe accadere. Inizi a discernere, razionalmente, qanto in te, nel tuo turbinio di pensieri, sia frutto di disgrazie e quanto di scelte consapevoli condotte fino alle (eventuali) estreme conseguenze. Quanto sia stato causato da decisioni non prese, da rinunce, da ritiri preventivi, da fughe se preferite chiamarle in questo modo, o da errori. Queste distinte radici sono profonde e coesistono in noi, dovremmo avere la capacità di distinguerle, come se fossero di dolore e sostanza diversi, ma spesso si presentano aggrovigliate, fuse, annodate in modo così stretto da sembrare un'unica materia penitente, un dolore che ci sussulta nel petto, o nella testa, troncando il futuro. Nei boschi l'anima trova nuova luce, e ci viene concesso di individuare nuove scelte, libere e giuste, di scartare le paure e le fregature di ordine psicologico. Anche l'orgoglio si riduce sensibilmente, anzi ci appare - dentro questo ordinario bosco di alberi che corrono verso il cielo immersi nella penombra - un bagaglio inutilmente pesante che può essere abbandonato all'ingresso della selva. Il futuro riacquista valore, il passato si emargina, e si prosegue senza fretta, senza la furia di dover arrivare per conquistare il punto, è il camminare che rappresenta l'unità di misura utile, la nostra via, prima ancora di tutto il resto"

Tiziano Fratus, Il manuale del perfetto cercatore d'alberi.

martedì 4 giugno 2013

Menti Perdute

Sono a Rimini per lavoro.
Sto scrivendo su un foglio di carta riciclata, con una penna riciclata, consegnata direttamente attaccata a un quaderno riciclato chiuso in una valigetta di cartone riciclato. Sono a un congresso di chimica applicata all'ambiente e ai beni culturali e tutto questo riciclo è dovuto al taglio green del convegno. Lunch e coffee break al limite del biologico compensano un albergo in cui doccia e wc sono spaventosamente sinonimi. Il tempo fa schifo e Rimini, senza sole, mi sta deprimendo non poco.
Il ciclo in arrivo, la puzza di disinfettante ospedaliero che c'è in camera, le infradito ricoperte di polvere in vendita ad ogni isolato, la sensazione ormai nota di essere un pesce fuor d'acqua, rendono questo soggiorno una bella fatica.
Per fortuna che la mia collega silenziosa condivide con me queste ore di seminari interessanti e di alto livello, cibo, caldo ai piedi e inadeguatezza. Mal comune...
Ora un bell'intervento sul recupero delle pellicole cinematografiche distrae il mio sguardo dalle decine di scritte sui muri dell'aula, tra le quali “Menti Perdute” ha rapito la mia attenzione. “Menti Perdute”.
A parte il caldo insopportabile, il lungo viaggio in treno di ieri mi ha permesso di arrivare quasi alla fine del romanzo leggero cominciato qualche tempo fa, così, le prossime sere, tra un report e un progetto, potrò iniziare il volume sugli alberi che ho comprato da poco.
Ora parla una ragazza mora, occhi neri, con l'accento del sud, Napoli mi pare. Ha una bella maglia e una bella presentazione. E io mi sento sempre più fuori posto.
Nel cortile si vede un poco di sole, stasera ci sarà una specie di aperitivo legato al convegno, argomento: lavoro, ricerca e chimica. Bah.
Il programma è cambiato all'ultimo e, non avendolo controllato in tempo, resteremo qui quasi un giorno in più. Se il meteo rispetterà le previsioni pioverà. Il Tempio Malatestiano è chiuso per manutenzione, il Castello oggi era chiuso perchè é lunedì. Gli interventi della sessione scorsa hanno scatenato arrabbiate riflessioni sulla figura del chimico per i beni culturali, ma le soluzioni non mi sembrano solo lontane, mi sembrano impossibili.
Nella mia ricerca di spazio, nel mio tentativo di individuare una strada futura in cui praticare l'amore per me, per le mie cose, per le mie persone, io mi sento ancora una “Mente Perduta”.


P.S. Per dovere di cronaca: questo post è stato scritto ieri. Alla sera, tornando in albergo, mi hanno rubato il cellulare. Così, “perduto” pure questo. Ora me ne sto qui, più libera del solito, a leggere il mio nuovo bellissimo libro su cui scriverò presto qualcosa.