domenica 31 luglio 2016

La fabbrica dei sogni

Avete presente quando trascorrete una giornata facendo tante cose diverse, così tante e così diverse che alla sera vi sembra di essere svegli da tre giorni? Avete presente quei momenti notturni in cui non riuscite a rendervi conto se state sognando oppure no? Avete presente quelle condizioni così perfette e fuori dal tempo che potrebbero arrivare dritte dritte da un mondo onirico ovattato e lontano?

Ecco, tutte quelle situazioni io le chiamo le fabbriche dei sogni e adoro quando capitano, specie se all'improvviso, specie se in giornate speciali.

Poco fa, per esempio, mi è successo questo: ero semi sdraiata sui sedili verde bosco del Trenino di Casella e provavo a dormire, vista l'oretta di viaggio che mi attende. Fuori dal finestrino scorreva un paesaggio fatto di alberi e luce, polvere e sole e io non sono riuscita a prendere sonno, coinvolta com'ero dal momento magico e sospeso.

Mi è venuta voglia di scrivere, mi ha sorpreso l'ispirazione.


Quell'ispirazione che dopo ogni post sono convinta che non tornerà mai più e invece, inesorabile, si ripresenta all'improvviso. La settimana scorsa la scintilla l'ha accesa inconsapevolmente la bimba in piscina, oggi sempre di piscina si tratta, ma stavolta siamo sulla via del ritorno.

In verità, la prima avvisaglia che oggi sarebbe stata una giornata visionaria l'ho avuta stamattina presto, quando ho impiegato un bel po' di tempo a rendermi conto che il sogno dei vicini di casa che riuscivano ad aprire il portone rotto da giorni era, appunto, soltanto un sogno. Ieri sera lo abbiamo riparato con un po' d'olio d'oliva, ma i cori di gioia di questa notte non ci sono stati davvero, non mi sono mai affacciata alla finestra, non ho visto nessuno abbracciarsi e saltellare allegro nel vicolo buio (anche perché, diciamocelo, per una serratura funzionante mi sarebbe sembrato un tantino eccessivo).

Ieri sera, dunque, abbiamo fabbricato un sogno, semplicemente facendo (tornare a) girare la chiave nella toppa; chissà se anche il finestrino semiaperto di poco fa, il dondolio e il rumore del treno, il giornale stropicciato su cui scrivo questo post (riempiendo ogni buco libero della pagina dedicata alle ultime tendenze moda), fabbricheranno di nuovo qualcosa.

P.S. Nella foto quassù una diretta delle mie comunicazioni aliene (cit.)


giovedì 21 luglio 2016

La piscina

Oggi in piscina c'è una bambina speciale. Speciale per me, speciale ai miei occhi.

Nuota da sola, ogni tanto si ferma, ogni tanto parla con qualche altro bambino.
Non indossa né salvagente né braccioli, non so quanti anni abbia, forse otto, forse nove.
Va a dorso, da ore, non è molto brava, tiene i piedi troppo sotto, (così) non schizza nessuno. Attorno a lei tutti urlano, corrono a bordo piscina, si tuffano, dimenticano la cuffia o la perdono in acqua, lasciandola scendere sul fondo come se fosse una medusa.
Lei la cuffia la sistema spesso, si tira su facendo forza sulle braccia magre, si siede sullo scalino, aggiusta la coda di cavallo e la nasconde bene sotto la stoffa blu. Ha un herpes ormai secco sul labbro, lo sguardo concentrato e tranquillo: pensa a qualcosa, chissà a che cosa. Le altre bambine portano costumi a fiori, indossano il bikini come le mamme, hanno la cuffia rosa. Lei no, lei è lì con gli slip bianchi e la cuffia scura, nuota cambiando traiettoria ogni secondo, si ritrova con la testa contro il bordo senza capire come ci sia finita, si guarda attorno e ricomincia a nuotare.

Sembra una persona abituata, sembra abbia accettato di dover aggiustare il tiro continuamente. Vorrei parlarle, e chiederle di spiegarmi come fa. Poi però, quando esce dall'acqua e va a giocare con gli altri bambini, come se non fosse successo nulla, come se non avesse avuto alcun pensiero difficile, mi rendo conto che non ho nulla da imparare. So già tutto, anche io ero così da bambina, solo che crescendo ho perso il ritmo, ho pensato che le cose sarebbero cambiate, insieme a me.

Non vorrei più chiedere nulla a quella bambina, ma mi piacerebbe dirle grazie, per aver aperto una finestra su quella che ero, per avermi costretta a sentire cosa sono ora. Come domenica a pranzo, davanti a un piatto di spaghetti con le vongole, vicino a un benzinaio sotto il sole, con Nino Buonocore e Lucio Battisti che rendevano tutto spaventosamente familiare, italiano, perfetto. In quell'istante non ho avuto dubbi su ciò che amo, sul futuro che voglio, sulle cose davvero importanti, sul cammino che mi piacerebbe percorrere, sulla fortuna che sono certa di avere, sulle possibilità che davvero, davvero, davvero vorrei vivere fino in fondo.

Sbattendo spesso sul bordo, magari perdendo la direzione, ma ricominciando sempre a nuotare e uscendo ogni tanto a giocare.

mercoledì 13 luglio 2016

Bluebirds on our shoulders

Treno, interno giorno (tardo pomeriggio, in verità).
Sto tornando da Pistoia con il mio amico Edu, siamo andati insieme al concerto dei The National (per chi non li conoscesse sono loro, scegliere una canzone tra le mille che amo è impossibile, quindi beccatevele tutte).
Questa settimana, ormai arrivata a metà, terminerà con un altro concerto, ma per ora ho bisogno di lasciar sedimentare quello di ieri sera.
Com'è andata? L'ho scritto stanotte su Instagram, con ancora le canzoni in testa e in bocca, con le gambe gonfie, la schiena a pezzi e la voce roca (sei ore in piedi, di cui metà a 35 gradi, non ho più il fisico per reggerle!).

C'è chi ha bevuto 18 litri di birra, chi ha saltato ininterrottamente sui piedi degli altri, chi ha litigato con la sicurezza, chi ha risposto a telefonate di lavoro (?!), chi ha fotografato tutto il fotografabile, chi ha seguito il concerto dallo schermo del telefono (?!), chi ha urlato a sproposito, chi ha limonato duro, chi ha battuto le mani fuori tempo, chi ha vomitato in un sacchetto, chi ha spinto, chi ha cantato...e poi ci sono io che, come da tradizione, ho pianto.

Volevo vedere i The National dal vivo da un sacco di tempo, avevo grandi aspettative e non sono rimasta per niente delusa, anzi, persino la maglietta con la mezza luna sulla montagna se n'è venuta a casa con me senza protestare!
Oggi, reduci e felici, abbiamo fatto un giretto a Pistoia e poi Edu ha avuto un'idea, di quelle idee inaspettate che ribaltano un pomeriggio e ti fanno vivere due giornate in una: prima di pranzo abbiamo preso un treno e siamo andati a Lucca. Io non c'ero mai stata (mi fa sempre molto ridere che a visitare le città italiane mi ci porti un amico venezuelano) e mi sono letteralmente innamorata di questo giardino color crema stretto dall'abbraccio delle mura.

Ho fatto subito amicizia con un tiglio, ho fotografato chiese, piazze e canali, ho mangiato pasta ripiena di carne al sugo di carne, ho camminato lungo i viali alberati e sono salita sulla Torre Guinigi. Cosa ha, questo posto, di tanto speciale? Per esempio un gruppo di lecci che vivono sulla sua cima, oltre a un panorama mozzafiato, un vento meraviglioso e un tappeto di licheni di tutti i colori. Per crederci basta guardare la foto quassù.

Ora, di ritorno da un week end infrasettimanale (meritatissimo, visto quello ufficiale trascorso a scrivere e a correggere bozze), penso che non doveva andare così eppure è andata benissimo lo stesso. Perché, si sa, le deviazioni inaspettate sono sempre le migliori, perché le notti sola in stanza, in un posto sconosciuto, tra ventilatori super rumorosi e zanzare elicottero servono per pensare e andare oltre, perché il primo caffè del mattino è buono ovunque e comunque, perché per quanto tu possa piangere a un concerto ci sarà sempre una ragazza inglese accanto a te che piangerà più forte di te.

P.S. Ah, è finito così.

sabato 2 luglio 2016

Di foglie e di gentilezza


"Praticate gentilezza a casaccio. E atti di bellezza privi di senso"
Ho letto questo slogan su Facebook almeno tremila volte e, come capita spesso con le cose inflazionate, mi ha stufata.
Probabilmente non sono nemmeno troppo d'accordo con quello che dice, visto che credo profondamente nella gentilezza non casuale e nella bellezza, secondo me, mai priva di senso.

Ho iniziato il progetto delle foglie gentili ormai da sei mesi e oggi vorrei raccontare un pochino come è andata fino ad ora. Per chi non lo sapesse l'idea di "abbandonare" piccoli doni handmade in giro per le città (ma anche in campagna, al mare, ovunque!) è di Tulimami, meravigliosa artigiana italiana che dovete assolutamente conoscere. Ho cominciato un po' per gioco, un po' per provare i timbri che costruivo con pazienza nelle sere d'inverno, un po' per convinzione: sono infatti fermamente convinta che questo mondo abbia bisogno di azioni gentili. Magari piccole, sussurrate, alla portata di tutti, eppure comunque così rare.

Mi sono chiesta spesso come reagirei io se trovassi una delle mie bustine di carta morbida, con un albero stampato sul retro e una foglia impressa all'interno, accompagnata da un invito alla cura e alla custodia di questo gesto di vicinanza spontanea. Mi sono sempre risposta che sarei felicissima di imbattermi in un dono inaspettato, che lo racconterei a tutti, che lo conserverei con affetto e attenzione, come se fosse un gioiello prezioso.

Su queste premesse non ho più smesso di timbrare, scrivere, lasciare e fotografare le mie #fogliegentili, aggiungendole anche all'album Pinterest creato con le altre persone che fanno parte del progetto e riflettendo bene sul luogo giusto dove "abbandonare" la bustina. Metto sempre il verbo abbandonare tra virgolette perché è una parola che odio (e che mi terrorizza a morte): non credo affatto che le gocce gentili siano abbandonate, quando individuo il punto giusto, in accordo con i miei sentimenti del momento e con il mio cuore, semplicemente appoggio la busta, la fotografo e mi allontano svelta.

Le poche volte che ho fatto questo gesto in compagnia di Secs mi ha divertita moltissimo il suo istinto di rimanere a guardare, di nascosto, chi avrebbe trovato la foglia gentile: beh, gliel'ho sempre impedito, trascinandolo via mentre brontolava! Il bello è proprio non sapere a chi capiterà il gesto di gentilezza, potrebbe succedere a chiunque, a una persona che ne ha particolarmente bisogno, a un bambino, a una coppia di innamorati, a una signora carica di buste della spesa, a uno spacciatore, a un vigile urbano, a un vecchietto che guarda i lavori la domenica, a una suora, a un cagnolino, a un architetto, a un netturbino. L'ultima volta, probabilmente, è capitato a un bagnino (come testimonia la foto scelta per il post, sono finalmente riuscita a lasciare una bustina nella mia adorata piscina!).