giovedì 24 novembre 2011

Devo chiederti una cosa:


Ci sono cose che si pensano lontane: la laurea, il matrimonio, la morte di un nonno, la nascita di un nipote, l'acquisto di una casa.
Ecco, ora una di queste potrebbe pure essere vicina...e tu dove sei? Passi la laurea, passi la morte del nonno, ma come faccio a comprare casa senza fartela vedere?
Ho bisogno che tu mi dica che sto facendo una cazzata, che tu veda i lavori che ci sono da fare e smonti il mio entusiasmo di bambina, che litighi con mamma su ogni piastrella da riparare, che guardi storto il parquet con i segni lasciati dal cane, che ti preoccupi dei vicoli pericolosi e del posto auto lontano.
Ho bisogno che tu mi dica che è bella, che c'è la cucina in muratura come a Vesima, che è accogliente e ha anche la dipensa, che è piena di nicchie e i soffitti sono alti, che le finestre sono grandi e che il muro lo buttiamo giù per far passare la luce.
Qualche sera fa, con la gatta sui piedi e la coperta verde, ho preso un pacco nell'armadio: carta da pane marroncina un pò rotta sui lati, spuntavano un paio di occhiali da lettura, i tuoi, spuntava un cinghino di orologio, il tuo e spuntavano un sacco di lettere e foto.
Ne ho lette tante, scrivevi ai nonni da militare e loro rispondevano a te. Scrivevi anche ai tuoi di nonni, Ione e Tancredi (che nomi meravigliosi!) e loro ti mandavano lettere con calligrafie lunghe, amore e macchie di caffè.
La zia Iris che aspettava il tuo ritorno, zio Vinicio che ti raccomandava la salute, nonno Luigi che ti raccontava del lavoro e nonna Licia che si lamentava un pò.
Tu volevi andare a Roma, ma ti toccava invece cucinare per il comandante, volevi la camicia con i polsini e la cravatta coordinata, volevi tornare in licenza.
Ti ho letto tanto e ho tenuto per me qualche tua foto da piccolo, ora però ho bisogno di una mano, che faccio? Salto?
Non sono capace, o forse sì e non lo so, mi pare enorme e probabilmente lo è, ho solo bisogno di te. Ho bisogno di te e ho bisogno di tempo.
Mi serve tempo per decidere della casa, per scrivere la relazione di fine anno di dottorato, per dare un esame, per voltare pagine giganti, affrontare discorsi e guardarmi allo specchio. Ho bisogno di tempo e di te, e non posso avervi.
Almeno però posso desiderarvi, quello sì, posso rubare tempo alle cose stupide e cercare te nel mio carattere, nelle mie paure, nelle mie regole, nel mio rigore, nei miei sorrisi inaspettati e nel mio cuore.

mercoledì 16 novembre 2011

Extremely Loud and Incredibly Close


Le zucche, i gatti, il colore verde, lo zucchero di canna, le maglie con i bottoni, i cappelli, le galosce di gomma, l'arte di Christo, i fiori piccoli, le case accoglienti, le sciarpe che non pungono, gli aironi, la pasta e fagioli, i divani comodi, i viaggi in treno, le panchine al sole, le giornate di pioggia, le passeggiate, il tempo in cui si legge, i film di Von Trier, i tisanuri, le scaloppine al marsala, i vestiti color mattone, gli ombrelli, le abat-jour liberty, i pastelli a cera, il negroni sbagliato, i libri di Murakami, i calzini a righe, i montgomery, la birra bianca, i film dei Coen, le citroen due cavalli color carta da zucchero, Strasburgo, i contenitori di latta, la focaccia, l'odore del legno, le stufe, il pesto, i bruchi, cercare i funghi, Cat Power, la carta riciclata, il vino, le lucine natalizie, i tramonti viola, i licheni, il mare d'inverno, i gomitoli di lana, le calze autoreggenti, i capelli corti, il caffè, i dolci di ricotta, la Germania a novembre, gli spinoni, Erri de Luca, gli anelli vecchi, i jeans, le camicie a quadri, il riso nella minestra, le mulattiere, le luci soffuse, la musica jazz, i libri di Safran Foer, le serie televisive mediche, gli orecchini, il riso coi porri, l'amaro S. Maria al Monte, le sculture di marmo, i satelliti, i legumi, i paguri, l'eclissi di luna, i REM, le tillandsie, il tiramisù, il rimmel, arrampicare, le banane, gli stivali, le borse, l'odore dei libri, le torte di verdura, le vasche da bagno, il pilates, i musei, i tetti, le libellule, il muschio, le mandorle, il miele, le mani sui fianchi, gli orologi, gli stormi di uccelli, l'odore della pipa, le coperte di lana, i tappeti, il suono del violino, il rumore del correre sulla moquette, le campanelle, la panna montata, le poltroncine, il latte condensato, le aquilegie, Palermo, la farinata, il cinabro, i bambini, gli alberi di ginkgo biloba, lo zafferano, i cestini di vimini, il fritto misto, le collanine lunghe, i gialli scandinavi, le agende, le foglie, le tende alle finestre, il bucato steso al sole, pane burro e marmellata, l'ardesia, l'edera, i pavoni che fanno la ruota, la sogliola, il gelato, gli anelli nell'acqua quando tiri un sasso, i quadri di Fussli, scrivere, le stoffe colorate, i matrimoni, lo sciroppo di rose, gli anacardi, i quaderni per gli appunti, le capre, le matite colorate, l'uvetta, i costumi a triangolo, le calamite, gli sformati, la cioccolata, le lenti di ingrandimento, gli accenti, l'idea della Bretagna, le candele accese, i lemuri, Nick Drake, i bicchieri, le tisane, le sottovesti, i cereali, l'erba mossa dal vento...

domenica 13 novembre 2011

Le sagome nere degli alberi


Le sagome nere degli alberi su un cielo giallo e rosa.
Post breve, già lo so.
Sola a casa, a Vesima, febbre improvvisa e alta...prevedibile: troppo stanca, troppo esposta, troppo di corsa, troppo inconcludente, troppo spaventata.
Non avevo ancora finito di avere mal di gola e di tossire tutto il giorno che sono di nuovo qui, seduta su un divano, a guardare fuori. Fuori che c'è? C'è la foto del post, non proprio la stessa perchè non ho la macchina con me, ma la finestra è quella giusta, il panorama pure, gli alberi sono neri e il cielo è giallo e rosa.
Vorrei condividere questi colori, vorrei fare un sorriso grande e una carezza, vorrei essere stanca dopo una lunga passeggiata in Baiarda, vorrei andare a mangiare le castagne dalla Nessie e non avere così tanto mal di testa da non riuscire a studiare. Scelte giganti, la casa, il dottorato, me stessa. Il budino al cioccolato e la gatta sui piedi aiutano, ma non bastano. Non basta nemmeno l'ottimismo sepolto che mi fa dire: beh, per la presentazione hai quasi un mese, i percorsi IMG sono rimadati, il Muvita è organizzato, le persone che ami ora stanno meglio, la mamma è al cinema con le amiche, l'esame in qualche modo lo supererai, il lavoro lo dividerai con le altre, hai ricominciato palestra e ti fa bene, Novembre è il tuo mese preferito.
Come si fa con le diete, comincio domani che è lunedì, da domani sarà tutto più facile, basterà alzarsi al mattino e scandire la giornata con riunioni, animazioni, riassunti, colloqui, telefonate, seminari e si arriverà a sera in un attimo. Per oggi, che è ancora domenica, che ho la febbre, che fuori è giallo e arancione e gli alberi sono neri, che vorrei essere in Baiarda, la frase più vicina a me in questo momento è: sometimes crying in the shower is exactly what you need.

lunedì 7 novembre 2011

Lo sminatore


Oggi un racconto.

"Qualcuno conosce uno sminatore? Io sì.
E' una persona speciale, piena di coraggio nelle cose difficili e terrorizzata nelle più semplici. Ti chiedi ogni giorno come faccia ad affrontare certi rischi in solitaria, come faccia a non avere paura, a bastare a se stesso, a non sentire il peso dell'isolamento. Poi lo vedi seduto al bar, con una birra scura davanti, con i suoi occhi chiari tagliati dritti come fa lo scalpello col legno, con la camicia a quadri e le mani rovinate e solo allora capisci che non può aver paura nelle difficoltà. Quando c'è unicamente lui, quando non è responsabile di altro che non sia la sua stessa vita, lo sminatore non ha mai paura, va avanti tranquillo, ascolta il suo respiro, tiene immagini, ricordi, odori per sè e non teme nulla. Se però ti siedi al tavolo davanti a lui, ordini una birra chiara, intercetti il suo sguardo da faina, provi a non distogliere il tuo (ma sappi che non ci riuscirai mai) e con le mani cerchi le sue dita rovinate, lui tremerà. Il castello di pietre che ha costruito vacillerà, la sua scorza di legno duro si spaccherà, parlerà ancora meno del solito e vorrà essere altrove. Perchè? Perchè sarai arrivata tu, tu con la tua voglia di pensare a domani, tu con la paura delle cose difficili e l'amore per quelle semplici, tu che ti nutri di passione e sentimento, tu che in due è giusto.
Dall'istante in cui ti siederai quelle birre cominceranno ad avere un sapore diverso, una sera saranno amare da far male, quella dopo dolci come il miele, una sera le troverai troppo fredde ed un'altra ti disseteranno. Gli sguardi continueranno ad essere tagliati con lo scalpello, ma le parole diventeranno di più, le camicie a quadri non cambieranno, ma le mani saranno più morbide. Con il tempo lo sminatore forse imparerà a temere meno la compagnia e tu scoprirai che un pomeriggio sola con te stessa non è poi così male, lui saprà che la sua birra scura è più buona accanto alla tua chiara e tu penserai che vali tanto anche in una casa vuota, su un divano comodo, con un libro in mano e un pò di musica"

E io, uno sminatore, lo conosco davvero...

venerdì 4 novembre 2011

Comunanza


Eccomi. Tornata dopo dieci giorni di Festival pieni di tutto.
Non riuscirò ad essere euforica come vorrei in questo mio racconto perchè qui fuori è l'inferno, alluvione terribile che sta facendo vittime e danni spaventosi.
Chiusa nella mia tana, avvolta nel poncho di lana, col termometro sotto all'ascella, penso alla mia bella città devastata e al dolore di chi ha perso tutto.
Nel mio cuore c'è però il calore dei ragazzi del Festival, che da tutta Italia chiedono notizie, offrono letti, aiuto e parole di conforto. Persone che quasi non conoscevo, che ho amato da subito nella loro spontaneità e nel loro essere sempre pronti a condividere progetti, idee e momenti.
Ora ci si scambiano foto, video, ricordi, si ripensa alle bevute in Bottega del Conte, alla festa del Ducale, al compleanno di Sex con tanto di super pizza a domicilio, a posti assurdi come il Nick Masaniello, ai robot che fanno sumo, alla foresta di X, alle favole dei Ranocchi e alle Isole di Fonso.
La mia città annega e gli abbracci delle altre regioni si sentono davvero, amici che su Facebook usano una foto di Genova come foto del profilo, che postano solidarietà ogni due minuti e ti fanno squillare il telefono in continuazione.
Questa è l'aria che si respira durante il Festival, una ricerca costante di contatto e amicizia, dove un gruppo di persone che arrivano da fuori città affitta una casa che chiamerà Comune per due settimane, in cui tutti entrano, mangiano, chiacchierano, cantano e dormono come se fosse casa loro, dove per entrare ti fanno un pass da morire dal ridere, dove se vuoi due coccole dalla X basta girare il campanello e dire buongiorno.
Nonostante la fatica di conciliare tutto, lavoro, casa, impegni e dottorato, lo rifarei da domattina, ricomincerei a sgolarmi per i bimbi, a mangiare un pezzo di focaccia al volo, a strappare un ora al lavoro per vedere il laboratorio di un'amica, a correre al Belleville per una cena improvvisata, a bere cocktails annacquati alla super festa del Ducale, a ripiegare esausta al Conte dispensando sorrisi a chi mi è stato vicino con dolcezza i tutti questi giorni.
Pensando al Festival e alla mia amata città in ginocchio, chiudo questo post con un pò di tristezza nel cuore.