domenica 30 dicembre 2012

You are my sunshine

Ci si alza la domenica mattina e si esce al sole.
La mia domenica è iniziata così, nei posti dell'infanzia, tra le colline che conosco, immersa nella luce, con l'emozione del primo giorno.
Camminare in silenzio, camminare parlando, camminare e basta.
Percorsi che già porto dentro, che un paio d'anni fa sono stati testimoni di momenti dolorosi e che oggi mi hanno accolta con comprensione, nel senso di capacità di capire.
Stanca dall'ultimo allenamento su un corpo per nulla pronto, ho attraversato il sentiero pensando quasi esclusivamente ai miei piedi, guardandoli posarsi sulle pietre, tra l'erba, nella terra. Poi bastava alzare gli occhi per farsi circondare dalla luce, bianchissima, che ha reso nere le sagome degli alberi (proprio come piace a me) e mi ha riempito il cuore ogni minuto.
Una schiena che conosco mi ha camminato davanti tutto il tempo, spesso in silenzio, a volte raccontando vita di montagna, a volte semplicemente fermandosi per aspettarmi. Qualche incontro nei momenti di riposo, per lo più cagnoloni pieni di voglia di giocare e tanti panorami da mozzare il fiato.
Ieri sera cinema, l'ultimo di Clint come ogni anno, niente di che secondo me, un po' di sana (e inquietante) autobiografia, una bella canzone che canto fin da quando ero piccola e che dà il titolo a questo post.
Ma, questa mattina, ciò che per me è sunshine era lì, sul mare d'argento, nel verde del muschio, all'ombra delle rocce, tra gli sterpi secchi, sul pino dritto in mezzo al sentiero, con i fiori viola della partenza, sul pile rosso che mi precedeva, nell'acqua fredda della fonte.
Non capisco mai nulla di me: le insicurezze, le paure, l'amore profondo, i ricordi, l'inadeguatezza e le speranze si fanno mille volte più potenti in questi giorni di casa, montagna e sole, ma ne vale sempre la pena.
Vale la pena di chiedersi, domandarsi, guardarsi dentro, guardarsi negli occhi, ascoltarsi, prendersi sul serio, riderci su, volersi bene e camminare.



London Bridge is falling...

Ieri era il primo giorno dell'anno per me, mi sono alzata presto perché venivano i gemelli (mamma e zio) a portarmi il comò che ho comprato all'Ikea e che io e mamma non siamo riuscite a scaricare, troppo pesante.
Il comò è blu, con tre cassetti e tre buchi dove mettere le scatole, io le ho prese da principessa http://www.ikea.com/es/es/catalog/products/90201513/, poi cercherò uno specchio, ci metterò sopra una lampada e finalmente avrò quasi finito di arredare l'Albero. La colazione al N°1 e poi via da sola, a farmi un giro nei vicoli, come se mi fossi svegliata da un coma lunghissimo e visitassi Genova per la prima volta. Sono partita dalla zona di Macelli di Soziglia, la mia preferita, sono passata davanti a Klainguti e ho sorriso con il mento affondato nella giacca. Sono uscita senza un filo di trucco, pantaloni marroni di velluto a coste, maglione grigio con la spilla-fragola, piumino e berretto, capelli sciolti. In Macelli ho guardato i negozi dell'antiquariato, in particolare quelli di gioielli d'epoca, arrivata in Piazzetta del Ferro sono risalita in Via Garibaldi, volevo vedere l'anello che mi piacerebbe regalarmi, ma il negozio era chiuso. In compenso ho trovato un matrimonio, con la sposa in corto (come penso sarei io, che vorrei, se mai dovesse succedere, farlo d'autunno con un cappottino chiaro), altissima, tutta bianca, con i capelli neri mossi e il braccio sotto quello del suo lui.
Poi, qualche passo più in là, c'era il presepe di un cantiere, immagino lo abbiano fatto gli operai, tra il cemento, gli scavi, i fanali intermittenti e le grate di protezione. A rotta di collo nei vicoli bui mi sono fermata un secondo, sorridendo, davanti a due scritte, la prima recitava London Bridge is falling...ho scoperto essere una filastrocca del 700, inglese, che fa
così:

London Bridge is falling down,
Falling down, Falling down.
London Bridge is falling down,
My fair lady.


Poi ho visto quella quassù, e l'ho fotografata: è così, mi terrorizza.
Da Piazza Banchi sono arrivata al Porto, dove c'era una coda lunghissima per entrare all'Acquario, un attimo prima di fotografare il serpente di persone in fila ho pensato che la luce fosse bellissima, ho chiuso gli occhi e ho scattato un'immagine della mia ombra.
Ho girato attorno a Palazzo S.Giorgio e ho visto le bancarelle...evviva! Dovevo comprare formaggi e salumi per il cenone di Capodanno e non mi andava di prendere roba qualunque, speravo di trovare prodotti genuini, particolari, con una storia...e così è stato.
Ho conosciuto una Signora di Cogne, con cui ho chiacchierato un po', che mi ha venduto dei formaggi e regalato un vasetto di yogurt fatto da lei. Poi, arrivata a casa, mi sono accorta che mancava un pacchetto. Ci sono rimasta male e ho cercato un modo per recuperarla...nella borsa ho trovato lo scontrino (incredibile, di una bancarella!), con un numero di cellulare. Timidamente ho telefonato dicendo: “Scusi parlo con la signora che in questo momento sta alla bancarella di Piazza S. Giorgio?” e dall'altra parte “E io con la ragazza dal berretto marrone?”. Insomma, mi aveva cercata ovunque e io, nel pomeriggio, sono andata a riprendermi il formaggio!
Il mio giro è proseguito in San Lorenzo, sono arrivata sotto casa e sono rimasta incantata davanti alle vetrine di Betty Page, sono azzurre e hanno dei vestiti stupendi. Una volta salita sull'Albero ho sistemato un ciclamino nella pentola di alluminio inutilizzabile, l'ho posato sulla finestra e mi sono occupata dell'elicriso comprato poco prima, nella speranza che resista senza molto sole e mi regali il suo meraviglioso profumo, che sa di giornogiallo e di casa.

venerdì 28 dicembre 2012

Mai dire Maya

Eccoci qua, terzo post dei calzini: è la fine dell'anno.
Sono monotona e ogni volta mi accorgo che i buoni propositi di volta in volta non cambiano quasi. Oggi però aggiungerò delle novità, anche perché le novità ci sono già in entrata.
Intanto il mondo non è finito e come recitano le spille che Wincy e la Mary hanno distribuito nel nostro/loro ultimo aperitivo di Natale: "Mai dire Maya". Poi la casa nuova e tutto quello che comporta sono un incentivo ad aggiungere una buona speranza per il 2013: IMPARARE A VOLERMI BENE. Partiamo già alti.
Ripercorrendo, come già feci l'anno scorso, i buoni propositi prefissati, ecco cosa viene fuori:
PARLARE. Nel 2011 era al primo posto (devo dire quello che penso, devo far presente i miei sentimenti se serve), nel 2012 mi sentivo migliorata, nel 2013 sono regredita. Non so se sia un brutto segno, di sicuro sento maggiormente il bisogno di ascoltare e ascoltarmi piuttosto che di dire e tirare fuori cose.
GUIDARE. Ormai, per decenza, lo tolgo persino dai prossimi buoni propositi.
CONTINUARE A FARE ATTIVITA' FISICA. Ecco, vista la pessima partenza del 2012, con il collo bloccato e il corpo fermo di conseguenza, l'estate è stata ottima tra corse e nuotate e in questo momento scrivo a letto dopo un'ora di pilates tanto massacrante che fatico persino a lavare i piatti.
LEGGERE. Non mi pare di aver letto molto, non più del solito, quindi spero di riuscire a recuperare nell'anno che verrà.
LAVORARE. Qui il tasto si fa dolente, tra un lavoro in uscita su cui ancora non riesco e non voglio scrivere (chissà se mai lo farò), c'è una grossa possibilità in entrata, che potrebbe significare tranquillità economica per un paio d'anni, possibilità di dedicare agli altri piccoli impieghi il tempo che resta ma senza affanno, Vacanze (con la V maiuscola, anche di un paio di giorni, ma via da qui verso posti che non ho mai visto), cibo buono senza fare i salti mortali per comprarlo, giri da Feltrinelli con qualche scrupolo in meno se un libro mi rimane irrimediabilmente incollato alle mani.
STUDIARE. Se il lavoro sicuro di cui sopra dovesse effettivamente cominciare, studiare sarà indispensabile per svolgerlo al meglio, rispettando scadenze e consegne, portando avanti l'impegno del dottorato e sentendomi a posto dinanzi alle difficoltà inevitabili che ogni nuova esperienza porta con sè.
AMARE. Qui ho dato il meglio di me, amando all'improvviso gli occhi di una vita e dicendolo pure, dopo un sacco di tempo. Ho amato anche me stessa, concedendomi di guardarmi dentro e ascoltarmi in silenzio e solitudine, ho amato gli amici osservando da lontano gli affetti storici come la Ale e Fra e avvicinandomi un poco ai nuovi arrivi come Edu e ai ragazzi che adesso mi vivono attorno, in questa cornice cittadina. Ho amato i gesti di chi mi vuole bene e lo dimostra sempre, ho amato i luoghi dello Sminatore e quelli della mia infanzia, ho amato musiche, libri e film, ho amato profumi, gusti e momenti. Ho amato fare l'amore più di sempre, cucinare e prendermi cura di me. Insomma, ho amato tanto e mi è piaciuto.
I desideri per il 2013 sono simili a quelli passati, per forza di cose non posso non sperare nella serenità di mia mamma, degli amici più cari, delle mie persone.
Mi auguro di non rimanere delusa dalla gente come nel 2012, anno in cui ahimé è capitato più spesso di quanto potessi immaginare. Vorrei sentirmi meno frustrata nel lavoro, acquistare dignità in questo campo in cui così spesso mi lascio sopraffare senza motivo, trarre soddisfazione nell'imparare e nel mettermi alla prova.
Scrivo tutte queste cose consapevole di avere già molto: sono piena di sentimenti, vivo nel posto che ho costruito prima con il pensiero e poi nella realtà in un anno esatto, sono ancora capace di sorprendermi per le cose, anche piccole, che vedo ogni giorno, posso godere di buona compagnia ogni volta che lo desidero e ho una gattina meravigliosa...ma sperare in un anno buono è un diritto di tutti, anche mio!
Staremo a vedere...

sabato 22 dicembre 2012

Fronte

Io ho la fronte alta e non mi piace.
Ho sempre cercato, da quando ho lasciato crescere i capelli, di nasconderla con un po' di ciuffo, per un certo periodo ho anche portato la frangetta, ma non c'è verso, esce sempre allo scoperto, prepotente.
La mia fronte è piena di rughe, linee lunghe, profonde e fitte che la attraversano in orizzontale, soprattutto se mi stupisco e inarco le sopracciglia più del solito.
Io non le sopporto, in particolare ora che stanno spuntando i primi (tanti!) capelli bianchi, mi sembra una congiura per ricordarmi che ho superato i trenta e che il tempo scorre più velocemente di quanto sembri.
In realtà, di solito, le altre persone non mi guardano la fronte come se fosse brutta quanto pare a me, al limite mi chiedono informazioni sul neo tondo che sta sulla destra, mi domandano da quanto lo abbia, il perché non lo tolga, se per caso sia il pulsante dell'autodistruzione (ah ah), eccetera eccetera.
Le prime coccole della mamma che io ricordi erano proprio lì, leggeri passaggi del suo indice dal centro della fronte alla punta del naso. Anche più tardi, i gesti di maggiore tenerezza che ho ricevuto riguardavano sempre questa parte del corpo, una carezza, un bacio, un tocco del dito dove inizia il naso.
In particolare, anni fa, ricordo i numerosi tentativi per cercare di spianare il mio proverbiale "corrucciamento", che non so se sia mai sparito o diminuito, ma che sicuramente mi contraddistingue da quando sono piccola.
Serate di chiacchiere e di punta delle dita che indugiavano proprio lì, tra gli occhi, dove concentravo inesorabilmente i miei cattivi pensieri.
Ultimamente mi è di nuovo capitato di pensare alla mia fronte e, questa volta, mi sono concentrata sulla parola e sul suo significato. Fronte come parte del corpo e come fronte di guerra. La finestra di fronte, frontale, frontiera, fronte/retro, frontespizio, fronteggiare, a fronte, al fronte...ma la mia preferita è affrontare.
Forse che le rughe che passano sotto il mio ciuffo non siano altro che percorsi? Passaggi affrontati? Problemi, dolori, difficoltà, fronti di guerra? Ma anche espressioni buffe ripetute tante volte per fare ridere le mie persone, per giocare con i bambini, per guardare storto la gatta che mi morde il gomito mentre scrivo, per ridere di gusto con gli amici, stupirmi delle cose della vita, mettermi il mascara, provare piacere.
Sulla fronte calco i cappelli che in inverno non tolgo mai, espongo questa parte al sole d'estate ed è la prima a diventare rossa, la metto in mostra con la coda alta mentre corro, faccio pilates e altre cose che non si scrivono qui, spunta fuori inevitabilmente se mi vesto elegante e raccolgo i capelli in un muccio, si lascia massaggiare dalle mie dita quando ho male alla testa, si appoggia alle braccia conserte sul tavolo nelle pause di lavoro.
Una personale linea di battaglia, un cortile assolato in cui far correre le emozioni, uno spazio ampio, anche troppo, dove liberare e liberarmi dai pensieri.





mercoledì 19 dicembre 2012

Snowglobe e febbre

Quarto giorno di febbre, divano e mal di testa.
Oggi forse va leggermente meglio, ma guarire è un'altra cosa.
Questa mattina impegni di forza maggiore mi hanno tirata giù dal letto: un pezzo di vita da chiudere, non si può dire senza rimpianti, di sicuro senza rimorsi.
Poi di corsa al supermercato a comprare tutto l'occorrente per preparare le mie celebri Bombe di Natale (di cui ho già scritto pure qui, troverete il post sotto le Feste di due anni fa, direi) e avere così il pomeriggio pieno.
Negli ultimi giorni di isolamento forzato mi sono messa a costruire regali di Natale home made, con oggetti che trovavo in casa e che potevo comprare a prezzi ultra modici.
L'idea di quest'anno (l'anno scorso, se non sbaglio, erano gli alberelli in feltro e due anni fa i segnaposto personalizzati) ha previsto la realizzazione, in serie, di una decina di palle di vetro natalizie, di quelle con la neve dentro che usavano tanto quando ero piccola.
La spinta me l'hanno data diversi fattori: il racconto di un amico che aveva incontrato un oggetto simile sulla sua via qualche anno fa, la mancanza completa di soldi per comprare i regali, la voglia che si rinnova ogni anno di usare le mani e costruire qualcosa di personale, la semplicità con cui in rete ho trovato informazioni utili per reperire il materiale e realizzare la pallina, la necessità di stare chiusa in casa al caldo.

Ecco cosa occorre per una pallina:
- 1 barattolo di vetro con chiusura ermetica (qui a Genova si chiamano arbanelle)
- acqua distillata
- glicerina (si trova in farmacia)
- glitter o neve finta (io ho faticato a trovarla, ormai è quasi tutta spray)
- pupazzetti, possibilmente in plastica e di piccole dimensioni
- colla idrofuga
- feltro

Procedimento:
La parte più difficile in assoluto per me è stata...la rimozione delle etichette dai barattoli! Ormai il bisogno di "brandizzare" tutto porta ad usare colle super resistenti in ogni occasione, affinché la marca, il simbolo, insommma la pubblicità, siano pressoché eternamente appiccicate dove devono stare. Quindi, con l'aiuto di un toglicolla chimico che ha reso il mio bagno una camera a gas in 30 secondi, acqua calda, sapone per i piatti, sapone per le mani e spazzole varie ed eventuali, ho tolto le etichette e reso così neutro il mio barattolo.
La prima fase si svolge sul coperchio: occorre infatti coprire la base esterna con uno strato di feltro, cosìcché la palla appoggi sulla stoffa e non scivoli. Poi si scelgono i personaggi da attaccare all'interno del coperchio e che finiranno quindi immersi nell'acqua. Qui ci si può sbizzarrire con omini dei presepi (la mia condizione di atea mi ha fatto ripiegare per un'altra scelta ma l'idea comunque non é male), pupazzetti dei cartoni animati (decisamente più costosi), oggetti acquistabili presso i negozi di hobbistica (tipo miniature o simili) oppure, come ho fatto io, piccoli addobbi da appendere all'albero di Natale. Io ho trovato e preso al volo un'offerta di un grande magazzino, che vendeva a metà prezzo una scatola di Babbi Natale, pupazzi di neve, angioletti, abeti, campanelle e compagnia bella, pieni di colori e atmosfera festante. Unico difetto: sono di legno. Visto che l'acqua lavorerà sul suo contenuto temo che i pupazzi inseriti quest'anno non dureranno fino a Natale 2013, però chi può dirlo, ci si prova.
Quindi, una volta scelti i protagonisti occorre attaccarli, con una colla che non tema l'umido, alla base interna del tappo. Intanto che la colla asciuga bisogna riempire il barattolo d'acqua distillata, aggiungere un goccio di glicerina (poca!) e i glitter, io li ho scelti semplici color argento, ma si può optare per altri colori e forme.
Una volta che i pupazzi sono ben saldi e la colla è asciugata basta chiudere il barattolo...e scuotere!
L'effetto è antico, come l'idea che ho io della sfera di neve e di molte altre cose. Per coprire bene il tappo magari si può usare una striscia di feltro da chiudere attorno al barattolo con un fiocco, ma queste sono tutte idee che vengono in corso d'opera.
Il bello di questo regalo è la magia, il cosiddetto "effetto wow", ma anche la possibilità di personalizzarlo al massimo, sia sui propri gusti sia su quelli del destinatario. A partire dalla scelta del barattolo, forma e dimensioni sono variabilissimi (nella foto, a sinistra, la bottiglia di succo alla pera fatto in casa che ho restituito a Sturm), per arrivare ai personaggi inseriti all'interno e al colore della stoffa. L'unica miglioria per l'anno prossimo sarà costruire una base, non so ancora con che materiale di recupero, pensavo al "culetto" dei vasetti di yogurt che intanto io consumo in grandi quantità, per rialzare un po' i pupazzetti e renderli più visibili.
Tutto qui e Buon Natale, vado a farcire i datteri.




domenica 16 dicembre 2012

I still have me

Ho ripescato la foto in un album scattato anni fa, al MART di Rovereto.
Perché? Non lo so, perché mi piace la frase, perché fa freddo come nel profondo nord, perché sì.
Prima neve sull'Albero della Coccagna e prima febbre. Sono a letto che scrivo, sotto al piumone, caloriferi accesi e mille maglie una sopra all'altra. Mi pareva di essermi coperta a sufficienza in questi giorni, anche sotto la bufera, anche dopo la palestra, anche solo per uscire a comprare le arance. Evidentemente non è bastato.
Ho trascorso una settimana pesante, piena di scadenze, tra cui l'ultimo grosso esame del 2012. Un argomento completamente oscuro per me, un professore che dicevano essere severo e pignolo, poco tempo per preparare la presentazione e per imparare un minimo di teoria in più, giusto per non fare scena muta davanti alle domande.
L'esame è andato bene, benissimo. I mille passaggi burocratici per mettere un punto alle questioni lavorative si superano pian piano e altrettanto lentamente ci si avvicina ad avere le grandi risposte per il mio futuro economico, qualsiasi esse siano.
La febbre, portata dal freddo, potrebbe anche avere una componente di stanchezza cosmica accumulata, conoscendomi, ma basta non farsi domande e ascoltare i consigili di chi mi conosce e ha visto cosa è in grado di inventarsi il mio corpo quando è eccessivamente sotto pressione.
In questi giorni appena trascorsi ci sono state tante chiacchiere, parole spese a pranzo con gli amici, camminando nella neve, silenzi pieni di cose, fiumi di spiegazioni, racconti dolorosi e vicinanze che terminano con dolcezza e affetto infinito. Qualcuno di davvero importante mi ha ricordato la fortuna che ho, a poter godere dell'indipendenza senza essere sola, grazie, è proprio così. So di non essere sola, so che in qualche modo le cose che ancora non vanno si aggiusteranno, so che anche la febbre di oggi passerà senza gli strascichi dell'ultima. Nel frattempo le piante del bagno sono fiorite, i bulbi nella piccola serra fanno capolino anche se pallidi per la poca luce che entra in casa, l'alberino si illumina sul panchetto giallo e le idee home made per il Natale prendono piede nella mia testa.
Spero di riuscire, già questa sera, a inventarmi qualcosa per i regali, da preparare con calma ascoltando la musica e bevendo una tisana calda. Per adesso, non se ne parla, meglio il piumone...


venerdì 7 dicembre 2012

Fake and Pie

Primo post scritto sull'Albero della Coccagna.
Prima torta di mele preparata nel forno.
Chissà come sarà...il profumo sembra buono e vederla lì, fumante sul tagliere, è comunque una piccola soddisfazione. MI sono persino comprata il gelato alla crema da mettere accanto, con una spolverata di cannella sopra.
Seduta qui sul divano, finalmente, mi riposo un po'. Giornata, ennesima giornata, di adempimenti burocratici e studio di argomenti incomprensibili: frustrazione diffusa e faticosa. Poi però sono uscita dall'ufficio che si gelava e come al solito il freddo freddissimo mi avvicina a chi ama questo clima per me così difficile. Sentire mani, naso e orecchie intirizziti mi fa pensare allo Sminatore immerso nella neve, felice, con gli occhi pieni di montagna.
Arrivata a casa mi sono infilata una felpa e un paio di leggings al volo per provare una lezione di pilates nella palestra dove vorrei iscrivermi, l'impressione è stata ottima e mi è parso di entrare in contatto con me stessa dopo tanto tempo. Se non riesco a parlare con il mio cervello almeno provo a farlo con il mio corpo.
Poi la spesa e via in cucina: cous cous e torta di mele.
Con quelle grandi mele rosse che fanno tanto inverno, comprate e messe nella ciotola di legno vicino a un melograno, troppo bello per lasciarlo nella cesta del supermercato.

Ecco gli ingredienti:
- 700 gr di mele
- 200 gr di zucchero
- 200 gr di farina
- 100 gr di burro
- 200 ml di latte
- 2 uova
- 1 bustina di lievito
- zucchero a velo
- cannella
- sale
- limone

Procedimento:
Tagliare a fette le mele, lasciandole in una terrina piena di succo di limone, per evitare che si anneriscano. Grattugiare la scorza del limone e aggiungerla allo zucchero, alle uova, al latte, al burro sciolto a bagnomaria e alla farina (che setacciata è meglio). Mescolare tutto con una frusta, io ho usato un cucchiaio di legno con il buco e mi pareva andasse bene lo stesso. Una bustina di lievito (la ricetta parlava anche di vanillina, io ho preso direttamente il lievito vanigliato e buonanotte), un pizzico di sale e un poco di cannella. Una volta immerse le mele in questa crema si cosparge di zucchero a velo e cannella e si inforna tutto a 180° per 50 o 60 minuti. Se poi il timer è buffo come la mia gallina accovacciata...tanto meglio.
Qui è sorto per me l'unico problema: dopo 40 minuti l'ho tolta perché mi pareva si bruciasse, magari ora scoprirò che è cruda, pazienza, devo prendere confidenza con il nuovo forno!

Difficoltà: media
Cottura: chilosà
Costo degli ingredienti: medio-basso (sono tanti, quindi alla fine un pochino si spende, soprattutto se si intende aggiungere il gelato)

La mia serata in cucina è stata accompagnata dai The National, che in verità sono con me da questa mattina. In particolare Fake Empire...

Stay out super late tonight picking apples, making pies
Put a little something in our lemonade and take it with us
We're half awake in a fake empire
We're half awake in a fake empire

Tiptoe through our shiny city with our diamond slippers on
Do our gay ballet on ice, bluebirds on our shoulders
We're half awake in a fake empire
We're half awake in a fake empire

Turn the light out say goodnight, no thinking for a little while
Let's not try to figure out everything at once
It's hard to keep track of you falling through the sky
We're half awake in a fake empire

We're half awake in a fake empire


e direi che non mi sarà difficile imparare a memoria l'ultima strofa...


lunedì 3 dicembre 2012

Everybody's gotta learn sometime

Passa il tempo.
L'orologio giallo appeso in cucina me lo ricorda prepotente ogni giorno. Fa rumore, soprattutto dopo il quarto, poi diventa inspiegabilmente più leggero.
Forse sa che la notte io faccio fatica e quindi quando supera la mezza e si avvicina alle ore più tarde rende soffici i secondi.
Tra meno di un'ora presentazione per il secondo anno di dottorato, sono agitata.
Tra poco più di dieci giorni esame di chimica bioorganica, non ho idea di come e cosa studierò.
Tra un mese e due giorni compirò 31 anni, se possibile peggio dei 30. Dopotutto un'età bella, se mi volto indietro e guardo i 21 mi viene voglia di accendere un petardo e brindare alla vita.
Poco dopo il mio compleanno saprò se per due anni la mia situazione economica cambierà e io potrò respirare e comprare, se vorrò, un matita per gli occhi o un biglietto per il cinema senza contare i soldi nel porta monete.
Passa il tempo e penso a chi arriva e a chi va via, a chi ha lasciato un segno e a chi ha tracciato una ferita, a chi mi ha dato amore e a chi mi ha fatto male, a chi vanno i miei pensieri di ogni giorno e a chi sembra non esserci mai stato.
Per anni ho giustificato, mi sono arrabbiata in silenzio, ho patologicamente rifiutato contatti e ancor più morbosamente cercato vicinanze.
Ora basta, passa il tempo e io non calcolo più.
Inutile cercare spiegazioni, molto meglio guardarsi negli occhi e parlare, mettere nero su bianco paure e difficoltà, dirsi dove stanno gli ostacoli e tendersi la mano per superarli, magari anche per dividersi subito dopo.
In uno dei libri che amo di più, di cui ho già scritto anche qui, c'è una frase importante: "Non era il mondo la grande menzogna salutare: lo era la sua volontà di renderlo bello e giusto". E' così, non ci sono cose che non vanno, persone inappropriate, comportamenti errati. Ci sono cose e ci sono persone.
Che se non portano positività nella nostra vita vanno evitate e basta, perché niente servirà a renderle belle e giuste.
Da piccola la mia innocenza è stata disfatta da persone così, in maniera irrecuperabile. Crescendo ho permesso io che mi si giudicasse, mi si calpestasse, mi si usasse perché in quel momento era comodo, mi si tentasse di cambiare, mi si aggredisse, mi si umiliasse, mi si trattasse come se il mio essere forte fosse sinonimo di invulnerabile, mi si lasciasse sola, mi si insultasse, mi si colpisse in faccia con le parole.
La chiave di tutto è in quel "ho permesso", perché non ci sono colpe, ma solo responsabilità. Innanzi tutto la mia che mi sono lasciata giudicare, spesso essendo più severa di chi aveva iniziato. La mia che mi sono sdraiata a terra come uno zerbino, che ho smussato e tagliato pezzi di me, che sono arrossita e ho ingoiato il magone davanti alle umiliazioni, che ho sorriso e mi sono fatta coraggio davanti alla vagonata di disgrazie in cui sono stata coinvolta, che sono tornata come uno stupido cane da chi mi aveva abbandonata tante volte, che ho risposto agli insulti cercando di capirli e che ho offerto l'altra guancia agli schiaffi di parole.
Non sono arrabbiata con nessuno, adesso. Ho solo compreso dov'è il mio posto, cosa desidero e cosa merito. Ho visto cosa mi piace fare, chi voglio frequentare, dove sono le mie persone e perché sono ogni istante nei miei pensieri.
Passa il tempo e non è cambiato nulla, solo ci vedo meglio.