sabato 25 settembre 2021

Oggi è stata proprio una bella giornata




Ci sono cose che non sono capace di raccontare pubblicamente.

Il mio passato, per esempio.
Il rapporto con il mio corpo.
Le difficoltà quotidiane, piccole, piccolissime, che per me, spesso, diventano le più grandi.

Ciò che però faccio più fatica a raccontare, in assoluto, anche nelle decine di quaderni che da sempre riempio di parole, è la felicità.
In particolare, la felicità dell’amore.

Ecco che, dopo mesi di assenza su questi vecchi e stanchi schermi, dopo incipit scritti e dimenticati in un cassetto, dopo dubbi e ripensamenti, consigli e domande, dopo convinzioni non troppo convinte e, persino, dopo richieste esplicite, sono tornata con un post.
Ma, vi dirò di più, sono tornata con un post felice che parla di felicità e che, lo si capisce già dalla lunga premessa, non so nemmeno da che parte iniziare a scrivere.

Forse, come per ogni storia che si rispetti, è meglio cominciare dal principio.

Ci siamo conosciuti più di dieci anni fa, quando, entrambi, siamo saliti su un’auto (era forse una Panda bordeaux?) diretta a Montaretto.

-        -  Piacere, Elena

-       -  Piacere, Andrea

“Sì, ma tutti lo chiamano Sex”

-        - In realtà, mi chiamano così perché di cognome faccio Sessarego

-        - Scusa, ma abiti per caso in zona Sarzano e fai foto ai tramonti sul porto?

-        - Sì, perché? Mi sono trasferito lì da poco

-       -  Perché Facebook, da settimane, mi consiglia il tuo profilo come potenziale amicizia.  Tra l’altro, che buffo, appena torno dal Critical Wine mi trasferisco anche io in quel quartiere

Sono seguiti temporali inarrestabili, litri di vino da servire (e da bere), pile di piatti da lavare, risate, giacche rosse e prati verdi.
E questa è la prima foto che mi abbia mai scattato:



Da quei tre giorni sulle colline di Liguria sono trascorsi anni. Anni di amicizia vicina, vera, profonda, sicura.
Che rispetta i reciproci amori, che condivide le serate con gli altri amici, i turni al circolo, i concerti, i film al cinema o sul divano, i compleanni, i corsi di fotografia, le mostre da disallestire e da visitare, le feste al paesello, i pomodori piantati sul terrazzo, le partite alla wii e gli aperitivi in piazza.
Che prepara la carbonare per le cene più dure di tutte, che si preoccupa nelle giornate lontane, che abbraccia quando la distanza rischia di diventare troppa e che fugge quando la vicinanza comincia a spaventare.

Sono trascorsi anni, eppure, quell’amicizia, è la cosa più grande che ci siamo regalati, è il carburante con cui alimentiamo le nostre risate e l’organizzatrice dei nostri viaggi. È ciò su cui è nato e cresciuto l’amore, è lo scudo che ha protetto quell’amore indifeso dai colpi ciechi e improvvisi della morte.

Fino ad arrivare lì, alla mattina d’inverno in cui, seduti in cucina, abbiamo deciso di smettere di proteggerlo, l’amore, e di organizzargli, invece, una grande festa.

Ci siamo preparati per bene, ci siamo comprati il vestito buono, abbiamo cucito, dipinto, scritto e telefonato, abbiamo invitato gli amici più cari e ci siamo dispiaciuti per quelli che quest’anno assurdo ci ha impedito di avere con noi, abbiamo inciso gli anelli, scelto i fiori più bizzarri e la musica più giusta.
Abbiamo trovato, all’improvviso, il posto perfetto, abbiamo dedicato il giusto tempo ai dettagli e ridimensionato l’importanza di tutte le incognite che ci si sono, inesorabilmente, parate davanti.

Ci siamo lasciati coccolare dalle premure della nostra grande famiglia come mai prima d’ora, permettendo ai ricordi e alla malinconia delle assenze di accompagnarci, ma restando sempre un passo indietro.
Abbiamo abbracciato le nostre radici o ce le siamo cucite addosso, abbiamo ascoltato i discorsi commossi degli amici commuovendoci anche noi, ci siamo fatti fotografare da tutti, pure da una macchina d'altri t'empi, abbiamo alzato i calici, abbiamo guardato tre asini negli occhi e ci siamo guardati nei nostri, ci siamo cambiati i vestiti dietro la portiera aperta dell’auto e fatti un selfie sdraiati sull’erba.

Abbiamo custodito segreti, bevuto il mojito perfetto e mangiato la torta più buona di sempre, in un posto bellissimo, ballato come vent’anni fa con le stesse persone di vent’anni fa, durante una serata fresca, di un giorno d’estate e pieno di Sole. Cuore. Amore (in qualche modo, dai, dovevo pur alleggerirlo questo post, il più sdolcinato, ottimista e felice della storia del blog!).

E ora, signore e signori, che entrino in scena le foto 😊


"Ci siamo preparati per bene..."


"abbiamo cucito, dipinto..."



"abbiamo inciso gli anelli..."


"scelto i fiori più bizzarri..."


"e la musica più giusta..."


e per l'uscita


"abbiamo dedicato il giusto tempo ai dettagli..."


"ci siamo lasciati coccolare dalle premure della nostra grande famiglia..."
(Agata compresa!)


"Abbiamo abbracciato le nostre radici o ce le siamo cucite addosso..."


"ci siamo fatti fotografare da tutti..."



"pure da una macchina d'altri tempi..."



"abbiamo ascoltato i discorsi commossi degli amici..."



"abbiamo alzato i calici..."



"e ci siamo guardati..."



"mangiato la torta più buona di sempre..."




"ballato come vent’anni fa..."



Bonus Sole Cuore Amore:

P.S. Per il titolo si ringrazia la mia testimone, che sotto l’ombrellone, in una calda giornata di metà agosto, mi ha suggerito la frase più semplice e giusta che ci fosse.


Foto: Pierluigi Gori feat Branco Ottico
Fedi: My Golden Age Lab modello Juliet
Grafiche: Spazio 111
Bomboniere: le abbiamo fatte noi, con l'aiuto indispensabile degli amici, per poter sostenere l'associazione SeedScience
Festa: Agriturismo VerdeGioia
Musica: Marta Naive Uke

Sposa:
Abito Caterinette Abiti fatti a mano
Coroncina Les Couronnes de Victoire modello Jeanne
Scarpe Anniel modello Gladiator
Bouquet Lego botanical
Trucco Esteticamente Arenzano
Sposo:
Le cose dello sposo, diciamolo, non interessano a nessuno. Però il gilet arriva da Goteborg e quando lo comprammo, tre anni fa, decidemmo che, se mai ci fossimo sposati...



lunedì 22 marzo 2021

Ciao Maria, io esco



Mio padre assomigliava a Gino Strada. Lo diciamo sempre, io e la zia, che quando ci capita di vederlo in tv pensiamo a papà. È principalmente una questione di sguardo: grandi occhi circondati da pesanti borse e cipiglio sempre un po' arrabbiato. Ma anche sorriso raro, un po' sornione, spesso nascosto da baffi e barba incolta.

Mia madre, invece, assomigliava a tutte. Ogni donna intorno alla settantina, piccola di statura, magra, con i capelli brizzolati e l'andatura a metà tra il fiero e l'incerto è mia madre, nonostante la sua personalità fosse particolare e inconfondibile. Genova, si sa, è una città vecchia e, almeno nel centro storico dove vivo, lavoro e mi sposto quotidianamente, la maggior parte delle "signore anziane" che incontro non porta i tacchi alti, nè la pelliccia, nè i capelli lunghi e tinti. Tra le persone in cui mi imbatto spesso, di media tre o quattro volte al giorno, ci sono donnine basse, con i capelli corti e bianchi, il piumino, la borsa a tracolla e le scarpe da trekking.
In pratica, c'è mia madre.

All'inizio mi andava il cuore in gola, adesso ci ho fatto l'abitudine e, anzi, se sono particolarmente malinconica, quando ne vedo una all'orizzonte, socchiudo gli occhi per scorgerne solo i tratti sommari e fingere che sia lei. A volte devo trattenermi dall'avvicinarmi, dal chiedere di scambiare due parole, dall'abbracciare. Proprio io, che gli abbracci li odio (e se c'era una persona che li odiava più di me, forse, era mia madre).

Domani sono due anni che è morta la Maria. Come ho già scritto in passato, pochi giorni prima di ricevere la diagnosi ascoltava spesso e condivise addirittura sul suo profilo facebook questa canzone, in particolare queste parole: 

Al tramonto, di tutto, potremo capire
Sopravvivere dentro ad un tratto di colore
Nei suoni più caldi scomparirà il dolore
Poi forse un giorno ci rincontreremo

Inutile che scriva quanto per me sia ancora difficile sentire il pezzo di Cosmo, nonostante, in qualche modo, mettermi le cuffie e farlo partire significhi anche riavvicinarmi a lei e accorgermi che, per un momento, "nei suoni più caldi scomparirà il dolore".

Il mio passaggio preferito, però, è quello che arriva un attimo prima:
Saremo orizzonti e ci potremo ammirare
Ci nasconderemo nel profumo del mare
Ci ritroveremo nei dettagli più belli
Ci riscopriremo nelle cose più rare
E sarà superfluo non saperlo spiegare

perché è esattamente così che succede, da ventiquattro mesi esatti.
Un anno trascorso dall'ultimo post di anniversario, un anno in cui non è cambiato nulla. Per tutti, mica solo per me. La pandemia ci costringe tra casa e lavoro, limita gli spostamenti fisici ma, al contrario, alimenta quelli mentali. Quanti film mi sono fatta in questi mesi! Quante volte ho incontrato il passato nella quotidianità, senza riuscire non dico a scalzarlo, ma almeno a contenerlo con immagini del futuro.

E dire che di progetti in cantiere, anche piuttosto grandini, ne ho eccome. Ma a costo di sembrare retorica, pesante e scontata, senza poterli raccontare a lei, a loro, diventano automaticamente più piccoli. 
E quindi, in questi giorni tutti uguali, alcuni più uguali degli altri, cerco di riprendere il controllo che ho perso due anni fa e che, volutamente, ho fuggito per tutto questo tempo. In un periodo in cui possiamo controllare poco mi sono data il permesso di non controllare niente. Però mi sono persa, e tanto. Non ho ricominciato, non ho proiettato, sono stata nel passato e, quando è andata bene, sono sopravvissuta nel presente. Che lo so, l'importante è il qui e ora, ma a volte mi piacerebbe sentire i quasi quarant'anni che ho e cominciare a riflettere su quello che vorrei e che, vita di mxxxa permettendo, potrei provare ad avere. Magari ce l'ho già e non lo so, magari invece no.

Detto questo, la Maria, la cerco (e la trovo) ovunque.
Nei garofani lilla che mi ha regalato qualche giorno fa una sua amica, nei fiori raccolti a Vesima appena la Primavera ha iniziato a farsi spazio, nelle riunioni di condominio e di comitato in cui faccio malamente le sue veci, nella mia voce, nella stoffa rosa cipria, nella creta a cui do forma, nella strada che percorro al mattino, nello yoga che pratico la sera, nelle verdure di Maurone, nei dopo cena al telefono con gli zii, nei caffé con i vicini di sopra, nei vecchi scatti che conservo nel telefono, nella pervinca infilata nel vasetto al cimitero che chissà chi le ha portato, nei tramonti visti per sbaglio, nei libri che leggo, nei ricordi puntuali del mio ex professore di filosofia, nei vestiti che indosso, nei miei capelli bianchi, nell'albero fiorito della foto quassù, nelle quotidiane discussioni del forum, in questo post scritto nei giorni sospesi della diagnosi (e io, che non credo a nulla, non sono riuscita a non notare, in una notte insonne, il numero 23 degli euro spesi per comprare gli animali: lo stesso numero del giorno in cui è andata via, sei mesi dopo).

E niente, ho finito, con un dito mignolo bruciato dal forno, pubblico a distanza di tre mesi dall'ultima volta, con tanta e contemporaneamente poca voglia di dire, di scrivere, di aprirmi. Ma come mi ha consigliato oggi quel sant'uomo che vive con me, il titolo giusto è "Ciao Maria, io esco", per ritrovarti e, soprattutto, ritrovarmi.