martedì 26 febbraio 2013

Il mio lato sinistro

"Alle 15.30 arriva la luce sull'albero, la puntura sta facendo effetto, riesco a stare abbastanza sveglia da poter leggere e lavorare, ho la lana per lo yarn bombing proprio accanto a me, la carta per fasciare dei regali, i canestrelli di Sambuco e, se mi impegno fortissimo, forse posso anche non pensare continuamente a questo paese così spaventoso..."
Il mio ultimo status su facebook recita così.
Nel frattempo è passata qualche ora, ho mangiato i canestrelli, incartato i regali e la puntura mi dà un po' di tranquillità.
Che succede?
Niente, mal di schiena/gamba, una specie di sciatica, non lo so precisamente perché nessun medico mi ha visitata, solo prescrizioni telefoniche. Voltaren e muscoril, solita combo mortale per lo stomaco ma efficace per le infiammazioni (quasi sempre): dopo due iniezioni posso cenare in cucina, andare al bagno da sola e aprire la porta.
Non credo sia nulla di grave, probabilmente una brutta postura reiterata per anni, mista a stress, freddo e similari...spero che si risolva presto senza troppi strascichi, in particolare spero che non mi faccia rallentare al lavoro.
Ci sarebbe da chiedersi perché io sia di nuovo bloccata, una volta l'anno la mia spina dorsale mi inchioda, ma un post sul "dove non voglio andare" l'ho già scritto e quindi non è cosa. Di sicuro il fatto che il lato sia il sinistro, quello irrazionale, quello della trombosi, della slogatura, dell'occhio pigro, del calcolo renale e del collo stecchito, non penso sia solo una coincidenza: deve esserci una ragione che mi aggredisce sempre lì. Una ragione...o La Ragione?
Non credo granché nella metamedicina, o meglio la seguo ma non la prendo mai per oro colato; alla fine, però, nemmeno la medicina tradizionale mi chiarisce completamente le idee e il fatto che tutti, medici, psicoterapeuti, amici, parenti, insegnanti di yoga, mi dicano che la mia testa sempre in affanno e i miei pensieri voraci sono la (con)causa di tutti i miei mali, mi preoccupa non poco.
Mi basta una mail di lavoro dai toni un po' più seri per risvegliare il mal di stomaco, una serata di domande sul futuro mi intorpidisce il collo, un momento di agitazione più lungo del previsto mi condanna al mal di pancia.
Per fortuna che, da quando abito qui da sola, mi permetto meno di terrorizzarmi, mamma viene a trovarmi e mi aiuta nelle cose che non riesco a fare ma poi torna a casa sua e io, se non altro per istinto di sopravvivenza, cerco di darmi tregua. Ieri ci sono state le elezioni, qui non parlo di religione, politica e sessualità (anche se poi, nella vita di tutti e quindi anche nella mia, nelle piccole azioni quotidiane, ogni gesto è religione, politica e sessualità), ma di sicuro, in un momento in cui il dolore mi lega al letto e in cui internet e le notizie sono disponibili in un minuto, la paura per il futuro mio e del mio paese non può che peggiorare le cose.
Ora che sono quasi le dieci, che domani forse provo a trascinarmi al museo per fare le analisi concordate, che c'è un compleanno da festeggiare come sempre da 4 anni a questa parte, che il lettone alla fine non mi stanca mai e Murakami men che meno, mi metterò a leggere e cercherò di rilassarmi.
Buonanotte.

P.S. Nella foto un grosso Ginkgo Biloba, sogno di tatuarmi una sua foglia da tempo. E' un albero particolare, un fossile vivente, le sue foglie a ventaglio in autunno diventano d'oro e sono bellissime. Non appartiene né alle latifoglie né alle conifere, ha venature parallele uniche e proprietà importanti, tra cui stabilizzare la circolazione sanguigna.

domenica 24 febbraio 2013

L'autostima, questa sconosciuta.

Dire quello che penso.
Fare quello che voglio.
Insistere quando sono in difficoltà.
Non vergognarmi di rinunciare.
Sapere che posso sopravvivere ai miei fallimenti.
Osare dire "no" o "basta".
Concedermi il diritto di essere felice.
Andare per la mia strada, anche se sono solo(a).
Sentirmi degno(a) di essere amato.
Sentirmi in pace con me stesso(a).
Fare del mio meglio per riuscire in quello che voglio realizzare, ma senza mettermi sotto pressione.
Concedermi il diritto di deludere o di fallire.
Non sminuirmi nè farmi male quando non sono contento(a)di me.
Sapere che posso sopravvivere ai miei guai.
Concedermi il diritto di cambiare idea dopo aver riflettuto.
Dire quello che ho da dire anche se ho paura.
Sentirmi in pace con le ferite del mio passato.
Non avere paura del futuro.
Sentire che progredisco e che traggo insegnamenti dalla vita.
Accettarmi così come sono oggi senza per questo rinunciare a cambiare domani.


Mi è stato regalato un libro anni fa, da una persona che mi vuole bene e che in qualche modo ha intrapreso un percorso comune al mio. Il libro si intitola Imperfetti e felici, di Christophe André e parla di autostima.
Va letto, come mi ricorda la dedica all'inizio, con la matita in mano (e il temperino nelle vicinanze).
Avrei voluto riportare in un post tutte le frasi che mi colpivano, che mi facevano riflettere, che mi rispecchiavano, mi addoloravano, mi aprivano gli occhi...ma avrei riscritto tutto il volume.
Allora mi sono limitata a riprendere l'incipit, ovvero un elenco (evviva!) di cose che, chi come me scarseggia (eufemismo) in autostima, dovrebbe imparare a fare per sentirsi meglio, per riconoscersi, per volersi bene almeno un po'.
I punti affrontati dall'autore sono 33, qui sopra ho riscritto solo quelli che mi pare si riferiscano a me, e sono 20. Non male come inizio...

P.S. La foto è un vecchio scatto di Raffi, io nella biblioteca di storia dell'arte, in un bel periodo della mia vita.

martedì 19 febbraio 2013

By this river


By this river (Brian Eno)
Here we are
Stuck by this river,
You and I
Underneath a sky that's ever falling down, down, down
Ever falling down.

Through the day
As if on an ocean
Waiting here,
Always failing to remember why we came, came, came:
I wonder why we came.

You talk to me
as if from a distance
And I reply
With impressions chosen from another time, time, time,
From another time.

I miei pensieri di tanto tanto tempo fa, i miei pensieri di oggi.

lunedì 11 febbraio 2013

Sassi dipinti

Nevica. Non molto, meno del previsto, ma l'Università è chiusa e io lavoricchio da casa. In un (lungo) momento di pausa ho preparato le polpette di risotto alla milanese avanzato ieri sera e le ho cotte al forno, alcune le ho pure mangiate.
Ora, in piena digestione e silenzio, butto giù questo post veloce su una nuova avventura che chissà se prenderà piede nelle mie intenzioni o resterà un'idea appesa.
Cercando foto e cose interessanti sul web in questi giorni mi sono imbattuta nei sassi dipinti, ma non i soliti gatti, orsi, paesaggi e casette colorate: ho trovato piccole sagome in bianco e nero, mandala, pezzi di natura, linee e punti, simboli delicati. Forte del week end da mamma in arrivo, mi sono comprata due pennarellini indelebili punta fine, uno nero e uno bianco e, una volta a casa, ho provato a decorare qualche ciottolo di mare.
La scelta delle pietre è facile, occorrono piatte e lisce, dal colore più uniforme possibile (chissà che poi non mi venga in mente qualcosa per i sassi pieni di macchioline e sfumature diverse).
Sulle pietre chiare ho usato il pennarello scuro e viceversa, in qualche caso ho sfruttato le classiche linee bianche tipiche dei ciottoli marini e le ho usate per integrare il mio disegno, per esempio nella foto si vedono bene la corda dove "ho steso" i panni e la terra su cui crescono i fiori. Inutile scrivere cosa serve per realizzarle, per ora pietra e pennarello bastano, poi magari rifletterò sull'opportunità di variare i colori e di usare una vernice protettiva. Il risultato mi ha soddisfatta, la realizzazione mi ha divertita e rilassata, tutto sommato penso possano diventare un buon regalo autocostruito o un pensierino estemporaneo personalizzato a seconda del destinatario.
Torno al mio lavoro, sempre di rocce si tratta...

sabato 9 febbraio 2013

Arts & crafts

Fai da te, era un po' che non ci ragionavo su, ma in questi giorni, carica di buoni propositi e voglia di fare, partorisco idee a tutto spiano.
Questo esperimento, riuscito alla prima e nato (come al solito) per necessità, fa bella mostra di sé sul mio comò-fasciatoio turchese e si conferma idea utile 2013. Dove metto tutti gli orecchini che ho? In una scatola si intrecciano e poi non si vedono, un peccato visto che sono colorati, di mille forme e dimensioni diverse.
Un tempo li tenevo appesi a una sciarpa, a sua volta attaccata al muro, quest'anno un po' la voglia di cambiare e un po' l'impossibilità di bucare per l'ennesima volta le pareti di casa mi hanno spinta a cercare una soluzione alternativa meno traumatica.
Cosa ho usato?
- Rametti secchi
- Ciottoli di mare
- Barattolo di vetro
Raccolti i legnetti (possibilmente contorti e robusti), li ho inseriti in un barattolo di vetro grande (a Genova si dice arbanella), di quelli che si usano per le conserve. Per riempire gli spazi vuoti all'interno del contenitore, stabilizzarlo e immobilizzare il "mazzo di legno" ho inserito pietre raccolte in spiaggia (lo so, non si potrebbe, ma ne ho prese poche poche e mi servivano anche per un altro laboratorio che magari pubblico tra un po').
Una volta preparato "l'espositore", appendere gli orecchini è un attimo e il risultato è un albero carico di colori, che rende disponibili in un secondo piccoli oggetti che prima impiegavo una vita a trovare, scegliere e abbinare.
Immagino che questa soluzione possa funzionare bene anche con collane (leggere magari) e braccialetti, non so. Sicuramente secondo me è una buona idea anche per chi vende le proprie creazioni su una bancarella, in fiera, al mercato e vuole trovare un modo alternativo per mostrare i prodotti.
E poi è facilissimo e a costo zero.

giovedì 7 febbraio 2013

I bambini, la natura e la musica.

Ho la fama di essere una che piange facilmente, anzi, che si commuove facilmente; in realtà, per le cose serie della vita, non riesco mai a sfogarmi come vorrei.
Scrivo questo post in pausa pranzo, prima settimana di lavoro agli sgoccioli, già diversi report preparati, articoli letti, appunti presi. Sono felice.
La motivazione che mi spinge a distrarmi ancora un po' e digerire scrivendo è il concerto a cui sono andata ieri sera: Ludovico Einaudi al Teatro Carlo Felice. Era una vita che volevo vederlo dal vivo, dopo ore in compagnia delle sue note mentre cucino, mentre leggo, mentre penso, mentre faccio la doccia, mentre studio, mentre pulisco, mentre mi vesto, mentre piango.
In verità c'è un'altra ragione per cui sto scrivendo questo post e sono le tre parole del titolo. Da qualche giorno rifletto sulle cose che mi commuovono e dopo averci pensato su un bel po' ho deciso che i bambini, la natura e la musica sono in assoluto le più potenti.
Sia ben chiaro, non intendo piangere di dolore, in questo sono bravissime le disgrazie della vita, i momenti di rabbia vera e se la cavano bene anche i film d'amore, i documentari e i ragni.
Ma la commozione forte, quella che ti sale dallo stomaco senza poterla fermare, che tocca corde nascoste, smuove ricordi, riporta in vita odori e immagini me la danno loro: i bambini, la natura e la musica.
I bambini con le loro domande, con il loro sguardo sul mondo che sembra sempre aver capito molto più del nostro, con le loro gentilezze, con le loro parole taglienti, con le loro intelligenze e le loro paure. I bambini che mi ricordano me da piccola, che per me è sempre un privilegio poter incontrare e che mi fanno pensare ad un futuro che non avrò. I bambini che questa notte hanno popolato il mio incubo adulto, tornando sottoforma di doloroso flashback.
La natura, dove sono cresciuta, da cui non riesco a stare lontana, dove torno sempre. Il mio mare con la sua luce, i boschi con il loro colore, con l'odore di terra bagnata e il rumore dei rami spezzati da un passo. Le fioriture colorate come quelle che vidi a Delfi e a Bruges tanti anni fa, gli stormi di uccelli che migrano neri, il volo lento dell'airone, il passo incerto di un gattino piccolo, la forza spaventosa di un'alluvione o di un incendio.
La musica e qui entra in gioco Einaudi, capace di spostare un'anima intera, di renderla triste, di rilassarla, di darle conforto, di farla saltare. La musica che ogni giorno mi accompagna, che si accende alla mattina con la sveglia, che mi segue in cucina con la radio, in autobus con le cuffie e al lavoro nel pc, ieri sera mi è entrata dentro. Ha percorso la mia schiena, ha fatto battere il mio stomaco, sorridere la mia bocca, contrarre le mie cosce, fare la punta ai miei piedi, aumentare il battito del mio cuore, sollevare il mio petto, commuovere i miei occhi.
Il concerto di ieri è stato una pelle d'oca continua, inutile scrivere quanto sia bravo lui e quanto lo siano i ragazzi che lo hanno accompagnato con violini, viole, violoncelli, chitarre, bassi, percussioni, tastiere.
Uno spettacolo che non dimenticherò, come non dimenticherò il sogno di un bambino e il profumo del maggiociondolo in fiore.

Waterways, Einaudi. La mia preferita dell'ultimo album, il titolo della foto qua sopra.
https://www.youtube.com/watch?v=t7Ca7Va-GHY

martedì 5 febbraio 2013

Scarola day

Post serale e veloce perché sono stanca, una ricetta al volo su una torta che volevo provare da un po'.
L'avevo mangiata tempo fa da Sturm e mi era piaciuta un sacco, l'ho rifatta stasera e, come si può vedere dalla fettina mancante, l'ho pure assaggiata: buona!
In questo periodo di ufficio all day long e mal di stomaco la cosa migliore da fare è trovarmi la mattina un pranzo pronto fatto in casa, senza schifezze indigeribili dentro e abbastanza nutriente da arrivare viva alla cena o addirittura alla palestra, magari aiutandomi con una mezza merenda al pomeriggio.

Ecco gli ingredienti:
- Pasta Brisée (io la compro pronta)
- Scarole (oggi erano pure in offerta...destino!)
- Pinoli
- Uvetta
- Capperi (io ho usato quelli sotto sale, li preferisco)
- Olive nere (taggiasche the best, anche se per snocciolarle è un rosario)
- Sale
- Olio

Come si legge già dall'elenco qui sopra, niente formaggio, né uova, ma inspiegabilmente la torta sta insieme lo stesso.

Il procedimento è semplice:
Prima di iniziare accendere il forno a 200° C e mettere l'uvetta a bagno in acqua tiepida.
Bollire per 10 minuti, in acqua salata, la scarola (io ne ho comprati due cespi belli grossi perché una volta cotta "sparisce"). Togliere il nocciolo alle olive e il sale ai capperi.
Tritare (facoltativo, si posso lasciare anche interi) capperi, olive e pinoli e nel frattempo scolare la scarola.
E' importante privarla il più possibile dell'acqua assorbita, io per questo l'ho strizzata a mano, occhio però che brucia tantissimo.
Passare in padella la verdura con il trito pronto, l'uvetta ammorbidita e un po' d'olio fino a che il composto è completamente asciutto. Io ho aggiunto un pizzico di sale alla fine.
La pasta va srotolata in una teglia tonda, le scarole adagiate al centro e i bordi risvoltati.
Le varianti trovate in rete per questa ricetta sono moltissime, qualcuno mette della pasta d'acciughe, altri le acciughe direttamente in filetto, io ho evitato. Forse si potrebbe rosolare il ripieno con uno spicchio d'aglio ma mi pare già abbastanza saporito.
La cottura dipende molto dal forno, io ho impiegato un'oretta a 180°, ma l'ultima mezz'ora ho cotto solo la parte sotto.
Buon appetito!

Difficoltà: facile
Cottura: 1 ora circa
Costo degli ingredienti: medio (sicuramente la tipica pasqualina con bietole e ricotta costa meno, qui olive, capperi e soprattutto pinoli fanno salire un po' la cifra, ma si tratta pur sempre di una semplice torta salata!)

sabato 2 febbraio 2013

La salita

Ieri primo giorno di lavoro, pagata. Evviva.
Otto ore in ufficio, poi casa, doccia e serata al Circolo. Raggiungere questa vetta è stata una vera salita, iniziata anni fa e conclusa con fatica. Ho girato grosse pagine, ho perso molto tempo, ma sono arrivata in cima e ora non mi manca quasi nulla.
Oggi è sabato, ho comprato Repubblica e ho trovato al suo interno uno speciale dedicato alla montagna, anzi, mi correggo, alla Montagna. L'occasione per gli articoli è stato l'ultimo film di Ambra Angiolini, che pare essere grande appassionata di pareti. Io, tra ricordi, consigli letterari e citazioni cinematografiche ho trovato le parole di Erri che incollerò qui sotto e che, naturalmente, sono tutte per lo Sminatore.
Oggi mi sono regalata anche un'ora di stretching in palestra, la settimana appena trascorsa ha contratto i miei muscoli più di quanto immaginassi, nonostante il pilates.
Mi dispiace non provare mai, quando faccio sport, le sensazioni di libertà che sentono gli amici che vanno in montagna. Capirei meglio il bisogno di Andrea e la voglia di Sturm, tutta contenta di appendersi domani.
Io, nel mio piccolo, quando mi dedico al mio corpo, non lo faccio con l'intento di non pensare (mia mamma ad esempio lo pratica anche con questo obiettivo): io correndo o in palestra penso tantissimo e a volte soffro infilandomi in ricordi, riflessioni e sentimenti che mi fanno male.
Certamente fare sport mi piace, perché so che fa bene, perché ho un fisico ricettivo e i miei muscoli registrano subito l'attività a cui li sottopongo, perché gamba e collo stanno in silenzio quasi esclusivamente se li metto a lavorare, perché la sensazione di allungamento post palestra è una delle migliori che abbia mai provato.
Resta però la profonda ammirazione per tutti quelli che si infilano uno zaino e si attaccano ad una roccia, per chi indossa una muta ed esplora il fondo del mare, per gli appassionati di bicicletta pronti a pedalare chilometri, per le ginnaste abituate ai sacrifici. Io, questa passione, non ce l'ho. Purtroppo.

Il Buttafuori dei pensieri


Arrampicarsi è tornare all'andatura a quattro zampe.
Si risveglia nel corpo l'antichissima abilità di strisciare da rettile, con gli arti anteriori che aprono il percorso e quelli inferiori che seguono in appoggio. Come nel nuoto, anche nell'arrampicata la testa non è più la sommità del corpo. Il nuotatore non vede oltre l'onda che ha incontro e lo scalatore non può sporgersi oltre il metro di strapiombo che lo sovrasta.
Il primo passo di attacco su una parete verticale stacca dal suolo come un tuffo, per poi affidarsi alla punta delle dita. E' un'opera sul vuoto che non è lì per sostegno. A me tiene compagnia, il vuoto socio del vento che agita senza riempirlo.
Non è un pozzo, è aria scalata, fiato che rimbalza sulla roccia, abisso che si allarga sotto i piedi, intravisto cercando i punti d'appoggio. Quel vuoto è la mia intimità nella ginnastica festiva che mi spinge a scalare. Non mi attira la cima, che è solo un capolinea. Arrampico per il desiderio di togliermi, accumulo una distanza. Mi aggiro sulla pista immaginaria che ho scelto dal basso, la frugo inventando la sequenza di mosse che meglio si adattano alle mie possibilità. Regredisco a pura attività motoria, centrata e concentrata su se stessa. Niente mi distrae. Attaccato da uccelli che temevano per il nido che aggiravo, sfiorato dai fischi di proiettile dei sassi in caduta, morsicato sull'indice da uno scorpione: non si è distratta la presa, la presenza. In testa un buttafuori di qualunque altro pensiero fa la buona guardia.

(Erri De Luca)