domenica 29 gennaio 2012

4


4 gradi fuori.
4 gradi dentro. Di me.
E' finalmente arrivato l'inverno, siamo a gennaio e nevica un po' ovunque. Giorni di divano e coperta, ma anche di passeggiate fredde e ombrello.
Vince il lavoro, su tutto e tutti, anche su di me.
Lunghi turni al Belleville, ore in ufficio, migliaia di battute per l'articolo e animazioni in programma. Va bene così, io sono anche questo.
Io sono anche i cinque minuti che mi ritaglio per un tè con i biscotti, le telefonate con le amiche innamorate, le confidenze tra coinquiline sul divano e il pavimento del bagno da lavare. Sono la scatola di plastica con la frittata e il formaggio per il pranzo di domani davanti al pc, sono questo post che scorre sotto alle mie dita, sono l'insonnia della notte passata e la fame che non ho.
I caloriferi roventi accanto a me e la voglia di leggere un po', le chiacchiere col vicino-vicino in chat e il poncho di lana che mi punge il collo nudo.
La luce va e viene, anche i pensieri fanno così. Non ho paura, per una volta, forse è rassegnazione oppure è consapevolezza. So di essere fortunata e so che questa condizione la sto scegliendo io, con piccole azioni quotidiane, una su tutte scendere dal letto e uscire. Camminare a lungo, arrampicare, guardare il tramonto, ascoltare le corde delle barche attraccate, parlare guardando negli occhi e gustarsi una milonga in penombra. E' fortuna questa qui e non è peccato accorgersene.
E' fortuna anche passare un pomeriggio con mia madre e una sera con me stessa, ricevere messaggi inaspettati e mangiare anatra con gli amici, è fortuna mantenere forti legami con persone in viaggio e segnare un futuro come lo vorrei io.
Mi accorgo che questo post non è altro che una specie di mantra, che mi accompagna da giorni, continuamente, con dolcezza. Elena, sei fortunata. Perché ti conosci, ti rispetti, ti sfrutti, ti ami, ti aspetti e ti domandi. Sei fortunata perché fuori ci sono 4 gradi e 4 gradi sono dentro di te, farai meno fatica a superare l'inverno. Pian piano la tua temperatura risalirà, questo è certo, ma magari nel frattempo avrai imparato ad accorgerti ancora più facilmente di quanto sei fortunata.
Arrivederci gennaio...

sabato 21 gennaio 2012

Non ci riesco


Quante volte, nella vita, ho detto "non riesco a stare nelle cose"?
Mille, duemila forse.
Ma è così, non riesco a stare nelle cose, in nessuna cosa.
Sgroppo come un cavallo male ammaestrato, come un bambino difficile in una classe di bimbi obbedienti, come un ricciolo ribelle che non sta nell'acconciatura.
Per Natale ho ricevuto il libro che c'è nella foto, dal vicino-vicino che l'aveva letto e aveva trovato un po' di me tra le pagine. E' stato facile capire che aveva ragione, già dalla copertina con la frase "Ma quante sono, pensavo, le persone che si nascondono?". Tantissime, penso io. E' la storia di una famiglia, raccontata dalla femmina di casa, la mamma il papà e il fratello si alternano nella sua vita tra difficoltà, lutti, fastidi, dolcezze, paure e cattiverie. Per spiegare le sensazioni che prova Bianca chiama spesso in aiuto il mondo degli insetti e le sue abitudini, le uova deposte dalle femmine, le antenne che si intrecciano, le formiche animali sociali. Inutile dire che non è stato semplice leggerlo, che sono entrata in contatto con me stessa più di quanto già non faccia di solito e che se potessi lo ricomincerei dall'inizio anche adesso. Nella vita di tutti i giorni le cose vanno rotolando e sono immobili allo stesso tempo, non so stare e non posso stare nelle storie, nelle situazioni e ultimamente mi sento lontana anche dagli impegni e dall'amicizia. Ieri sera ho ripreso ad arrampicare dopo moltissimo tempo, oggi mi restano le braccia indolenzite e qualcosa di sospeso nel cuore. Vorrei fare delle telefonate, vorrei spiegare, farmi capire, vorrei smetterla di far soffrire o per lo meno vorrei che fosse chiaro a tutti che non ci riesco. Il lavoro da babysitter saltato all'ultimo mi ha lasciato un amaro in bocca e una rabbia latente che sicuramente rosicchiano in silenzio, il nuovo lavoro con implicazioni sentimentali varie ed eventuali non è semplice da gestire, il Belleville alla sera spero aiuterà obbligandomi a staccare il motorino del cervello, la ditta non so, non so cosa dire.
Nella playlist Radical Face mi morde il cuore, sono ore che rassetto la stanza ma mi sembra di peggiorare le cose, forse il disordine che ho dentro lo sto riversando su mensole e scrivanie, forse dovrei lavarmi e uscire di qui.
Ho bisogno di boschi e di piangere. Ho bisogno di chilometri e di urlare. Di essere arrabbiata con chi non capisce, di rivendicare il diritto a me stessa, voglio me e nient'altro. Invece mangio ravioli da sola, se potessi sotto le coperte, penso al passato con una costanza che ha del patetico, odio l'idea di un futuro ancora così incerto e sospeso al giudizio altrui. Basta, ho bisogno di un caffè e di camminare.

martedì 17 gennaio 2012

Quel che resta del giorno


Tantissimo bisogno di scrivere in questo periodo, di buttare fuori e di sentirmi più leggera. Due post in un giorno.
Questo parla di oggi, di me. Di me in un giorno qualsiasi, della mia città, del traffico e del freddo nuovo, delle scarpe sui marciapiedi e delle bancarelle nei vicoli, del treno doppio e delle biciclette.
Oggi mi sono alzata come tutte le mattine, forse un pochino dopo perché nella notte avevo avuto freddo, avevo letto fino a tardi ed ero scesa tante volte a fare pipì.
Ho svegliato Marta senza riuscire, di nuovo, ad aprire la sua camera, la maniglia è proprio rotta si vede. Mi sono infilata in doccia, bollente, ho cantato con la bocca chiusa gli Smith e mi sono asciugata in fretta. Ho legato i capelli in due trecce e ho infilato il pile verde di X, i piedi nelle Camper col pelo e il pranzo in un sacchetto. Giacca a vento, chiavi nella toppa, Via Ravecca. Giro l'angolo di Soprana e sbatto contro Sturm, che bello la mattina...due battute veloci, si arrampica venerdì e si cena nel week end.
Una colazione al solito bar, la mia girella con l'uvetta è sul bancone prima ancora che il mio piede buono salga il gradino, caffè, shottino d'acqua, 44. Parte subito, niente Murakami sennò vomito, una signora non vuole il mio posto e si siede in fondo.
Vado dritta in ufficio e ci resto fino alle quattro, tanto con lo sciopero dei mezzi ho poco da andare. Telefonate, mail, pranzo con il cubo di Rubik che passa di mano in mano, un pacco in consegna alla portineria. Si esce, ma lo sciopero è stato prolungato, devo andare Sottoripa per le chiavi di mamma e sono in San Martino, devo camminare e ho il portatile nello zaino. Pazienza. Le macchine sul marciapiede mi obbligano e stare in strada, la sciarpa mi stringe e mi pare di soffocare, mi fermo e slego tutto: metto il berretto a righe nella borsa, allento la sciarpa, apro la zip del pile di X e continuo a camminare. C'è un monopattino impigliato nel rampicante del muro della ferrovia, tanti semafori e tante strisce pedonali, tante officine e un controllore che mi fissa mentre gli passo accanto, è sgradevole. Compro un balsamo perché da mamma è finito, risalgo tutta Via XX Settembre e quando sono in De Ferrari non so come ci sono arrivata. Comincia da qui l'ansia, mi prude la pancia per il fastidio, arriva il disagio nel primo negozio: suono, mi aprono. "Mi scusi, avrei bisogno di un'informazione, quanto potrebbe valere questa collana?". Infilo la mano nella tasca, tasto il metallo freddo, la srotolo piano e la passo al signore cattivo dietro al bancone. Non la guarda nemmeno. La posa su una bilancia: settegrammiesettanta, litiga con la calcolatrice e dice "174euro", ok, grazie, arrivederci. Mi faccio proteggere dai vicoli stretti, cammino con il berretto che dondola ed entro in un negozio in Campetto "sono settegrammiesettanta, 190euro" "ok grazie, arrivederci". Me l'aveva regalata per la Cresima mi pare, era arrivato con una custodia di velluto verde bottiglia, l'avevano scelta lui e la nonna, non mi è mai piaciuta, ma è l'unico loro regalo che mi resta. Pazienza. Entro in un buco davanti al porto, c'è una signora grassa che ha freddo e mi chiede di chiudere la porta, non mi dice il peso, dice solo "180euro". Devo ritirare la chiave per mamma, passo veloce tra i colori dei portici e in meno di dieci secondi ho già lo scontrino in mano e il doppione nella sua bustina arancio, continuo a camminare, sono sudata da morire. Prima che la via in salita finisca, entro dove sono seduti due signori, hanno una bilancia di quelle vecchie "settegrammiesessanta" dicono, "sono di più" penso. Ora ci sono di nuovo le macchine, una signora piange al telefono perchè con gli scioperi non sa come tornare a casa, voglio prendere il treno e faccio via Balbi quasi correndo. Un negozio mi fa paura, nell'altro entro: il signore che sembra un comandante prende in mano una lente e cerca la punzonatura sulla mia collana, la posa sulla bilancia "settegrammieottanta", 195euro"; ok dico "paga in contanti vero?" "certo" "ha cinque euro signorina?" "no" "oggi è andata così, se ci sarà una prossima volta...". Esco dalla porta con cinque euro in più, ho 200 euro nella tasca della borsa, vicino alla bustina arancio con la chiave e alle pastiglie. La collana dei nonni ce l'ha il signore, devo avergli fatto proprio pena. Il semaforo è verde, salto sul treno al volo, cambio posto tre volte, prima mi siedo vicino ad un archeologo, poi vicino ad una ragazza arrabbiata con il fidanzato, poi da sola. Guardo fuori ad ogni stazione, sciolgo le trecce e mi faccio una coda di cavallo. Devo già scendere. La mamma mi aspetta lì in piazza, ha il motore acceso, mi chiede della festa, dice che per cena ha fatto le verdure, andiamo in palestra e sono contenta. La gatta gioca con me, ho sonno e scrivo qui. Ora dormo perché è tardi e penso al monopattino vicino al muro, alla signora che piange e alla bilancia antica. Tutto mi fa stare male.

Gennaio


Forse, scrivendola qui, mi passerà dalla testa. Non faccio che cantarla, fischiarla, intonarla ovunque, da giorni. Dice tutto ciò che serve. Che mi serve.
A breve post su quello che odio di più, sul libro che ho appena finito di leggere, su una giornata a caso.

Please, please, please, let me get what I want

Good times for a change
See, the luck I've had
would make a good man
turn bad

So please please please
let me, let me, let me
get what I want
this time

Haven't had a dream in a long time
See, the life I've had
would make a good man bad

So for once in my life
let me get what I want
Lord knows it would be the first time
Lord knows it would be the first time


(The Smiths)

domenica 15 gennaio 2012

Verde speranza


Domenica sera.
Domani si torna al lavoro dopo un week end di amicizia, quella che ti riempie il cuore e non ti lascia pensare. Ieri sera, al Belleville, il Green Party è stato un successone: l'albero di cartone all'ingresso del circolo su cui i post-it a forma di foglia hanno catturato auguri e cazzate scritti dagli invitati, spritz e torta alle more, piatti e bicchieri rigorosamente verdi, addobbi color foresta in stile festa delle medie e, soprattutto, braccialetti fluo illuminati nel buio della sala danze mentre le mani di tutti salivano al cielo. Io, come previsto e promesso, ho indossato l'improbabile parrucca verde acido che si intravvede in foto, dono della coinquilina meravigliosa Dj per una sera, ho ballato un sacco, ringraziato tutti e aperto i mille regali ricevuti:
- un libro illustrato bellissimo, con animali e animaletti che salgono sull'arca di Noè, grazie a Nessie, Manu e Tozzo.
- una collana molto elegante, grazie a Giuli e Pilotti.
- una bacchetta magica e un pacco di tè (verde!), grazie a Clara.
- un "gioiello" da commozione che non si può spiegare: una scatola da aprire per trovare un po' della natura che in centro mi mancherà, grazie a Dobby.
- una sorta di calendario, con spille e ciondoli appropriati per ogni stagione dell'anno, grazie a Sturm.
- Un libro di metamedicina da consultare ogni due per tre, grazie a Dè.
- Un quadro che più mio non si può, grazie a Andre.
- Un tostapane a forma di porcellino rosa, desiderio inconfessabile ma confessato al vicino-vicino, donatore in comunità con Vale, Lucia, il Prof...
- Un libro di Neruda per scaldarmi il cuore e un maglione-pile splendido, verde e viola, per scaldarmi il corpo, grazie a X.
Ma in questo compleanno sono stati belli anche e soprattutto i biglietti, pieni di affetto e di bene, pieni di chi me li ha regalati e di me che li ho ricevuti.
Tanti altri sono i regali già consegnati prima di ieri: la scatola di Betta che finirà dritta accanto all'alberello di Dobby, il quadro col sasso, le foto e la campana tibetana di Claudio e Marina, il vestito bellissimo di Fonso, la festa verde finanziata da mamma.
Stasera, ancora stanca per la serata, coccolata dalla lunga colazione mensile da Nessie, penso a chi è arrivato da un'altra città per festeggiarmi, per donarmi innanzi tutto affetto e sorrisi, a chi mi sta vicino comunque, a chi mi conosce bene e non sbaglierà mai un regalo, a chi abiterà accanto a me per molto tempo, a chi ha fatto rinunce per esserci, a chi si comporta da sempre come un fratello, a chi temeva di farmi fare brutta figura e invece ha animato la festa al meglio, a chi ha portato con se il compagno e ha ballato senza sosta le mie musiche anni 90, a chi è passato per un saluto molto presto o molto tardi, a chi ha portato amici, a chi ha fatto turno al Belleville fino alle tre, a chi ha preparato lo Spritz e ha tagliato la crostata, a chi ha cucinato la torta di mele per questa mattina, a chi ha bevuto il tè con me oggi pomeriggio pur avendo unicamente bisogno di totani fritti, a chi mi ha fatto gli auguri solo per il gusto di farmi sorridere.
A tutte queste persone penso adesso, e poi penso a chi non sarebbe venuto ma c'era, comunque.
Grazie

domenica 8 gennaio 2012

Feltro mon amour


Sabato prossimo ci sarà la festa dei miei trent'anni, al Belleville.
Tema della serata: il colore verde. In tutte le sue innumerevoli declinazioni. Ogni invitato avrà "l'obbligo" di indossare qualcosa di verde, calzini o mutande, guanti o cravatta, gonna o foulard, stringhe o cerchietto, l'importante è che sia green.
Qualcuno medita di comprare occhiali da sole con una montatura color foresta un tantino improbabile, qualcun altro addirittura ordina su internet tinture verdi per colorare la barba. Io, ancora immersa nell'organizzazione dell'allestimento, ho però completato la mise della serata: vestito nero con mega albero di feltro dalle foglie verdissime, scaldamuscoli di lana verde e la fantastica parrucca a caschetto in stile Pulp Fiction, dono della mia coinquilina e ovviamente verde speranza.
In questo post un po' art and craft scriverò della serata di ieri, passata a tagliare e cucire foglioline...
Innanzi tutto è stata un'impresa trovare il vestito adatto, fino a che, in fondo all'armadio, ho riesumato un abitino di cotone con tanto di gonna a ruota degno della migliore festa da liceale. Poi c'è stata la ricerca del feltro, invece che comprare le foglie già pronte ho optato per un pezzo di stoffa da ritagliare sul momento, così da poter scegliere volta per volta la forma e la dimensione che preferivo. Insieme al feltro verde ho comprato anche lo spaghetto di lana cotta marrone per cucire il tronco e i rami del mio bellissimo albero e, armata di forbici, spilli, ago, filo, mamma e tanta pazienza ho trascorso la serata a realizzare quello che vedete in foto.
Come si fa?
Intanto occorre stendere bene il vestito (o la maglia, la gonna, insomma quello che avete scelto) su un piano d'appoggio, l'ideale è inserire all'interno un pezzo di cartone rigido per evitare, cucendo, di acchiappare anche il retro dell'abito. Il secondo passaggio prevede la "prova tronco", ovvero, appoggiando il filo di lana cotta cercate di creare la forma dei rami come immaginate vorreste vederla una volta terminato il lavoro. Bloccate la sagoma con degli spilli, aiutatevi con le forbici per tagliare lo spago e sistemate i pezzi come preferite. Con tanta pazienza (tranquilli, bastano pochi punti), cucite il tronco e iniziate a pensare alle foglie. Io ho preferito non tagliarle troppo grandi, ma nemmeno troppo piccole, ho scelto una forma semplice e le ho distribuite un po' su tutti i rami, lasciandone una in caduta libera. Per attaccarle ho usato un filo marrone che facesse contrasto e fatto passare i punti in mezzo alla foglia, come fossero la nervatura centrale. Per realizzare il prato ho semplicemente tagliato una striscia di feltro a zig zag e l'ho fissata alla base del tronco.
Può sembrare complicato, ma alla fine non lo è e il risultato ottenuto è un bel alberone colorato sul vestito della festa, in stile Cenerentola prima del ballo, ma con una marcia in più: si sa infatti che chi di verde si veste di sua beltà si fida...

giovedì 5 gennaio 2012

Gerundio


Facendo:gerundio.
Ho scelto una foto della mia Strasburgo questa sera, una città in cui ho fatto, ho fatto tanto. Ho visto la cattedrale all'inizio di una nevicata, ho cenato in un ristorante sul fiume e corso sotto la pioggia, ho spiato le lontre nuotare, mangiato una senape potentissima e seguito il più bel corso della mia vita.
Su quella panchina mi sono anche seduta, a Strasburgo ho pensato a me, ho letto, ho scritto mail a notte fonda, ho guardato gli scoiattoli, inscatolato biscotti, comprato libri, scattato foto. A Strasburgo ho pensato a me, appunto.
E pure in questi giorni penso a me, ritaglio spazi, piccoli momenti, prendo in mano un romanzo, mi siedo un attimo, mi fermo a riflettere, mangio un dolcetto...cose così, fatte per me. Ieri per esempio sono andata al cinema a vedere l'ultimo film di Clint, uscita che attendo sempre con grande aspettativa e non sono stata delusa: sapevo si trattava di una biografia e che era lungo, perciò mi sono goduta la storia e la bravura, quasi imbarazzante, dei protagonisti. Oggi ho camminato nei miei vicoli, ho comprato una vecchia macchina fotografica per il vicino-vicino al mercatino delle pulci nella sacrestia di una chiesa (?!), ho letto in metropolitana e ho mangiato i broccoli con Agata sulle ginocchia. In attesa di finire Le Vergini Suicide penso già ai prossimi libri posati sul comodino e sogno giornate intere in compagnia di me stessa e delle loro pagine. In realtà si affaccia un esame di dottorato che un po' mi spaventa e il lavoro pomeridiano come babysitter è alle porte, perciò il tempo per divorare storie di altri e non pensare alla mia sarà poco.
Due giorni fa ho compiuto trent'anni e non è stato semplice: mi hanno aiutata una passeggiata utile anche alla stesura dell'articolo prova per la rivista (che ho appena inviato, chissà...) e un saluto a papà, come al solito fermo lì col suo mezzo sorriso. Alla sera una cena bella, in un posto bello con una persona bella e mille pensieri che non riesco a cacciare.
"Solo da sola", in una stanza vuota, col ronzio del pc acceso, una camomilla calda e una piccola lampada, trovo la mia dimensione e ho meno paura, paura di calpestare, di inciampare, di sbagliare, strafare, complicare. Non sono pronta a dimenticare, vorrei solo chiudere gli occhi e prendere tempo, decenni di tempo vuoto, metri di stoffa neutra che coprano il groviglio di pensieri attorno a me.
Frasi come "...e tutto quel che ho amato, da solo io l'ho amato...", di E. A. Poe non fanno che riportarmi indietro, alle persone che non mi hanno accolta a hanno amato da sole le loro cose, a chi stava chiuso giorni in una stanza con un transistor in mano e un circuito stampato davanti, a chi moriva di paura di fronte alla più piccola idea del futuro, a chi camminava nella neve da solo unicamente per sfuggire da se stesso, e quindi anche da me.
Ora vorrei domandare a tutti perché, perché era così difficile lasciarmi amare ciò che amavano? Condividere con me quello che erano?
Ma non lo faccio, li ho tutti qui e non chiederò spiegazioni...alla fine ci saremo io e i ricordi a tenermi compagnia su quella panchina di Strasburgo dove pensare all'aria che cerco, al tempo che mi serve, al bene che devo volermi e alla bellezza che in qualche modo verrà.

domenica 1 gennaio 2012

Start


Troppo stanca per scrivere affido il mio brindisi ad Erri e alle sue parole spesso così vicine ai miei pensieri. Dopo aver ballato fino all'alba e salutato gli amici ecco a chi va il mio prosit:

Prontuario per il brindisi di Capodanno

bevo a chi è di turno, in treno, in ospedale,
cucina, albergo, radio, fonderia,
in mare, su un aereo, in autostrada,
a chi scavalca questa notte senza un saluto,
bevo alla luna prossima, alla ragazza incinta,
a chi fa una promessa, a chi l’ha mantenuta,
a chi ha pagato il conto, a chi lo sta pagando,
a chi non è invitato in nessun posto,
allo straniero che impara l’italiano,
a chi studia la musica, a chi sa ballare il tango,
a chi si è alzato per cedere il posto,
a chi non si può alzare, a chi arrossisce,
a chi legge Dickens, a chi piange al cinema,
a chi protegge i boschi, a chi spegne un incendio,
a chi ha perduto tutto e ricomincia,
all’astemio che fa uno sforzo di condivisione,
a chi è nessuno per la persona amata,
a chi subisce scherzi e per reazione un giorno sarà eroe,
a chi scorda l’offesa, a chi sorride in fotografia,
a chi va a piedi, a chi sa andare scalzo,
a chi restituisce da quello che ha avuto,
a chi non capisce le barzellette,
all’ultimo insulto che sia l’ultimo,
ai pareggi, alle ics della schedina,
a chi fa un passo avanti e così disfa la riga,
a chi vuol farlo e poi non ce la fa,
infine bevo a chi ha diritto a un brindisi stasera
e tra questi non ha trovato il suo.


Erri De Luca