sabato 28 novembre 2020

E ti vengo a cercare


Musica.
È trascorso ormai più di un anno e mezzo da quando mi ha sussurrato le ultime parole tutte nostre, ora incise sul mio ciondolo in argento, che non tolgo mai.

In questi lunghi mesi ho atteso paziente che diminuisse il dolore, quello che tormenta giorno e notte, che spezza il fiato e le gambe. Pian piano è accaduto e, al suo posto, sono arrivati il senso di colpa e la consapevolezza che la mia vita non sarà mai più quella di prima.
All'inzio la sognavo sempre, malata
, sofferente con mio padre ad aiutarla come poteva. La sognavo arrabbiata, imprudente, a volte persino cattiva. La sognavo con i primi sintomi e trascorrevo la notte terrorizzata da una diagnosi e da una fine che conoscevo già.

Ora le cose sono un pochino cambiate, la sogno sana e in procinto di ammalarsi di nuovo, perché anche mentre dormo non dimentico mai che è successo, aspetto solo che succeda ancora. In uno degli ultimi sogni si ammalava di Covid e ricordo che gridavo, disperata, "li ho già persi entrambi, non può riaccadere!".
L'interpretazione della mia mente contorta è, fortunatamente, terreno dell'analista, c'è da dire che negli ultimi quindici anni le ho dato un gran lavoro da fare.

Ogni tanto mi capita ancora di immaginare mamma dietro alle vetrine del MadLab, che passa a trovarmi al lavoro dopo aver saccheggiato il mercato giallo del giovedì. Vedo il suo sorrisone, così simile al mio, il piumino azzurro, le scarpe da trekking, la borsa a tracolla e penso: è tornata!
Perché in uno dei sogni peggiori, forse il più terribile che abbia mai fatto, la incontravo per caso e lei fingeva di non conoscermi. La imploravo di parlarmi e mi rispondeva che non era morta, si era solo stufata di tutto e voleva ricominciare altrove, libera da me, dai ricordi, dalla vita difficile e solitaria che le era toccata in sorte.
Che se ci penso bene, alla fine, saperla viva anche se lontana, mi farebbe molto meno male.

Forse è per questo che la vado a cercare, di notte a occhi chiusi, di giorno a occhi aperti, mentre scelgo le piante nuove, cucino le verdure, cammino nei vicoli, appendo la stampa dell'airone, leggo un libro, ascolto la musica. La vado a cercare per non smettere di pensarla, la sua più grande paura, per farla tornare, in qualche modo, ogni volta che voglio.

Oggi, per esempio, in una Vesima fredda e quasi buia, ho trovato il suo giardino sconvolto dal vento, le piante di casa quasi morte, la corrente saltata e il frigo sciolto in cucina. Ho pensato a tutti gli anni che ha trascorso lì da sola, in inverno, osservando il mare grigio che ha dato il nome a questo blog. Ho immaginato i suoi pensieri, lo sgabello su cui poggiava i piedi per lavorare a maglia dopo cena, con Agata sulle ginocchia. Ho pensato al suo eterno bisogno di uscire, di andare al cinema, a teatro, di fare lezione di italiano, di seguire il corso di arte, di camminare per le vie del centro o per i sentieri dietro casa.
Sono andata a cercarla e ho capito tutto.
L'ho trovata,  ma quanto male mi ha fatto.

P.S. Nella foto, la camera da letto che cresce e si moltiplica.