sabato 18 luglio 2015

Azzurro

[Avviso: post lunghissimo]

Senza girarci troppo intorno: il 15 luglio sono stati 10 anni che è morto mio padre.

In questi giorni di campi estivi, summer school, laboratori, bambini, progetti, sveglie presto, cene tardi, docce all'alba e a notte fonda non ho avuto molto tempo per pensare, per accogliere un poco il mio lutto, che seppur lontano, seppur forse meno doloroso, seppur in parte elaborato, è pur sempre un lutto.
Così questo post è iniziato in pieno Summer Camp con una serie di mini frasi nell'ultima pagina del quaderno su cui segnavo gli appunti delle lezioni e termina oggi, finalmente sabato, con mille cose manuali da fare e un caldo torrido, talmente torrido, che sento le cicale da casa. Nei vicoli.
Ho riflettuto un sacco su cosa scrivere e come sempre gli elenchi vincono su tutto. Anche l'anno scorso avevo tirato fuori il dolore scegliendo questo sistema, oggi però voglio aggiungerci le storie. Dieci storie, una per ogni anno, che abbracciano un ricordo legato a mio padre e al mio strano, davvero poco ortodosso, rapporto con lui.

1) Te stacco le braccia e te ce meno

Qualche giorno fa sono andata a cena alla Lanterna di Don Gallo (questo vecchio link di un ottimo sito che seguo non racconta la recentissima risistemazione del locale), proprio la sera prima della ricorrenza. Per distrarmi, per mangiare uno dei suoi piatti preferiti (il pesce), per farmi una coccola. Mentre finivamo di cenare alla cassa si sono avvicinati dei ragazzi dal fortissimo accento romano: discutevano su chi avrebbe dovuto e non dovuto pagare e uno di loro insisteva per dividere e restituire i soldi all'amico. Ad un certo punto la frase: "se provi a damme ancora st'euro te stacco le braccia e te ce meno". Immediato il ricordo di mio padre che mi prende un polso e ridendo come un matto mi schiaffeggia con la mia stessa mano...quanto mi divertiva quel gioco! Quante volte lo abbiamo fatto!
2) Gli scampi con la salsa rosa
Il suo piatto forte, anche se scegliere è davvero difficile visto che cucinava benissimo. Di solito preparava gli scampi a Capodanno, se era in vena di festeggiare. Li scottava sulla griglia e li serviva con un goccio di limone, ma la protagonista era la salsa rosa. Non un condimento qualsiasi, erano bannati i barattoli e i prodotti pre confezionati: usava tutti gli ingredienti necessari, dalla salsa worchestershire al concentrato di pomodoro e passava addirittura con il colino il rosso dell'uovo sodo. Una meraviglia per gli occhi e per il palato.
3) I pantaloni a righe arancioni comprati per mamma
In un grande magazzino, a pochi pochissimi euro. Ricordo perfettamente il momento in cui decidemmo di prendere sia la versione color crema sia quella arancione, non riuscivamo a scegliere e preferimmo non farlo. Ero già grande, probabilmente si trattava di una delle mattine in cui mi accompagnava a fare il prelievo settimanale per la coagulazione e poi la mega colazione al bar...si stava per scatenare l'inferno, io avevo già rischiato grosso pochi mesi prima, ma lo ricordo come uno dei periodi più belli della mia vita.
4) I disegni a carboncino appesi in tinello
Perché disegnava benissimo. Copiava dal vero per lo più: protagonisti Disney per me (c'era Cucciolo sopra il tavolo da pranzo), nature morte, volti, strade di paese e, spessissimo, i gatti di casa. Questi ultimi li ritraeva a matita, di solito a colori: c'erano Fulmine con il pelo rosso e il siamese con le orecchie scure e gli occhi celesti.
5) Il reganisso
Il bastoncino di liquirizia che quando l'ho visto da Melissa Erboristeria tra un po' mi piglia un colpo. Lo succhiava sempre e a me piaceva da matti. Non avevo accesso di frequente a questa buonissima radice perché credo che ai bambini non faccia benissimo, ma quando ero piccola, soprattutto sulla spiaggia dove tenevamo il gozzo, di signori incartapecoriti dal sole con il reganisso in bocca se ne vedevano assai. E quanto mi divertiva e mi faceva sentire grande andare a comprarlo dal tabacchino!
6) La gita a Dolcedo
Ero già al liceo, anzi forse era il primo anno di università. Sono venuti a trovarmi i miei mentre stavo in vacanza nella casa di campagna del mio ex. Amavo quel posto come pochi altri al mondo e il mercatino dell'antiquariato una domenica (o era lunedì?) al mese mi rendeva impaziente e felice come una Pasqua. Quel giorno non credevo ai miei occhi: mio padre si sarebbe spostato per venire a vedere le bancarelle con me. Ricordo che Andrea per l'occasione cucinò l'arrosto al latte, una ricetta tedesca di sua nonna e ricordo che a me era parso tutto perfetto.
7) L'inizio (e la fine) di ER
Quando cominciò su Rai 3 questa nuova serie TV noi iniziammo a seguirla fedeli. Non ne perdevamo nemmeno una puntata. Sono convinta che il mio amore folle per i medical drama arrivi da lì, da quel figo di Clooney poco più che ragazzino, da quei ricoveri d'urgenza pieni di pathos, da quelle aggressioni in ospedale che facevano fuori i miei personaggi preferiti, da quelle morti improvvise che mi lasciavano di stucco. A distanza di vent'anni almeno, con Grey's Anatomy, non è cambiato nulla. Anzi sì: lo guardo da sola.
8) La sveglia con la proiezione sul muro
Uno dei regali che mi portò dalla fiera di elettronica a cui andava ogni anno. Una sveglia dal design terrificante che però, se la pigiavi, proiettava l'ora esatta sul soffitto, senza costringerti ad accendere la luce. Un oggetto brutto, inutile, che non butterò mai via.
9) A pranzo con il fuoristrada
Di questa cosa ho un ricordo davvero molto vago: ero piccola, era domenica e si stava andando a pranzo in trattoria, sulle alture. Ricordo che c'era anche mio nonno in auto, ricordo che soffrivo come sempre la macchina, ricordo che c'era la strada sterrata e ricordo che ero così felice di mangiare fuori con mamma e papà insieme che non vomitai nemmeno. Nonostante le curve, nonostante la jeep, nonostante i dossi, nonostante i ravioli, nonostante il nonno.
10) Il motorino Garelli
Il grande acquisto che gli permise di andare a comprare i suoi due pacchetti al giorno, nel tabacchino sotto casa, senza nemmeno fare lo sforzo di percorrere duecento metri a piedi. Pantaloncini, ciabatte, canotta, cappello bianco da pescatore e motorino minuscolo, così piccolo che l'effetto era "orso del circo sul monociclo", così buffo che ti faceva pensare "dai, vabbè, ma ora si rompe", così assurdo che solo mio padre poteva inventarselo.

Questo lungo, lunghissimo post finisce qui, anche se potrei scrivere che, fondamentalmente, quello che mi fa più male e mi confonde tantissimo le idee è che in realtà non so davvero chi mi manchi: sono passati dieci anni e io ho fatto talmente tante cose, talmente tanti errori, talmente tante scelte e talmente tanti passi avanti che non so che rapporto avremmo adesso. Avrebbe approvato? Ci parleremmo ancora? Sarebbe felice e fiero di me? Mi avrebbe diseredata? Non lo so, non so come sarebbe stato essere sua figlia a trentatré anni, perciò preferisco non pensarci e ricordare com'era esserlo a tre, tredici e ventitré.

P.S. Ah, l'azzurro era il suo colore preferito.

6 commenti:

  1. Bello questo post. Mi ha commosso...
    Io non li avrei 31 ricordi con mio padre da raccontare... ero così piccola.
    È un dolore che resta dentro anche dopo tanto facile capacitarsi della perdita di un genitore così prematura, resterà sempre nel cuore. Anche io spesso mi chiedo come sarebbe stato il rapporto con mio padre, cosa avrebbe pensato di me, ma ho tanto l'impressione che non sarebbe stato facile.
    Ti abbraccio forte
    P.S. Sai che condividiamo la passione per le serie medical?

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Cara, un abbraccio anche a te.
      Non mi stupisce che si abbia un'altra (anzi, altre due) cosa in comune!
      A presto

      Elimina
  2. Abbracci, baci, ancora abbracci e ancora baci.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Io me li prendo tutti...e li restituisco uno per uno. <3

      Elimina