sabato 14 novembre 2015

Chi muore si rivede


Non scriverò di Parigi.

Questo non vuol dire che, come tutti, non sia stata sveglia fino a notte fonda e non stia seguendo notizie, aggiornamenti, giornali.
Non sono abituata alle dirette TV (perché a casa mia la tele non c'è) e ieri sera, qui da mamma, sembravo in trance. Credo che la mia bella autoreferenzialità da occidentale abbia fatto il suo lavoro, che gli ormoni da trentaquattrenne abbiano tremato all'idea che il mio corpo possa un giorno mettere al mondo un figlio in un posto del genere, che la paura di una guerra alle porte (alle mie, di porte, perché altrove c'è già da anni) abbia giocato a sfavore della mia notte di sonno.

Ma, di Parigi, non scriverò.

Questo post è in canna da un paio di giorni, ho sognato mio padre martedì e mercoledì e mi ero ripromessa di scriverne se lo avessi sognato una terza volta. Giovedì non si è presentato, venerdì, ovviamente, sì.
Era moltissimo tempo che non capitava, forse da prima dell'anniversario di luglio e, a dir la verità, non mi mancava affatto.
Però, come sempre succede quando la mia vita è sotto prova, quando le cose attorno a me stanno cambiando (anzi, stanno provando cambiare), quando ci sono nuove possibilità ma non è ancora detto che saranno per me, lui torna.
Come se dovesse controllare, come se sentisse il bisogno di starmi accanto, di dire la sua, ma anche di rallentarmi, zavorrare i miei passi, distrarmi dagli obiettivi. Quando lo sogno non sto bene, perché a differenza del passato non ho l'illusione che sia ancora vivo, anzi, so benissimo che verso la fine del sogno ci sarà il momento dei saluti: uno strazio senza fine, fatto di abbracci, porte aperte e buie nelle quali lui entra... e sparisce.

Quindi, la prima notte ho sognato che ci prendevamo un caffè a casa, in cucina, in una mattina d'autunno. Poi uscivamo dalla finestra di camera mia per guardare una vicina che si sposava, accompagnata all'altare da suo papà, su una vespa rosa addobbata con bacche arancioni e fiori bellissimi.
La seconda notte eravamo in centro, nei vicoli, e lui voleva a tutti costi un gelato. Arrivati in gelateria il suo gusto preferito non c'era. Scena isterica. Del resto, il gusto "braccialetti", una sorta di crema rosa piena di stelline colorate, io non l'ho mai visto.
La terza notte (quella passata) eravamo a Parigi, ai piedi della Tour Eiffel. Io, come sapete, a Parigi non sono mai stata, ma nel sogno credo ci abitassi addirittura. Ricordo che camminavamo svelti, arrampicandoci sulla struttura di ferro della torre, scappando da bombe e spari, cercando di metterci al sicuro.

Verso la fine del sogno, in un piccolo cortile, in mezzo ad amici e parenti riuniti, come al solito ci abbracciavamo.
All'inizio non riconoscevo il suo corpo, ero a disagio. Poi un odore, la mia mano che si alza e gli carezza la nuca, lo stomaco che esplode e il pianto che comincia ad uscire, rumoroso e inarrestabile, mescolato ai singhiozzi di lui e a quelli di tutte le persone attorno a noi, finalmente consapevoli che non tornerà mai più.
E' strano tutto questo, perché nella vita di ogni giorno non posso dire che mi manchi molto. Non mi mancava dieci anni fa, tanto meno mi manca adesso.

Ma mi è venuto un dubbio: mi è venuto il dubbio che mi manchi nel futuro. Che l'idea di conquistare qualcosa, di iniziare un percorso nuovo, di proiettare la mia vita un po' più in là, mentre la sua resta ferma a quel maledetto luglio, proprio non mi vada giù. Almeno di notte.

P.S. Nella foto la sua pianta di caffè, con i frutti verdi, i frutti gialli, i frutti rossi e le bellissime foglie lucide. E forti.

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