domenica 1 novembre 2015

Effetto loto

Il Festival è finito. Anzi, tecnicamente finisce tra mezz'ora.

Stasera c'è la festa con la consueta foto di rito sullo scalone, da domani si torna alla normalità.
Chi mi conosce sa che questi dieci giorni non sono mai semplici per me: passo la metà del tempo a non sentirmi all'altezza di niente e di nessuno, mi affanno nel tentativo di riuscire a vedere qualche laboratorio interessante tra un turno e l'altro, mi fiondo alle conferenze appena posso e buco molte delle occasioni mondane super frequentate dagli altri animatori.
Non sono persona da folla, con il mio prossimo sto bene, ma sempre per questioni di autostima faccio fatica a trascorrere intere serate in mezzo alla gente. A tanta gente. Più invecchio più peggioro, ma va bene così.

Detto ciò, il Festival della Scienza 2015 mi è piaciuto da matti, come non mi accadeva da anni. Una questione di aria, di tranquillità, di tempo gestito bene. Una questione di Equilibrio e mai parola chiave fu più azzeccata di quest'anno.
Nel laboratorio dove ho lavorato c'è stato un afflusso costante e gigantesco di visitatori: tante persone, molti bambini, scuole, famiglie; tutti educati, curiosi, simpatici, pronti a fare domande, a ridere per le battute, ad adattarsi.
Gli animatori con cui ho diviso i turni sono stati splendidi e non avrei potuto chiedere di meglio, compresi i ragazzi delle superiori che ci hanno assegnato come supporto: uno più bravo, disponibile e serio dell'altro.
Dal punto di vista della pubblicità, a sto giro i manifesti erano ovunque, c'erano persino il banner video sul grattacielo e gli annunci in metro. Poi, "l'elefantino che fa pipì sull'asterisco" a me è piaciuto un sacco, certamente più del "piccolo astronauta fallico" di tre anni fa.

Ovviamente gli ultimi dieci giorni non sono stati solo di Festival, ho continuato con i laboratori in altre sedi, con il corso di francese, con la solita vita insomma, anche se avrei voluto riuscire a scrivere di più.

Oggi, giornata senza turni, mi sono goduta la mia città e il mio Festival, esattamente come piace a me. Ho corso cinque chilometri nel sole, fatto colazione con caffè e girella all'uvetta, pranzato con mamma, girato per il mercatino dell'antiquariato (dove ho scovato, udite udite, la zuccheriera fungo che mancava alle mie tazzine fungo) e ascoltato una conferenza.

Ecco, quella conferenza è stata uno spettacolo e una coincidenza assurda: mentre passeggiavo in città ho trovato, per terra, questo biglietto (è un periodo così), una serie di appunti nei quali compariva il nome di Stefano Mancuso, autore per nulla nuovo nella mia libreria (ho già scritto qui di un suo libro che ho letto e amato). Appena ho visto il nome sul foglio mi si è accesa una lampadina: forse c'è una conferenza al Festival! Esatto, alle 16 iniziava Robot come piante, nella sala del Maggior Consiglio. Erano le tre e mezza e con calma ci siamo avviate, siamo riuscite a sederci comode davanti e ci siamo godute quasi due ore di dialogo, se così si può dire, tra Stefano Mancuso e Barbara Mazzolai.

Il tema, ovviamente molto interessante per me che adoro le piante e lavoro con i robot, è stato affrontato in maniera semplice, toccando argomenti complessi e mettendo in campo un sacco di esempi affascinanti, utili per spiegare il livello di "coscienza" dei vegetali, la loro sensibilità, la capacità di interazione tra piante diverse, la complessità di questo mondo spesso ritenuto inferiore a quello animale ma, in realtà, molto più avanzato. Come mi capita sempre, mi sono immedesimata e stavolta non l'ho fatto con un personaggio di un libro o con un attore, ma con un fagiolo, una mimosa, un tiglio. Ho imparato che le piante non amano essere toccate, che sfuggono l'ombra delle altre piante ma non la propria, che ascoltano volentieri tanti tipi di musica o meglio che percepiscono perfettamente i suoni e in particolare rivolgono la loro crescita verso quelli intorno ai 200 Hz. Perché? Perché è la frequenza dell'acqua. Le piante non possono fuggire da dove sono (sono esseri sessili...come mi sento io nella maggior parte del mio tempo) e per questo devono approntare molte strategie di difesa; alcune di esse hanno comportamenti sociali, come i girasoli che crescono bene se in comunità, le radici di un albero tipo il tiglio hanno più apici dei neuroni presenti nel cervello umano...e potrei continuare all'infinito.

In realtà, anche tutta la parte tecnica dedicata all'applicazione delle caratteristiche vegetali agli studi di robotica mi è piaciuta molto. Stampa 3D, automazione, scienza dei materiali: pensare che un robot possa essere costruito ispirandosi ad un'abilità vegetale mi sembra meraviglioso.
Trovate qui molte info utili sul progetto Plantoid, ma penso possa essere buona cosa cominciare credendo nelle piante e nelle loro enormi capacità adattive. Il loto completamente idrorepellente, in grado di mantenere sempre pulite le foglie nonostante viva in acque putride, è e sarà per sempre mio maestro.

5 commenti:

  1. Ora che ho finito di leggere le tue parole, penso che mi piacerebbe essere ua pianta

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  2. Sentirsi all'altezza... è una cosa che mi chiedo spesso anch'io... e poi ho capito che la cosa più pesante è non sentirsi all'altezza, non tanto degli altri, perché magari considerati migliori, più bravi, più capaci, ma piuttosto della me che vorrei essere, di quella che potrei essere se... se studiassi di più, se mi impegnassi di più, se fossi più determinata, se fossi più magra, più in forma, più spiritosa, più leggera, se, se, se...
    Alla fine, imparare a vivere bene nel proprio corpo, nella propria vita, nel proprio "costume", imparare a coltivarsi, ad apprezzarsi e a valorizzarsi per quello che si è e a fare di noi comunque il meglio possibile, ma non il meglio in assoluto, è una ricerca continua e una grande conquista che può permetterci di stare bene in ogni circostanza.
    Un abbraccio forte
    Francesca

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    1. Hai proprio ragione. A me sembra sempre di rimanere un passo indietro, non è detto che sia un male, ma in molte circostanze è penalizzante, soprattutto nel lavoro. Ti abbraccio

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    2. E' una sensazione che conosco... molti passi indietro, a volte.
      Ma chissà che non ci faccia scoprire strade che altri non hanno visto perché troppo impegnati a correre avanti.
      Baci

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