lunedì 1 maggio 2017

Who made my clothes?

Che avrei scritto questo post lo avevo mezzo annunciato la settimana scorsa.
Ci ho riflettuto su ancora un poco e mi sono decisa: ho pensato che, nonostante la grande quantità di condivisioni più o meno autorevoli sul tema, valeva la pena di dire pure la mia e non perché abbia un punto di vista originale, tanto meno indispensabile, ma perché scrivere della Fashion Revolution serve innanzi tutto a me, per mettere in ordine le cose che ho in mente.

Quindi ecco il post sulla settimana della moda sostenibile, finita giusto ieri, mentre mangiavo prodotti a km zero in un agririfugio super green, raggiunto prendendo prima il treno e poi camminando a piedi. Cosa c'entra? C'entra eccome e ora ve lo dimostro.

Inizio con i link utili per capire un pochino di più che cosa si intenda per Fashion Revolution Week:
- Sito ufficiale del progetto (o forse dovrei scrivere del movimento, perché di questo in fondo si tratta).
- Video di Carotilla (se non sapete chi sia fatevi un giro sul suo canale, è piacevole, spesso regala buoni consigli se si ha intenzione di fare un viaggio a New York e in tante occasioni ha parlato del tema moda sostenibile).
- Video di The Bluebird Kitchen (blogger che si occupa principalmente di cibo, ma non solo: questo e altri video lo dimostrano bene. Date un'occhiata anche al suo bellissimo sito).
- Pagina di Marina Spadafora, una delle più grandi esponenti italiane (forse la più grande?) del mondo della moda etica, tanto da essere art director di Auteurs du Monde.
- Sito del documentario che mi ha aperto (ulteriormente) gli occhi su questo tema. In effetti, a onor del vero, ho visto The True Cost quando già camminavo sul sentiero della sostenibilità nel campo dell'abbigliamento: stavo cercando di informarmi meglio e questo film mi ha dato una sberla a cento chilometri all'ora (lo trovate anche su Netflix).

Ci sarebbero altri mille link utili che si occupano attivamente di moda etica, di negozi in cui comprare, di realtà piccole e medie che vale la pena sostenere. Non credo però di essere abbastanza preparata per dare consigli, appena l'anno scorso condividevo questo mio post, di strada nuova ne ho fatta tanta, ma credo di poterne e doverne fare ancora moltissima.

A proposito, quali sono le mie azioni quotidiane (o quasi) per sostenere la causa della Fashion Revolution? Concludo con una sorta di tavola dei comandamenti che non ha davvero nulla di straordinario e che leggerete quasi uguale in qualsiasi altro posto cercherete informazioni su come intraprendere la via della consapevolezza nell'ambito della moda sostenibile. Io, quello che posso dirvi dal profondo del cuore è che mi sento infinitamente meglio da quando ho iniziato questo percorso e davvero non credo tornerò indietro facilmente.

Mangio sano e faccio attenzione a quello che metto nel piatto (per salvaguardare la mia salute e quella del mondo in cui vivo), cammino nella natura ogni volta che posso, perché mai dovrei finanziare, comprando una semplice maglietta estiva, chi non presta ascolto ai diritti delle persone e dell'ambiente?
Ecco il mio decalogo:

1. Compro meno (e per meno intendo MOLTO meno)
2. Compro solo dopo aver controllato in tutti i posti a me accessibili (mail al customer care compresa) la provenienza dei capi e le informazioni sulla loro produzione. Se un brand è sostenibile state pur certi che lo scriverà ovunque potrà. Per contro può succedere che certe marche si dichiarino etiche e poi non lo siano granché: in questi casi fatevi aiutare dal prezzo. Se qualcosa costa poco, molto probabilmente ci sta rimettendo qualcuno (leggi l'operaio che produce il vestito e l'ambiente che paga costi altissimi).
3. Scelgo il più possibile prodotti Altromercato, perché sono certificati in maniera chiara e sicura, anche per quanto riguarda, per esempio, la lavorazione, le stoffe e le materie prime. Quando i capi di che trovo nelle Botteghe Solidali non incontrano il mio gusto cerco negozi di cui mi fido, dove so di poter chiedere informazioni su quello che sto acquistando, oppure mi rivolgo direttamente al magico mondo del vintage, che mi regala sempre grandissime soddisfazioni.
4. Non entro più nei mega store di fast fashion. Non è stato difficile come pensavo, anzi, nemmeno all'inizio.
5. Organizzo scambi di vestiti con le amiche e, ogni tanto, mercatini dove posso contemporaneamente vendere ciò che non indosso e trovare quello che cerco sul banchetto di qualcun altro.
6. Se un vestito che ho nell'armadio non mi piace più ma è ancora in buono stato provo a modificarlo, di solito con l'aiuto di mamma, per renderlo di nuovo di mio gusto.
7. Quando compro cerco di acquistare con la testa e non con la pancia, per due ragioni: perché molto probabilmente sto spendendo più di quanto di solito investivo in un unico capo di abbigliamento e perché quello che compro voglio che mi duri parecchio. Per questa ragione, di solito, evito lo shopping compulsivo e scelgo colori e/o fantasie facilmente abbinabili.
8. Stabilisco dei punti fermi: i jeans di Par.co, per esempio, perché so che mi stanno bene e, nell'attesa di trovare qualche altro brand di denim con prezzi così buoni, sono il mio porto sicuro.
9. Mi affido all'handmade ogni volta che posso. Ho la fortuna di avere moltissime maglie di lana filate da mia mamma, non porto camicie, la questione jeans è risolta (vedi punto 8), abitini e cappotti li scelgo rigorosamente vintage, perciò per quanto riguarda magliette e t-shirt mi butto sul fatto a mano. Anche in questo caso so dove rivolgermi.
10. Sono indulgente con me stessa. Non mi riesce facile, tutt'altro, chi mi conosce sa che ogni occasione è buona per autogiudicarmi. Però ci sono ancora capi che non riesco a comprare in maniera completamente sostenibile: abbigliamento tecnico, scarpe e intimo sopra a tutti. Per quanto riguarda il primo caso quando posso scelgo Patagonia, ma le magliette usa e getta per camminare e/o correre non posso proprio permettermele. Idem per le scarpe: cerco il fatto a mano o il prodotto etico ma non sempre lo acquisto, a volte perché è troppo costoso, a volte perché semplicemente non c'è. L'intimo è, infine, l'ultimo tasto dolente: non trovo nulla che non sia o Amish o costosissimo e, per ora, non sono disposta né a farmi suora né a rubare per comprarmi le mutande.

Ecco, questo post è chilometrico, immagino che nessuno sia riuscito ad arrivare fino a qui, in caso affermativo grazie infinite perché è un argomento a cui tengo molto e a cui mi dedico altrettanto. Prossimo obiettivo: fare acquisti in previsione, ovvero non trovarmi improvvisamente senza giaccone pesante in pieno inverno e senza soldi per comprare il piumino tre in uno di Patagonia.

2 commenti:

  1. Bellissimo post, Elena. Ti ammiro moltissimo per le tue scelte e vorrei tanto riuscire a farlo anche io. Ci ho provato, ma ho fallito miseramente. Ci riproverò, partendo dal punto uno, che poi è la chiave di tutto. Grazie!!!

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  2. Sì, con il punto uno sei già a metà dell'opera!

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