giovedì 17 settembre 2015

Cinque funerali e un matrimonio

L'autista del matrimonio dei miei genitori era senza gambe.

In un certo senso questo post potrebbe pure finire così, un incipit del genere sarebbe più che sufficiente pure per aprire e chiudere un romanzo.
In realtà credo andrò avanti, anche se è giovedì e sono molto in anticipo rispetto al solito. Domani però parto per Trento in "missione laboratori" e la domenica la vorrei dedicare a scrivere per lavoro e a riposarmi: sono giorni pieni di cose e di pensieri, è necessario trovare tempo per me, per una camminata, per un libro, per un'ora di coccole al mio corpo sempre più stanco e sempre più diverso da come lo ricordavo.

Quindi, dicevo, l'autista del matrimonio dei miei genitori era senza gambe. Se avete messo su la stessa faccia inebetita che ho fatto io quando mia madre mi ha raccontato questa cosa non sentitevi soli: è normale. Naturalmente la prima domanda (anzi, la seconda, subito dopo a "Ma mi pigli per il culo?") è stata: "ma come faceva a guidare?". Semplice, con i comandi manuali.
Appurato questo dato importante, ci sono un sacco di altre notizie interessanti sul matrimonio che mi ha dato i natali. Vediamo di analizzarle, anche perché probabilmente si spiegano tante cose.

Oltre all'autista dimezzato, meritano una menzione speciale gli invitati. 11 (undici). Sposi compresi.
Mamma, papà, rispettivi genitori, zio, zia, zio acquisito, autista e fotografo. Sì, perché al momento di andare al pranzo che fai, lasci a casa l'autista che ha perso le gambe nel greto del fiume, saltando su una mina inesplosa, in pieno dopoguerra, mentre giocava con papà? No, non puoi. Per quanto riguarda il fotografo, invece, la sua presenza al banchetto nuziale pare sia stata una sorpresa: finita la cerimonia, alla domanda "dove andate a mangiare?" mia madre interdetta cercò un suggerimento nello sguardo di mio padre, che, preso dall'entusiasmo, non seppe rifiutare la richiesta del fotografo, avanzata unicamente per poter fotografare il consueto taglio della torta. Che non c'era.
Nell'album di nozze, infatti, alla fine delle pagine, dopo il classico scatto di rito ai calici incrociati, si vedono i miei che tagliano una specie di mini torta gelato recuperata all'ultimo minuto.

In verità, le stranezze (se vogliamo eufemisticamente chiamarle così) iniziarono ben prima, quando mia madre comunicò al prete della sua parrocchia che aveva finalmente deciso di sposarsi, ma non in chiesa.
"E perché mai, cara Maria?"
"Perché Giancarlo non è credente, è battezzato perché nato in piena guerra, ma non ha né Cresima né Comunione"
"Non c'è problema"
"Sì, ma con l'Eucarestia come facciamo?"
"Semplice, non gliela do"
"Ma Don, come fa a darla a me e non a lui?"
"E non la do nemmeno a te"
Dunque i miei si sono sposati in chiesa e non hanno preso l'ostia. Nada. Non so se gli altri invitati lo abbiano fatto, magari l'autista e il fotografo sì.

Questione vestito della sposa, complicatissima nei matrimoni normali, mostruosamente semplice per mamma e papà.
Uscirono insieme alla ricerca dell'abito adatto, lei ne provò uno, lui le disse "ti sta bene, prendilo". E lo presero.
Bon. Fine.
Così i miei si sposarono in beige.
Padre con completo a zampa d'elefante e cravatta. Marrone.
Madre con camicia e gonna a fiori anni settanta, capello corto, scarpe con il tacco basso. Marroni.
Bouquet bellissimo, pendulo, promesso in dono dalla nonna (paterna) e mai effettivamente regalato.
Se vogliamo dirla tutta, la prima scelta per l'abito della sposa furono un paio di pantaloni neri, ma mia nonna (materna) fece gentilmente sapere che in quel caso non avrebbe presenziato. Mio padre, invece, fermo davanti alla chiesa di un paesino in cui non lo conosceva nessuno, sotto il sole cocente del 10 di agosto, si allentò la cravatta nell'attesa della sposa e per tutto il tempo diede indicazioni ai passanti che, curiosi, gli chiedevano chi fosse il fortunato marito.

Dunque, ricapitolando, autista senza gambe, fotografo pronto a fotografare la torta che non c'era, abito a zampa per lo sposo, a fiori per la sposa. Meno invitati che a una festa delle medie, ma comunque più invitati del previsto.

Per chiudere con una chicca, la sera, dopo aver pranzato nel ristorante e salutato tutti i parenti, i miei tornarono a casa. Lì li aspettava l'operaio che stava mettendo su le porte e che con fare simpaticissimo li invitò a ritirarsi tranquillamente in camera da letto, senza curarsi della sua presenza, ma anzi offrendo loro un romantico barattolo di vaselina.
Mio padre, già allora pozzo senza fondo e ottima forchetta, prese dunque la solenne decisione di andare a cena fuori. Dove? Semplice, dove avevano pranzato (e dove, vedendoli arrivare, chiesero subito se avessero scordato qualcosa).

The End

P.S. Scrivere questo post ad alto tasso di ironia mi ha, in realtà, e più volte, riempito gli occhi di lacrime. Il titolo, va da sé, si riferisce alle persone della mia famiglia che non ci sono più. Cinque invitati su undici. Sposo compreso. Del fotografo, dell'autista e di due zii su tre, non ho più notizie.

10 commenti:

  1. Che belli i ricordi di cui siamo fatti e di cui ci alimentiamo, che belli i racconti, le scoperte, l'ironia e anche le lacrime che suggellano il valore che tutto questo ha per noi.
    Qualche affinità con il matrimonio dei miei... pochi invitati, grande sobrietà e tanto amore... e noi siamo figlie di tutto questo.
    Un grande abbraccio
    Francesca

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    1. Ironia prima di tutto e sentimento che la accompagna :-)

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  2. Parodi, quasi quasi la lacrimuccia viene anche a me, che ti leggo da sotto un palco in montaggio sperso in centro Italia. Grazie! :*

    Clara

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  3. Malinconico e divertente..sempre più brava Ele!!!

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  4. Pero' che fortuna poter avere tanti dettagli su un giorno cosi' importante. Che bello questo post, ti mando un abbraccio :)

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    1. Sì, una vera fortuna. Grazie, un abbraccio anche a te!

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