sabato 8 novembre 2014

Pititti e Menenni

Dopo il sogno assurdo della settimana scorsa, sviscerato accuratamente nelle opportune sedi, dove finalmente dopo secoli ho mollato gli ormeggi e mi sono lasciata andare e dove ogni più piccolo simbolo è stato interpretato, compreso e soprattutto accolto, sono andata al cimitero.
E' sabato e nella chiesa vicina credo ci fosse il catechismo, perciò accanto all'ingresso decine di ragazzini si chiamavano a gran voce e scherzavano alla luce del tramonto, una scena che strideva così tanto con il mio stato d'animo da farmi quasi sorridere. Una volta dentro niente neve, betulle spoglie, discese ripide e magri custodi, una volta dentro solo cipressi forti, mare all'orizzonte, milioni di crisantemi e l'atmosfera della luce quassù.
Non pensavo di rivedere cadaveri sdraiati sui mucchi di terra o donne in fuxia sepolte a metà, però una controllata ci tenevo a farla e, già che c'ero, anche un saluto al signore dietro al mazzetto di fiori gialli l'ho fatto volentieri. Vado raramente a trovare mio padre, di solito da sola, a piedi, passando dal bosco e tornando dalla costa, ma stasera era tardi e di rimanere chiusa dentro proprio no, non ne volevo sapere. Perciò sono salita con mamma esattamente come nel sogno, lei ha incontrato i soliti conoscenti freschi di lutto ai quali dispensare consigli e incoraggiamenti, io ho spolverato compulsivamente il mazzetto giallo di cui sopra una, due, tre volte.
Così, oggi che sono al paesello senza pc, che mi sono concessa un paio di chilometri di passeggiata piana (perché no, la schiena, delle salite, ancora non può/vuole sapere), che ho mangiato lo sformato di broccoli, che ho dormito avvolta nella copertina a quadri, che ho giocato con Agata, che ho fatto merenda con tisana e biscotti e che ho raccolto la foglia del giorno direttamente nel giardino incantato, ho deciso quale sarà il prossimo progetto instagram in partenza dopo #oneleafadayproject. Per ora le personali maratone che ho condotto sono questa delle foglie (che già mi manca al solo pensiero di terminarla, ma che penso di riuscire a rendere parte integrante della mia casa, in qualche modo che ancora non ho chiaro), quella dedicata ai colori (#fridayimincolorproject, che ha contato sette settimane di scatti, dedicati al giallo, al rosso, al bianco, al verde, al blu, all'arancione e al rosa e che penso finirà qui) e quella che non ha un punto di arrivo, che si occupa di libri e pantoni, che è partita per prima e che amo moltissimo. Quindi, dicevo, ho in mente un altro progetto e questa volta vorrei dedicarlo alle mie amate amatissime piccole cose. Una al giorno. Come le foglie. Per 99 volte. Ci ragionerò meglio nel tempo, ma l'idea è sempre quella di tenere accesa la vista e avere il cuore aperto, pronto a emozionarsi. Anche se tutto attorno a me dovesse andare di merda, sarò obbligata (da me stessa, per una volta) a trovare qualcosa di buono. Fosse anche un bottone rosso uscito per caso da una tasca, un gatto affacciato a una finestra, una macchia nera a forma di corvo sul finestrino del bus (lo ammetto, questa l'ho vista stamattina), un bicchiere di spumante per un brindisi importante, un bosco autunnale per un amico che ora non ce la fa.
Quindi, tra venti giorni esatti, si parte con questa nuova piccola avventura, che potrebbe chiamarsi #onelittlethingproject, ma visto che voglio sia mia mia mia, che più mia non si può, ho deciso che avrà il nome delle piccole cose di quando ero bambina: pititti. Per chi non lo sapesse, probabilmente avevo un futuro da linguista e non l'ho mai coltivato, perché, quando ancora quasi non parlavo, un buon modo per calmarmi era darmi delle cose piccole da separare da quelle grandi (che è esattamente quello che sto facendo, super concentrata, nella foto usata per questo post).
Le cose piccole erano i pititti (ecco il futuro da linguista: pititti...petit?) e quelle grandi erano i menenni (notare l'evidente onomatopea anche nella pronuncia: bocca piccola e stretta nel primo caso, grande apertura nel secondo). Questa sorta di fissazione dura ancora adesso, per certi versi, se un tempo trovare delle briciole di plasmon nel latte mi faceva accantonare sprezzante il biberon dichiarando "Pititti", oggi non berrei granché volentieri una spremuta non filtrata, nella quale galleggerebbero inevitabilmente numerosi fastidiosissimi pititti.
Ma i pititti sono anche buoni, sono le cose piccole e preziose di ogni giorno, che non dobbiamo mai smettere di cercare, perciò il prossimo progetto si intitolerà #onepitittoadayproject.

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