sabato 24 dicembre 2016

Natale arrabbiato


Musica.
Nei giorni scorsi ho pensato a lungo ai Natali di quando ero bambina. Di alcuni ho ancora le foto, di altri no. Ci sono quelle del gatto siamese seduto sotto l'albero, con la sua solita aria da "mi avete tutti rotto i coglioni", quelle con i pattini Fisher Price appena scartati e già indossati, quelle accanto alla Ferrari di Barbie e quelle con le mani affondate nel muschio del Presepe.
Non ho foto con i miei, non solo a Natale, proprio in generale.
Famosissimo, infatti, diventò l'aneddoto sulla mia presunta adozione: a scuola tutti portarono una foto del pancione, probabilmente in occasione di qualche festa della mamma, io non ne trovai nemmeno una e giunsi alla conclusione più pragmatica e ovvia. Ero stata adottata. Alla sera lo chiesi a casa, dove risero e mi dissero che no, non ero stata adottata, semplicemente ai miei non piaceva farsi fotografare. Punto.

Probabilmente per la medesima ragione esistono, in generale, poche mie fotografie negli scatoloni in fondo all'armadio e, se non sbaglio, delle feste di Natale alla Marconi non ne ho nemmeno una. La Marconi è il posto dove mio padre ha lavorato quando ero bambina, insieme a mio zio. Ogni anno veniva organizzata una serata natalizia per i figli degli operai e dei dipendenti, io e mia cugina partecipavamo sempre. Non ricordo con quale modalità si portassero a casa i regali, però ricordo benissimo che ero molto agitata in quel contesto e che quando rientrai con l'orso di peluche più grosso del mondo toccai vette di felicità mai più raggiunte. Di solito, i pupazzi che da bambini ci apparivano enormi una volta cresciuti sembrano improvvisamente di dimensioni normali, a volte persino modeste: ecco, quello no, quello è ancora l'orso più grande del mondo. Non l'ho mai gettato via, nonostante la polvere, nonostante sia stato la cuccia dei mille gatti passati nella nostra casa, nonostante ora sia una bomba di acari e pulci.

Io lo amo e sempre lo amerò.


Anche adesso, mentre scrivo, lui sta lì ai piedi del letto, con gli occhi languidi e il pelo marcio. Sì perché sono a casa di mamma, seduta in camera mia, con l'idea di terminare questo post iniziato ieri mattina e di sistemare un po' di lavoro per scaricare il più possibile la prossima settimana, data la mega gita in vista. Per ora non ne parlo, preferisco raccontarvela, come al solito, una volta vissuta: sentieri, rifugi, notti nel bosco e panorami meritano sempre un spazio tutto per loro.

Sono arrivata quasi alla fine di questo post e non so più dove sia finita la rabbia del titolo. Cioè, lo so, ma non ho voglia di tirarla fuori, perché è fatta di sentimenti mai provati fino a ora, come l'invidia o il desiderio di vendetta, indirizzati anche verso persone a cui voglio bene e a cui vorrei continuare a voler bene sempre, anche quando non riesco a percorrere la mia strada con la tranquillità che, lo dico forte e chiaro, MERITEREI.
Alla fine, però, è Natale, ho trascorso la mattina in un negozio che adoro, sono stata un'ora al vivaio, ho mangiato la mostarda e tra poco posso scivolare sotto le coperte con un libro. Ho il cuore leggero, aggrappato alle soddisfazioni e alle possibilità che spero diventino qualcosa di più, cosicché il grande salto che mi attende a inizio anno non si riveli, per la seconda volta nella mia vita, un enorme fallimento. La fiducia, quella grossa e vera, andrò a cercarla tra gli alberi.

P.S. Il libro in foto è "Eccomi" di Jonathan Safran Foer e qui potete trovare la mia recensione per A Casa di Cindy.




4 commenti:

  1. Spero che il nuovo anno ti permetta di trovare quello di cui hai bisogno e che meriti.
    Un grande abbraccio
    Francesca

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    1. Ti faccio lo stesso augurio Francesca! A presto e grazie

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  2. In bocca al lupo elena !!!
    P.s. le bombe erano strepitose, con.i mega datteroni,mamaaa miaaa!!

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