mercoledì 15 settembre 2010

L'isola che non c'è


Poche ore fa mi trovavo a parlare di obiettivi. Delle mie cosiddette isole felici, posti in cui mi rifugio nella spasmodica attesa che arrivi un momento di gioia, qualcosa in cui sperare.
Per scelta da qualche tempo ho deciso di non avere isole felici, ciò ha comportato numerosi cambiamenti e una inevitabile sensazione di sconforto davanti all'incertezza.
Non programmare, non puntare ogni cosa su una precisa giornata, su un atteso avvenimento, su una ricorrenza speciale, fa sì che tutto per me abbia un sapore diverso.
Sono costretta ad alzarmi alla mattina semplicemente perchè è così che si fa, perchè devo andare a lavorare, perchè è sorto il sole e stare a letto non ha senso. Però l'istinto sarebbe ben altro: sveglia che suona, dito che la spegne, fianco che ruota su se stesso, lenzuolo che si assesta, respiro che torna regolare.
Cosa serve per dare senso a una vita intera? Davvero basta un attimo come dice Qualcuno?
Io non lo trovo quest'attimo che basta...
Prima che decidessi che provare (senza riuscirci minimamente) a rilassarmi un poco e attendere fosse la scelta giusta, io posticipavo sempre la vittoria. Giornate intere trascorse unicamente nell'attesa della GIORNATA X, quella per cui valeva la pena fare sacrifici, stringere i denti, dare il massimo. Che se per disgrazia la GIORNATA X veniva male o saltava addirittura...che delusione! Che sconforto! Che rabbia!
Però ora non averla la GIORNATA X mi spiazza. Essere priva di isole felici non è da me.
Basterebbe credo sforzarsi un poco, prendere il buono da ogni cosa, non delegare agli altri e al futuro ciò che posso rendere bello da sola, adesso.
Ma non è per niente facile, anche se non ho nulla di cui lamentarmi e il solo pensare di non essere fortunata è una bestemmia.

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