martedì 28 febbraio 2012

Brucia


Chi non ha mai pensato "se dovessi salvare le mie cose, se avessi pochi minuti per trattenere con me oggetti e ricordi, cosa porterei via? Cosa strapperei, per esempio, alla furia del fuoco?". Io l'ho immaginato tante volte e domenica l'ho fatto.
Quando in questa notte di terrore, di rabbia, di impotenza e di dolore, ho dovuto scegliere, ecco cosa ho messo nel mio North Face sporco e stanco:
- il pc, con tutta il lavoro di una vita
- il carica batterie del cellulare
- un sacchetto di crocchette per la gatta
- una borraccia piena d'acqua
- le foto di papà e mamma da bambini, staccate dal muro, passando veloce in salotto
- i documenti più importanti
- la barca del nonno Luigi, fatta di fiammiferi e chiusa in una bottiglia
- la radio a galena di papà, raccolta dolcemente con le mani che tremavano, sotto la campana di vetro
- salamino, il mio cane di pezza
- la medicina di tutti i giorni
Con queste poche cose in un sacco ho chiuso la mia casa, ho voltato le spalle alla mia storia per salvare il mio futuro, ho chiuso le persiane in faccia a quelle maledette fiamme e ho pregato che bastasse.
Ho chiesto consiglio ai vigili del fuoco, stanchi, sconvolti dalla mancanza di idranti, atterriti dai sette (dico sette) bomboloni gpl addossati alle case compresa la mia, preoccupati per il fumo denso che metteva in pericolo i nostri respiri, impazienti di ricevere aiuto e autopompe piene d'acqua. Ho chiesto a loro cosa fare e loro mi hanno detto di andare. Abbiamo trascorso la notte in auto, nel parcheggio sulla strada, salendo a bagnare i nostri giardini a turno, in contatto costante coi ragazzi che spegnevano le loro case nel bosco, accanto al pompiere che si è visto quasi ammazzare dal coperchio di una bombola esplosa, un frisbee incandescente che attraversa gli alberi nella notte e si ferma a un metro da te.
Abbiamo aspettato il fuoco sulla strada, perché l'acqua a Vesima non c'è, il ghiaccio ha rotto i tubi, l'idrante non è mai stato istallato nonostante le richieste decennali e nel bosco senza acqua non si può entrare, si risparmia la poca che si ha e si aspettano le fiamme in strada, cercando di evitare l'incendio da chioma a chioma, che scappa veloce e passa da albero ad albero, da albero a siepe, da siepe a casa.
Non c'era nessuno con noi, nessuno che ci desse conforto, che aiutasse i pompieri, una donna coraggiosa che ha salvato il suo giardino con la famiglia ha trovato il tempo per preparare un caffè ai ragazzi, ma nessuno è stato mandato ad aiutare. Qualcuno a vedere c'era, i curiosi che rallentano con l'auto, che fanno la foto, ma nessuno è sceso. Non si poteva fare molto, questo io lo so e ringrazio chi era lì, le case erano poco in pericolo per fortuna, ma una parola di conforto ad un'anziana che piange, un sorriso a chi è terrorizzato, non saranno più belli di una cazzo di foto scattata col cellulare? Per fortuna che esistono gli amici, vicini e lontani, che bagnavano i nostri cortili, scrivevano e chiamavano pieni di affetto, che ancora oggi si informano sulla nostra terra e sulla nostra salute...ma chi dovrebbe organizzare tutto questo, chi sta seduto sulle sue poltrone, non mi venga a parlare adesso di boschi da pulire e impianti da sistemare. Quella notte ci siamo arrangiati e fatti battute tra noi, chi si accendeva una sigaretta dietro l'altra e chiedeva "da fastidio se fumo?", i pompieri stessi che cercavano le uova da fare "al tegamino" sul coperchio della bombola esplosa, le donne che al mattino decidevano di rispettare i propri impegni in città coperte di fuliggine senza poter fare una doccia. Alle 5 e mezza la nostra lunga notte è finita, attraversando la salita con bibbi tra le braccia ho pensato a tutto quello che sarebbe potuto succedere, sono entrata in casa con il fumo nei polmoni, gli occhi rossi e le gambe rigide e ho adorato non riuscire a dormire per quel rumore fortissimo: i canadair che salvavano i miei boschi. Gli elicotteri che passavano su di noi facendo tremare le pareti e bagnavano tutto: gli alberi, i pollai che avevano urlato una notte intera, i prati, gli orti, i fienili e i giardini, le nostre teste uscite a guardare l'erba nera, le auto diventate un rifugio puzzolente.
Ora la mia Vesima è scura, è ferita, è arrabbiata. Si riprenderà, ma i lecci centenari non me li ridarà più nessuno, la paura e i muscoli tesi staranno con noi chissà per quanto ancora, i danni dovranno essere riparati e il tempo aiuterà, come sempre, ma nessuno dovrà scordarsi mai che negli zaini sono stati infilati ricordi, necessità e affetti per colpa di chi alle vite degli altri non pensa mai.

p.s. La foto è la mia Vesima, con i suoi alberi colorati.

11 commenti:

  1. Che amarezza quando brucia un bosco, e sopratutto che rabbia sapendo che dietro ad un incendio boschivo c'é quasi sempre la mano scellerata di qualche uomo (inutile)...
    Coraggio!
    Luca B.

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  2. Il bosco brucia
    ed io con lui.
    Brucia di dolore
    tra fiamme divoranti
    nel vento impietoso.
    Tronchi, foglie, rami,
    nidi, rifugi, tane.
    Tutto scompare
    nel muto grido di terrore
    di chi non puó parlare.

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  3. Che tristezza Elena, quanta amarezza e che disperazione dev'essere dover raccogliere la propria vita in uno zaino e restare impotenti ad osservare.
    Spero che tu stia meglio ora,anche se la rabbia rimane.
    Un abbraccio grande

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  4. Già, è stato difficile...stavo giusto scrivendo come sto, mi leggerai tra poco! Grazie dell'affetto!

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  5. Davvero drammatico, per le persone e per la natura.

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