martedì 16 ottobre 2012

Ombre lunghe/Io, Robot

Sono stata a lungo indecisa sul titolo da dare a questo post, alla fine non ho scelto.
Gli argomenti che mi frullano per la testa sono due e sono opposti. Stare e andarsene.
Stare significa vedere cose meravigliose, godere di un'atmosfera conosciuta e rassicurante, annusare l'aria, sedere nel mio giardino incantato e vivere nella luce. Andare significa mettere in moto la vita, inciampare, provare, superare ostacoli e raggiungere obiettivi.
Entrambi gli aspetti mi appartengono più che mai in questo periodo, penso però che sia bene iniziare dall'oggi, dopo tanti anni di yoga credo sia importante cominciare dal "qui e ora".
Oggi, ultima giornata stancante ma non di pieno delirio come saranno le prossime, ho ancora avuto il tempo per correre e godere del mio posto.
Con il sole alle spalle avevo l'ombra lunga. Stringendo l'elastico della coda di cavallo, sistemando le cuffiette nelle orecchie, partendo con la prima ampia falcata (per quanto possa essere ampia una mia falcata), ho cominciato a muovermi con la radio che passava Bette Davis Eyes. Non poteva capitarmi di meglio.
L'ho cantata tutta ed è rimasta con me, guardando i gabbiani posarsi sull'acqua, il fotografo accucciato sulla battigia preparare il cavalletto e l'edera verdissima arrampicarsi sulle palme. Al giro sullo sterrato ho abbassato la lampo della giacca e ho aumentato il passo, il sole in faccia e i pescatori controluce, come quei giochi da Settimana Enigmistica in cui bisogna riconoscere la silouette giusta tra dieci forme tutte diverse ma quasi identiche e nere. La luce forte, il mare invernale, la casa nuova che mi aspetta. Settimane in arrivo che prevedono ore belle con lo Sminatore, ore di analisi al museo, ore di attesa per l'arrivo di mobili e operai, ore di turni al circolo, ore di interpretazione risultati, ore di redazione report, ore di esami, ma, soprattutto, ore di Festival.
Io, Robot e dal "qui e ora" si passa diretti al futuro. Un laboratorio che ancora non so, che ho assaggiato appena, ma che sicuramente, come ogni anno, sarà stimolo, emozione, commozione, paura, preoccupazione, stanchezza, dannazione, soddisfazione, tristezza e mille altre cose insieme. Un laboratorio che sta nella foto quassù e che magari mi divertirà.
Un dopo e un pre in un durante, come domenica alla Festa della Zucca, dove Vesima ha accolto il mio futuro, gli amici che vivranno attorno a me e che hanno conosciuto il mio posto proprio poco prima che lo lasciassi.
Ora, mentre scrivo queste righe, tra un borsone per dormire sul divano e un pensiero a chi mi è vicino sempre, ho trovato un elenco, uno dei miei tanti elenchi, scritto la primavera scorsa per andare dal neurologo, in un periodo in cui il futuro, questo futuro, era ancora così lontano e spaventoso.
L'elenco, a caratteri piccoli sulla vecchia agenda arancione, raggruppa i sintomi che avrei dovuto dire al medico che mi avrebbe visitata quel giorno, per cercare di capire un po' che cosa stesse succedendo al mio maledetto collo. Adesso che mi sembra passato un secolo, che la paura, lo stordimento e l'incertezza si rifanno sentire solo ogni tanto, quando la schiena si tende e la nuca tira, mescolo il presente con il futuro, le ombre lunghe con i robot.


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