giovedì 16 maggio 2013

Pelle d'oca

Ho già usato un'immagine simile qualche anno fa, in un post intitolato "Un giorno Perfetto". E' una foto scattata dal terrazzo di Campopisano, quando abitavo lì, una sera di fuoco meraviglioso, di quelle che ti tolgono il fiato appena socchiudi la portoncina di metallo, di quelle che ogni secondo che passa la luce cambia, che ogni foto che scatti è più bella della precedente, che chiameresti tutti a vedere ma sei sola in casa e non ti resta che godere dello spettacolo raro, prezioso e potente che la natura ti ha offerto.
Oggi questo scatto ha un significato in più, anzi, in meno. Pressappoco al centro dell'immagine c'è una torre, un tubo lungo con un cappello rovesciato sulla cima, quella era la torre dei piloti. Tempo presente, tempo passato. La torre è crollata pochi giorni fa, un incidente nautico ancora non spiegato che ha causato morti, feriti e per ora il mare non ha ancora restituito l'ultimo corpo.
Non scrivo per entrare nel merito della tragedia, né per cercare colpe, attenuanti e fare ipotesi. Scrivo perché la mia città in questi giorni ha reagito in mille modi diversi e io, che ormai vivo nel suo cuore, che abito nei vicoli, che faccio la spesa grossa in Piccapietra e quella piccola tra le bancarelle del Ducale e quelle del Porto, ho osservato i movimenti di Genova davanti a tutto questo dolore.
Le sirene la notte dell'incidente, le ricostruzioni minuziose degli ex portuali in sala d'attesa dal medico la mattina dopo, i mugugni degli anziani in Piazza, le locandine spesso agghiaccianti e per me incomprensibili dei quotidiani, le bandiere a mezz'asta, le parole del Sindaco, la folla davanti a Palazzo S. Giorgio la mattina del disastro. Tante cose mi hanno fatto riflettere, una di queste è la nuova definizione coniata per l'occasione: "Gli Angeli del Porto". Dopo "Gli Angeli del Fango", nati l'anno scorso all'epoca dell'alluvione, si sentiva forse la necessità di stuzzicare la gente con un nuovo nome evocativo dal profumo un poco biblico? Era davvero necessario? Perché, non basta sapere che ci troviamo davanti a delle persone, a dei padri, a dei fratelli, a dei fidanzati, a dei mariti, a dei figli, a degli amici, che sono morti lavorando? Non sono angeli, sono lavoratori. Erano lavoratori. Come lo era Albert Kolgjeja, l'operaio morto l'8 novembre 2003 durante la costruzione del Galata Museo del Mare: per lui nessun funerale di stato, nessun "angelo" al posto del suo nome, solo una sentenza cinque anni dopo la sua morte. Beninteso, non intendo dire che i ragazzi di Molo Giano non meritassero le transenne in tutta la città, la visita del Presidente della Repubblica, le centinaia di Forze dell'Ordine, i maxischermi, le sale stampa...tutt'altro, penso invece che meritassero più rispetto. Il silenzio per esempio, lo stesso silenzio con cui i sommozzatori continuano a cercare l'ultima vittima ancora dispersa, lo stesso silenzio con cui la famiglia ha ringraziato per queste immersioni che non si arrendono, lo stesso silenzio degli striscioni comparsi qua e là per ricordare questi lavoratori morti mentre svolgevano la loro attività in una notte di maggio. Vivendo in una città in cui si è giocato a calcio il giorno dopo l'incidente e in cui al Porto i turisti con la macchina fotografica al collo non chiedevano dove fosse l'Acquario, ma domandavano la strada per Molo Giano, l'unico suono che sono riuscita a tollerare sono state le navi. Il lungo saluto di balena che oggi alle 18 mi ha tolto il respiro e fatto salire le lacrime agli occhi, un addio gridato da quei bestioni che ogni giorno passavano davanti alla torre e che, ironia della sorte, del suo crollo sono anche i responsabili. Quando le navi suonano a Capodanno mi viene sempre la pelle d'oca, ma di solito le urla, i brindisi, la festa si uniscono alla sirena...questa sera, al boato, si è unito solo un rispettoso silenzio.

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