venerdì 3 maggio 2013

Sul ponte sventola bandiera bianca

Sul ponte sventola bandiera bianca, la mia.
Una giornata iniziata alle 5.30, doccia, moduli, attesa, tubo. Ennesima risonanza magnetica dell'ultimo anno.
Per fortuna, in questo caso, qualunque cosa sia, la preoccupazione è minore dell'ultima volta che mi hanno infilata nel tunnel e bombardata di rumori per un po'.
Per capire cosa è successo occorre fare un passo indietro e tornare a qualche giorno fa, mentre un passo lo facevo in avanti...e crack.
Parrebbe menisco rotto. Il sinistro ovviamente.
Come sia capitato non lo so, nessuna torsione, nessun trauma, nessun salto o brusco movimento...solo un passo avanti. E qui le metafore si sprecano.
Non ci sono certezze, il medico che mi ha vista propende per una rottura, magari piccola (o così spero io), soprattutto dal momento che continuo a sostenere di non aver dolore né eccessivo gonfiore. Il problema è che il ginocchio non mi regge, scricchiola, si blocca, e dentro nasconde improvvisamente un bilia pronta a rotolare contro le pareti a ogni falcata. Quindi si aspetta come al solito l'esito di un esame e poi si vedrà...io punto, nel caso, a operarmi dopo l'estate; per ora nella mia testa resta salda la speranza che sia solo un acciacco passeggero.
Dopo il tubo colazione, bus, ufficio e telefonata a mamma, che sta bene, l'operazione sembra riuscita e pian piano migliorerà. Messa giù la cornetta, ritirati i campioni, aperto il report del giorno da correggere e modificare, altra telefonata: sempre mamma. Questa volta non sono buone notizie, una persona a cui tengo tanto, che poco meno di tre anni fa ha celebrato l'importanza della mia indipendenza con dei doni meravigliosi, sta male, ma male male, quel male che a volte non si può tornare indietro. Io, a questo punto, mi sono lasciata piangere e lo so che non si dice così ma è quello che ho fatto: mi sono data il permesso di sentire tutto il dolore del mondo per quel seme trasportato dal vento che ora sta lottando per rimanere qui, nel punto preciso della Terra dove è caduto. Così mi scrisse lui.
E allora io che non credo prego, prego che ce la faccia, prego che la sua genialità abbia ancora tanto spazio per esprimersi, che la lettera così bella appesa in salotto resti di qualcuno a cui posso ancora fare un cenno col capo mentre passo accanto alla cattedrale o invitare a casa per un saluto come pochi mesi fa.
Spero che possa leggere un giorno queste mie parole di ringraziamento e di incoraggiamento, forti come quelle che mi dedicò quando avevo più bisogno di credere nelle mie possibilità.
Lascio la palla ad uno degli autori che qui cito più spesso, non perché sia il mio preferito, ma per il profondo significato che le sue scritture hanno avuto per me negli ultimi anni, perché la prossima settimana lo vedrò qui nella mia città e perché cielo e radici sono i soggetti che mi fanno pensare di più a questo amico in difficoltà:
"...Amo gli alberi. Sono come noi. Radici per terra e testa verso il cielo..." (Erri De Luca), una frase che sembra mia più di molte altre, nella speranza di rivederti presto e di fare due chiacchiere.
Ti saluto come fai tu:
empaticamente
Elena




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