mercoledì 12 giugno 2013

Una cattedrale di pioggia

Lunedì sono andata a S. Torpete, parrocchia a pochi passi da casa. C'era uno degli incontri di Paolo Farinella, Prete, come ama definirsi lui stesso. Il tema principale era la commemorazione di Don Andrea Gallo, in realtà gli argomenti affrontati sono stati tantissimi, complice anche la figura di Don Gallo, "così piena di cose da dire".
Io sono arrivata un pochino in ritardo, reduce da una seduta dall'osteopata, la seconda trascorsa sul lettino in un bagno di lacrime involontarie.
Vuoi il lavoro che sto facendo sul mio corpo, vuoi la circostanza di memoria in cui mi trovavo, vuoi i vari punti trattati, a S. Torpete le lacrime mi sono uscite chiaramente e me ne sono accorta bene.
Raccontando del giorno del funerale di Don Gallo, Farinella ha parlato di cattedrale di pioggia, un'immagine bellissima, secondo me, per descrivere la folla di fedeli fuori dal Carmine, riunita sotto al diluvio in un grande abbraccio attorno al suo prete. A questo proposito si è parlato del concetto di necessità, il bisogno di esserci il giorno delle esequie per poter salutare quel pezzo di noi che se n'è andato con Don Andrea.
Ripercorrendo la vita del suo amico, Don Farinella ha citato passi del Vangelo, aneddoti di gioventù, articoli di giornale alquanto datati, avvenimenti della scena ecclesiastica che io non conoscevo.
Sono atea, si sa, ma partecipare agli incontri organizzati a S. Torpete o leggere il prezioso blog di Farinella non c'entra nulla con la religione. C'entra con la cristianità e io a volte penso di essere molto più cristiana di tanti altri. "La persona è il suo messaggio, il suo agire, la sua coerenza e l’impronta che lascia, senza nemmeno sapere di lasciare qualcosa", ho parlato di concetti simili non molto tempo fa, quando davanti alla sensazione di non lasciare nulla di buono dietro di me mi è stato detto che non è così, che l'amorevole cura che metto nelle piccole cose ha il suo peso, marca la sua impronta. Forse è così, non so.
Nel memorandum pubblicato nel suo blog Farinella scrive "In nessuno come in Don Andrea ho visto sperimentato quanto ho scritto in un libro alcuni anni fa: l’altro come misura della propria identità; ognuno di noi scopre se stesso solo se è capace di conoscere e di riconoscere gli altri come diversi da sé perché solo la presenza dell’alterità mi permette di prendere coscienza della mia identità che si definisce a partire dalla differenza/diversità." Com'è vero...com'è vero che ci si conosce meglio guardandoci accanto agli altri, che non vuol dire facendo confronti (atteggiamento che io non smetto mai), ma significa camminando vicino a chi è differente da noi, osservando un altro passo, analizzando il nostro, cercando di comprendere in che modo strade tanto diverse finiscono per incontrarsi.
E, a volte, faticano a separarsi di nuovo.
Il momento che ha aperto i miei rubinetti e mi ha commossa in mezzo alla chiesa bella piena è stato quello dedicato a questo passaggio della Bibbia: "Le parole con cui il Dio sconosciuto si manifesta, in ebraico sono: «’èhyèh ‘ashèr ’èhyèh» che tradotto secondo le regole della linguistica testuale deve rendersi così: «Io sarò chi sono stato» e non «Io sono colui che sono» (Es 3,14)" e io, subito ho pensato a Erri che la mattina presto legge le sue scritture in ebraico antico, poi ho riflettuto su quelle parole e mi sono sembrate terribili. Non ho ancora capito come interpretare correttamente "Io sarò chi sono stato", non voglio credere che nel futuro mi possa aspettare solo quello che già ho avuto, quello che già ho fatto: ho davanti a me la sensazione di dover attendere il niente. Le cose goffamente costruite sino ad oggi sono davvero lo specchio di quelle di domani? Io lunedì sera avevo bisogno di sentirmi dire tutto l'opposto, sentivo la necessità di ricevere rassicurazioni sulla mia capacità, in futuro, di nutrire un amore semplice, di godere delle piccole cose, di lasciare un insegnamento a qualcuno, anche minimo, anche unico.
Alla fine ho concluso la serata di lunedì arrabbiata, con poca voglia di fare, con la sensazione che qualunque iniziativa io provi a intraprendere abbia il valore, il senso e la finalità del nulla.
Mentre l'idea di guardare le travi sul soffitto continua ad essere quella più istintiva.
Domani però parto, vado a Bologna per un workshop e mi fa molto piacere togliermi di qui, provare a camminare in un'altra città per lo meno per pensare ad altro, per cercare di formarmi senza continuare a riflettere sulle mie immobilità, sulle enormi nostalgie che mi accompagnano giorno e notte, sui sensi di colpa da cattiva amica, cattiva figlia e cattiva tutto il resto, sensi di colpa che non riesco a cacciare lontano.
Giusto per concludere e spiegare la foto che ho scelto (figlia del corso iniziato da un po'), racconto brevemente il sogno che ho fatto lunedì notte:
"Ero in giardino dai miei, in cielo una piccola colomba grigia si incontrava con un maschio bianco bellissimo che le porgeva grandi piume, bianche pure quelle. La colomba con quelle piume costruiva un nido, riparato sotto un cespuglio fiorito di piccoli fiori bianchi. Erano così belli quei due animali innamorati che chiamavo mio padre a vederli, lui usciva, si fermava sulla soglia di casa accanto a me, ma il colombo bianco non arrivava più. Tornava solo lei, dal bosco, senza l'ala sinistra, con metà corpo bruciato e lentamente, volando piegata su un lato, andava a morire nel suo vecchio nido, costruito con rifiuti di plastica e rami secchi".
Non ho nessuna intenzione di interpretare questo incubo, né il sogno di pochi giorni prima in cui partorivo con gioia e senza dolore un bel maschietto in salute, subito consegnato alle braccia gentili del nonno materno, mio padre, felice di poter tornare un po' qui e occuparsi del piccolo nipote.
Che dire, tutta l'immobilità della vita reale pare compensata dal mio emisfero notturno.
Di seguito il link al "pacchetto" di Don Paolo Farinella, per chi lo volesse leggere per intero.
http://paolofarinella.files.wordpress.com/2013/06/pacchetto-del-mercoledi-n-51-di-paolo-farinella-del-11-06-2013_don-gallo-andrea.pdf

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