domenica 13 marzo 2016

Lo zio Davide

Mia mamma è una matematica e ha sempre sostenuto di non saper scrivere bene.
Tutte balle.
Per dimostrarlo oggi ospito un suo racconto, storia vera verissima che mi hanno sempre raccontato e che ora serve come esercizio di lettura per un gruppo di ragazzi stranieri a cui mamma insegna gratuitamente la nostra lingua due volte a settimana.
Se questo post non vi avesse convinto a sufficienza circa la stranezza della mia famiglia, ecco chi era lo zio Davide, o meglio U Davìdde.

"Il mio bisnonno materno Giacomo, già vedovo con due bambini piccoli, sposò la mia bisnonna Benedetta (Bedìn) nel 1880 (circa) ed ebbe undici figli. Erano due mezzadri poverissimi, coltivavano una terra arida e magra, posta a 300 metri dal livello del mare, e allevavano un paio di mucche, qualche ovino e alcune galline.
L'erba per gli animali veniva falciata in alto, sui monti dell'Appennino, distanti chilometri dalla loro casa, e trasportata a spalle nel fienile, ogni sera.
Nelle fasce strette e scoscese, tipiche di questa valle ligure, tanto bella quanto faticosa, i buoi e l'aratro erano inutilizzabili, solo vanghe, zappe e fatica disumana.
La bisnonna lavorava nei campi dall'alba al tramonto, tornava a casa solo per pranzare e allattare l'ultimo nato. Sempre. Ovviamente neppure le gravidanze le regalavano un po' di riposo: quando lei spariva per qualche giorno, i contadini dei poderi vicini capivano che aveva partorito.
Le bambine dovevano badare ai fratellini più piccoli e cucinare per tutta la famiglia. I maschietti seguivano ben presto i genitori nei campi.
Per inciso dico che la maggior parte di loro restò quasi analfabeta e che le fabbriche metalmeccaniche e tessili della zona assumevano chiunque avesse compiuto nove anni.
Uno degli ultimi nati si chiamava Davide (U Davìdde), era bello, sano, robusto, però...
Quando la sua mamma arrivava di corsa ad allattarlo non lo trovava affamato e impaziente, come era sempre accaduto con i figli precedenti. Lei lo attaccava al seno e lui mangiava con calma e lentezza, le risparmiava quella avidità disperata che aveva conosciuto negli altri suoi neonati e che tanto l'aveva addolorata. La stanchezza e la fame della bisnonna erano enormi e costanti, il suo latte era magro e scarso, eppure Davide cresceva tranquillo e forte. Inutile dunque farsi troppe domande, Benedetta rompeva terra e schiena col cuore più leggero, la figlia Caterina (Cateinìn) curava il piccolo senza paura e anche lei cresceva bellissima, contagiata da tanta serenità.
Quando Davide era ormai un adolescente alto due metri e dotato di una forza leggendaria, Caterina confessò alla mamma di aver avuto un aiutino segreto. Appena nato, ogni giorno Davide, poco dopo che la mamma, credendolo sazio, aveva raggiunto i campi, cominciava a urlare e Caterina tentava inutilmente di calmarlo. Non c'erano ninne nanne né abbracci che regalassero a entrambi una tregua.
Una mattina, disperata, lei decise di attaccarlo alle mammelle di una capretta che pascolava lì vicino. Nei giorni successivi, dapprima scrutò il fratellino preoccupata, temendo malattie e punizioni che non arrivarono mai, poi si fece coraggio e, più volte al giorno, col fagottino in braccio, girò l'angolo della casa e andò nel prato. Ben presto la faccenda si semplificò ulteriormente: appena la capretta sentiva Davide piangere, lasciava la sua erba, correva davanti alla porta di casa e belava finché non poteva entrare, spinta da un commovente, irrefrenabile istinto materno verso quel cucciolo d'uomo di cui fu, per mesi, la balia segreta."

Nella foto quassù la casa dove mia madre e suo fratello gemello sono cresciuti per un (bel) po'. Le altre immagini che mamma mi ha spedito ritraggono lei, una prozia e mia nonna Rosetta, china e sorridente in un campo, mentre raccoglie margherite bellissime. Ecco evidentemente da chi ho preso quando sogno fiori, prati e boschi senza fine.

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