venerdì 1 novembre 2013

Quei portoni chiusi a metà

Quando mi sono iscritta all'università, ormai un sacco di anni fa, non conoscevo le tante, anche bizzarre, usanze e tradizioni ormai consolidate che circolavano nei vari corridoi ed edifici di Via Balbi. I cani nel cortile che vagavano indisturbati a tutte le ore, il signore davanti al Bar Cavo che cantilenava ogni giorno "me lo paghi un panino?" in faccia alle migliaia di pendolari che si riversavano fuori dalla stazione, le foto post laurea (inspiegabilmente orrende quanto obbligatorie) scattate accanto al pozzo o sulla terrazza di Balbi 2, il portone di Lettere chiuso (o aperto, questa è come quella del bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto) a metà in segno di lutto.
In tanti anni di studi quel portone si è mezzo chiuso parecchie volte, segno peraltro evidente dell'anzianità accademica in cui viviamo, ma ieri è stato diverso. Quando il telefonino mi è squillato durante l'animazione del Festival e ho visto la chiamata di Giacomo, non so perché, ho capito. Si sapeva che il Prof era malato da tempo e che presto avremmo appreso della sua scomparsa, ma quando se ne va un pezzo della tua vita, della tua formazione, della tua passione, un piccolo lenzuolo si posa su quell'angolo del tuo cuore. Io ieri stavo "insegnando" e quante volte mi capita di ritrovare nelle mie gestualità, nei miei modi di dire, nelle mie pause e nelle mie battute, gli stessi atteggiamenti di alcuni dei professori che ho incontrato durante il mio percorso. Sicuramente, molta dell'attitudine all'osservazione, della voglia di capire qualcosa di apparentemente complicato, della capacità di guardare un'opera incomprensibile, astratta, stupida e irriverente e coglierne i perché mi è stata passata da Lui, da questo signore un po' rotondo, con il sorriso timido di un bimbo, la voce pacata e dolce, l'enorme cultura e preparazione. Mai davanti agli altri, mai scortese e brutale, mai maleducato con gli alunni, mai scostante durante gli esami, mi ha raccontato la storia di Christo e Jeanne Claude tanto da farmene innamorare, mi ha mostrato il Blue di Klein, mi ha aperto il mondo di Staglieno con tutte le sue grane e tutte le sue meraviglie. Così è naturale per me andare domani a dargli l'ultimo saluto, ringraziandolo in silenzio per avermi insegnato a cogliere l'arte in ogni cosa, da una linea nera su un foglio bianco ad un'architettura complessa, dalla saturazione di un colore alla forma astratta di una statua.
Quando qualche giorno fa Davide, visitatore-pittore approdato nel nostro laboratorio, mi ha proiettato in un baleno nella poesia pura dell'arte contemporanea chiedendomi dall'alto dei suoi quanti? dieci anni scarsi? se poteva fotografare il soffitto della sala in cui ci siamo sistemati, io l'ho vista la fiamma della passione nei suoi occhi. Il fuoco della necessità di conoscere da vicino quelle strane macchie colorate, antichi residui di pittura, sparse sul soffitto, così da poter riversare su tela le emozioni suscitate da quella visione. In un laboratorio dove si pilotano droni, aerei robot telecomandati, dove qualunque ragazzino tra i sei e i sedici anni presterebbe attenzione unicamente all'I-pad e a quel meraviglioso coso nero che gira a mezz'aria, Davide era attratto da una visione, dalla proiezione del soffitto che la sua mente aveva già immaginato dipinta su un quadro. Quante volte, a lezione, il Prof mi aveva parlato di questi momenti, degli attimi in cui un artista contemporaneo percepisce l'opera in arrivo, la sente e la vomita, la espelle, la butta fuori con urgenza. E c'era urgenza negli occhi di Davide quando ha scritto sulla nostra nuvola dei messaggi le parole "Pitore Solpreso" sotto al suo nome, per ricordare a tutti che quella mattina, né i droni né probabilmente la mia spiegazione interattiva, piena di esperimenti e facce buffe, lo avevano sorpreso quanto quelle stupide macchie sul soffitto. Arte pura. E allora mi impegnerò a scattarla una foto a testa insù, a ritrovare Davide tra le centinaia di visitatori passati da noi e a mandargli quell'immagine che tanto gli era piaciuta, perché Lei, Prof, avrebbe fatto lo stesso.

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