venerdì 8 novembre 2013

Ma tu, di preciso, che lavoro fai?

Io, di preciso preciso, non faccio nulla. Ma se uno si accontenta della precisione non assoluta allora basta farsi andare bene questa definizione: "Io di lavoro cerco le piccole cose". Aridaje direte voi, con sta storia delle mini isole, del quotidiano, delle micro conquiste...però non sapete, perché non ne parlo (scrivo) mai, che è davvero così, che la maggior parte del mio lavoro si svolge al microscopio, davanti al monitor del computer, oppure in mezzo a risultati minuscoli, da sistemare e da rendere grandi.
Questo passaggio dal piccolo al grande lo faccio ogni giorno, dinanzi a tutte le occasioni che incontro e non solo sul lavoro, ma anche nell'amore, nell'amicizia, nelle passioni alternative che da sempre coltivo in semi silenzio.
Quando mi dedico a quello per cui ho studiato, sto studiando e per cui vengo regolarmente pagata (ancora un anno e mezzo), allora le cose piccole diventano tracce di colore, pennellate infinitesimali scampate alla furia pulitrice che ci ha contraddistinti per un buon periodo storico, quando riportare una statua al suo antico e candido splendore ci pareva la mossa più trendy e intelligente da compiere. Chissà se in quel tempo gli "addetti alla rimozione delle pitture" si sarebbero mai immaginati che secoli dopo una povera disgraziata, super precaria assegnista di ricerca, avrebbe passato intere giornate con una pistola a Raggi X in mano (Spettrofotometro a Raggi X portatile - XRF, per chi fosse interessato a capirne di più o già lo conoscesse), nella speranza di riuscire ad individuare, analizzare, rilevare e caratterizzare un piccolissimo granello rosso rimasto incastrato nella narice di un doge di marmo, una scheggia d'oro grande quanto una lentiggine appena visibile sull'aureola di un angelo di Pietra di Promontorio, una briciola di azzurrite in un mare di ardesia. E quindi benvenuti trabatelli mostruosamente oscillanti, macrofotografie, lenti di ingrandimento, microscopi USB da cantiere, lampade di Wood, diottrie, scale a pioli, seggiole, punte dei piedi, tutti ugualmente indispensabili per arrivare a padiglioni auricolari profondissimi (tipica sede di pennellate dimenticate), per guardare in mezzo alle dita dei piedi, tra le labbra o nei riccioli di un soldato di pietra, per raggiungere pannelli di lavagna dipinti e appesi in una chiesa o sovrapporta policromi dispersi in un vicolo di città. E quando, nei rari casi in cui mi è concesso effettuare un prelievo, posso portare il mio piccolo materiale via con me, allora è il momento di sedersi, preparare il campione nel suo letto di resina epossidica, guardarlo al microscopio ottico, contarne gli strati, confrontare i colori trovati con gli elementi chimici rilevati dall'XRF e dare un'ultima occhiata al tutto in microscopia elettronica (SEM-EDS), dove di solito escono fuori i nomi definitivi, dove un mercurio e un'ombra rossa vengono chiamati cinabro con più sicurezza, dove uno striscia bianca stesa prima di tutto il resto e piena di piombo è una preparazione a Biacca, dove un blu che non contiene rame e neppure cobalto probabilmente nasconde un preziosissimo Lapislazuli. Ieri ho guardato quattordici campioni al microscopio ottico e dopo mille peripezie, strumenti rotti, strumenti occupati, tempi stretti, tecnici in arrivo, tecnici in ritardo, tecnici assenti, scadenze e nervosismi, sono riuscita a prepararmi diverse cartelle fotografiche da cui attingere per report, relazioni e tesi.
In un grande insieme, bello e pieno di caratteristiche inequivocabili, cerco la distrazione, cerco la traccia di qualcosa che gli altri vedono a fatica, guardo di cosa si tratta, lo mostro a chi non lo trovava o non l'aveva mai visto, lo metto in luce e lo valorizzo, lo rendo importante perché lo è. Questo è ciò che spesso mi capita anche con la gente, le delusioni più grandi arrivano infatti quando ti sembra di avere trovato qualcosa di raro, di piccolo ma grande, di speciale e prezioso, e hai l'onore di notarlo tu per prima, di tirarlo fuori e rendergli merito, per poi accorgerti che questa minuscola macchia di colore non era altro che un intervento di restauro, una chiazza di vernice caduta lì per sbaglio, un granello di sporco completamente casuale.

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