domenica 22 novembre 2015

La tempesta perfetta

Nelle ultime settimane mi sono accorta di una cosa.
Mi sono accorta che non ho (più) molto da dire su questo blog.
Anche le visualizzazioni parlano chiaro, comincio ad essere stufa e a stufare. Magari è un momento passeggero, magari non lo è.
In realtà, forse non ho (più) molto da dire in generale, anche nella camera gialla le sedute scorrono lente e silenziose, ma qui specialmente mi pare di riempire pagine giusto perché vanno riempite.

Ma vanno riempite per chi? Per cosa?

Per me, ne sono sempre stata convinta. E lo sono ancora.
A patto che non diventi un obbligo, soprattutto ora che, lo posso proprio dire, il mio lavoro è scrivere (nel senso che mi pagano per farlo). Non so quanto durerà, non so nemmeno se siano effettivamente due cose collegate, sta di fatto che per ora è così.
È buffo, perché per la verità ho pensato molto a questo post e lo sto scrivendo con urgenza, seduta per terra, sul lungomare, circondata da biciclette, pattini e skateboard che mi sfrecciano attorno. Il cielo è azzurro e fa caldo nonostante questa notte sia passata la tempesta perfetta: un vento incredibile, mostruosamente amplificato dalla bella pensata dei vicini di sopra di lasciare le persiane aperte senza fissarle ai ganci. Tre ore buone di colpi continui, ma anche di vasi volati, scarpe e vestiti sparsi in piazza, pioggia ghiacciata e pezzi di vita che rotolavano nei vicoli senza luce.

È domenica e dopo la tempesta è uscito un sole bellissimo, l'aria è più fredda (finalmente) e nelle ultime ventiquattro ore ho fatto alcune delle cose che più amo fare in assoluto, compreso scrivere. Ho cucinato, chiacchierato, camminato, raccolto foglie, riso, scattato foto. Le foto, se tutto va bene, andrò pure a vederle tra poco, a Palazzo Ducale, provando per la terza volta in due giorni a visitare la mostra di Brassaï. So già che mi piacerà, perché racchiuderà la Francia e parlerà d'amore. D'amore per il mondo e per i piccoli incontri quotidiani, quelli che capitano spesso e che dobbiamo fissare bene nella memoria, concentrandoci.

Pausa, si torna indietro verso il centro.

Riprendo a scrivere che è quasi l'ora di cena, sul divano di casa. La mostra l'ho vista ed è bellissima. Ho letto i pannelli scritti in francese, mi sono persa tra le fotografie di una città che sta nel mio cuore senza essere mai stata nei miei occhi e ho ripensato ai piccoli incontri quotidiani di oggi. Eccoli:

- I frutti lilla del ginkgo biloba (che non sapevo nemmeno esistessero), sparsi sul prato
- La cascata del parchetto di nuovo attiva, con la grotta percorribile. Quando ci entri sei diviso a strisce dalle ombre delle rocce e dalla luce che filtra attraverso l'acqua
- La mia città a strati: gli alberi in autunno, le case, le navi incastrate tra i palazzi, ancora le case e la neve sui monti lontani
- Un ragazzo disabile a braccetto con un uomo troppo vecchio per essere suo padre e troppo in forze, ancora, per essere suo nonno. Sembrava si reggessero a vicenda e sembravano stanchi, disorientati, davanti a me che invece camminavo verso il mare, spedita e maledettamente fortunata
- Il sole sul pelo dell'acqua, talmente forte da farmi male agli occhi
- I ragazzi che suonano i tamburi sotto i portici
- Questa foto di Brassaï


3 commenti:

  1. Ho appena finito di scrivere un post sul cambiamento nel blog, che deve assecondare quello della persona che lo scrive... che coincidenza eh?! altrimenti è magia :-)
    Hai fatto foto bellissime oggi.
    Scrivi solo se ti rende felice e scrivi di quello che ti piace.
    Un abbraccio
    Francesca

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Seguo con attenzione le tue lezioni su Instagram e le trovo molto utili! Grazie dei consigli :-) E buoni cambiamenti.
      Un abbraccio a te
      Elena

      Elimina
    2. I consigli di Enrica Crivello sono molto interessanti e utili... io mi sto divertendo a condividere il mio percorso.
      Comunque arrivano le prossime pillole di jembenton interpretate e messe in pratica da la effe ;-)
      Un abbraccio

      Elimina