mercoledì 16 ottobre 2019

Un'auto in fondo al lago

Qualche anno fa, parlando di mio padre con l'analista, mi definii orfana. Ricordo che mi corresse e mi disse che, tecnicamente, si è orfani se si perde un genitore prima dei diciotto anni. Mi sentii una merda, convenendo che, dopotutto, quello che mi aveva detto avesse senso.

Sono trascorsi quasi sette mesi dal 23 marzo.
Non sono una maniaca delle date, anzi, solitamente cancello il passato in un attimo, ma ho dovuto produrre tanti di quei certificati di morte che, anche volendo, non è stato proprio possibile dimenticare un bel niente.
Cosa è successo nel frattempo?

Principalmente ho lavorato.
Ho fatto un bel viaggio.
Ho vissuto a casa sua per quasi due mesi.
Mi sono lasciata coccolare (anche se, essendo sua figlia, mi rendo conto che scalfire sta corazza che mi ritrovo non sia semplice).
Ho preso tre chili, li ho persi, li ho ripresi.
Ho iniziato i lavori a casa mia, o meglio, ho iniziato a inscatolare tutto nell'attesa che comincino lavori.
Ho percorso venti chilometri di Mare e Monti.
Ho pianto riempiendo le scatole, vuotandole, dormendo, ascoltando musica, camminando, leggendo, andando al mare, facendo la doccia, svegliandomi, bevendo, aspettando il bus, buttando vestiti, scegliendo piastrelle, scrivendo agli amici, ordinando una birra, vomitando, tagliandomi la frangia alle tre del mattino, accarezzando la gatta, salutando l'ennesimo airone.
Ho letto (poco).
Ho nuotato (ancora meno).
Ho cucinato (quasi niente).
Ho parlato con una foto, un cielo, una stella cadente, un appunto su un foglietto, un fiore, una maglia, un anello, una focaccetta fritta, un portafoglio, un odore, un albero, una seggiola, una ciotola, un sapone...

Sono passati quasi sette mesi e mi sto sgretolando come la Torre d'Avorio di Fantàsia, completamente impreparata a questo crollo tardivo.
Sarà colpa delle scatole piene di foto, dei suoi documenti perfetti e pronti per il dopo, dei miei incasinati e sempre insufficienti, dei cambiamenti inutili perché non glieli posso spiegare, delle conquiste superflue perché senza i suoi occhi valgono meno.
Beninteso, so perfettamente che non è così, so benissimo che questi post non si dovrebbero scrivere, tanto meno pubblicare, ma quel 23 marzo alle 14.40 un'auto ha toccato il fondo del lago, sopra c'erano mia madre, mia sorella e la mia migliore amica, in quest'ordine, alla faccia di tutti i manuali di pedagogia e delle nostre più profonde convinzioni. Hanno impiegato sette mesi ad affondare, sapevo e sapevamo sarebbe successo, potevamo solo aspettare cercando di rassicurarci a vicenda.
Ora, però, sono rimasta io e la carcassa di quell'auto sta tornando a galla. Non ho il coraggio di guardarci dentro e non voglio farlo: non ho paura, è solo che sono incredibilmente stanca, come se avessi corso dieci anni ininterrottamente.

Serve tempo, dicono tutti, e io ci credo. Quel tempo che per papà non è stato necessario, non per mancanza di amore, ma per le tante differenze tra allora e adesso: la mia età, le modalità, le circostanze, le abitudini e la presenza di mamma, che attutiva il colpo e condivideva il dolore con me.
Credevo di essere pronta, credevo di conoscere, e invece non sapevo un bel niente.
Ci hanno sempre fatto notare che ci somigliavamo moltissimo e immagino fosse così, lo vedo bene dalle foto (come quella quassù).
C'è una cosa però, di cui non mi ero mai accorta: spesso parlo come lei. Non c'entrano le cose che dico e non è solo una questione di voce, ma di intonazione, di cadenza. Prima non lo sentivo, ora che non c'è più la ritrovo nel mio modo pronunciare le parole. Quando succede mi salta il cuore in gola, mi riempio di gratitudine e resto sospesa a metà tra la voglia di strapparmi le corde vocali e il bisogno di riparlare come lei, per sentirla ancora una volta. Ogni tanto lo faccio, ripeto una parola, cerco di riprodurre un suono, una, due, tre volte. Poi, generalmente, o sorrido o piango. Tendenzialmente faccio entrambe le cose, una dopo l'altra.

Qui scrivo sempre meno, mi pare chiaro, ma diversamente non so più fare. Prendiamola così.



2 commenti:

  1. Parole vere, in cui ci si può ritrovare avendo perso qcuno che ha lasciato qualche traccia nel nostro viaggio della vita.
    Mi sono commossa
    Grazie..

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  2. Ciao Patti, mi scuso infinitamente per non averti risposto. L'interfaccia del blog è cambiata e le notifiche dei commenti non mi arrivano più... le ho trovate ora per caso. Grazie per il tuo messaggio, un grande, grandissimo, abbraccio.

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